18.2.13

La brillantina e la tunica (di Gianni Fumagalli)

Nel sito letterario “La poesia e lo spirito” da qualche tempo compaiono i racconti della Brianza scritti da Gianni Fumagalli, che fa l’insegnante da quelle parti. I brevi testi sono per lo più costituiti da ricordi d’infanzia e uno recentissimo è dedicato a Sciavaten (ciabattino), soprannome di famiglia di un compagno di scuola e di banco che all’anagrafe faceva Giuseppe. Ne riprendo qui un delizioso frammento. (S.L.L.)
(http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/)
Oltre all’uso progressivo delle punizioni, una al primo alunno della giornata che trasgrediva, due al secondo e così via,  che avevano due varianti: le sberle e le bacchettate, il maestro D. aveva anche l’abitudine di afferrare per i capelli gli studenti “meritevoli” di rimprovero. Un giorno questa sorte toccò anche a Sciavaten, ma l’abbondante brillantina che la mamma gli aveva messo al mattino aveva impiastricciato le mani del maestro, provocandogli una schifata reazione. Con un gesto di stizza accompagnato da uno sberleffo sul coppino ingiunse al povero compagno di andare immediatamente a casa a lavarsi la testa. Giuseppe, tornato  a casa, comunicò alla mamma la volontà del maestro ma, forse perché era sempre distratto o forse perché si scordò di dire la ragione di questa strana richiesta, la madre gli lavò per bene i capelli e gli mise, come sempre, un’abbondante dose di brillantina. Ho ancora ben scolpito nella mente lo sguardo del maestro nel vedere comparire in classe Sciavaten che, aspettandosi un cenno di assenso fu invece colto di sorpresa dalla reazione furiosa del maestro che si scaraventò sul piccolo studente massacrandolo letteralmente di botte.

La visione del film La Tunica è stata forse l’unica occasione che abbiamo avuto in cinque anni di uscire dalle mura della classe. Si trattava di un colossal  americano incentrato sulla figura del centurione romano che fu responsabile della crocefissione di Gesù e al quale toccò in sorte la tunica del Maestro, cosa che trasformò la sua esistenza. La storia era comprensibile e gli intrecci non particolarmente complessi ma il film durava tre ore e aveva poche scene d’azione; era un vero e proprio attentato alla capacità di concentrazione di un bambino. Il dramma raggiunse il culmine quando il maestro ci informò che  avrebbe dato tre giorni di tempo per fare un riassunto del film. Mi preparai e a casa riempii tre fogli fitti interamente dettati da mio fratello. Arrivai al giorno della stesura in bella col lavoro già preparato che tenevo sotto il banco riuscendo a copiarlo regolarmente. – Se te me fe minga cupià gal disi al maester – (se non mi fai copiare lo dico al maestro), mi ricattò con insistenza Sciavaten, mostrandomi un sorriso beffardo, più interessato al dover riempire lo spazio vuoto dei suoi fogli che al reale contenuto del lavoro. Gli passai per zittirlo il foglio che non stavo utilizzando, quello che conteneva il resoconto  della seconda parte del film, poi ce li scambiammo. Il risultato fu che lui raccontò un film che iniziava dalla fine con un esito quantomeno buffo. La severa giustizia del maestro si manifestò alla consegna dei lavori corretti. Io beccai un quattro, al mio compagno di banco toccò uno zero. La palese copiatura mostrava una strategia insensata, i lavori erano identici fin nelle virgole, l’unica variante stava nella cronologia, uno dei due, inspiegabilmente per il maestro, partiva dalla metà per concludersi con l’inizio.

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