Alessandro Manzoni in un ritratto giovanile |
La legalità – mi chiede a bruciapelo un giovanotto un po’ ignorante e desideroso di apprendere – è un valore di sinistra? E io non so resistere alla tentazione di una lezioncina facile.
Mi tengo un po’ ai margini ricordando Manzoni che scriveva, più o meno, che le leggi le han fatto “i signori” secondo il loro comodo. Poi vado ad altri momenti del mio vecchio lavoro di insegnante. Per esempio alle Leggi delle XII Tavole, primo embrione di legislazione romana, pieno di discriminazioni. Altro che leggi uguali per tutti: doveri, diritti e sanzioni molto differenti tra liberi e schiavi, tra maschi e femmine, tra patrizi e plebei, tra padri e figli. E tuttavia gli storici più attendibili insegnano e io pure, nel mio piccolo, insegnavo che per i più deboli, per gli oppressi si trattava di una conquista. La legge, infatti, per la prima volta poneva dei limiti ai più potenti, ne controllava la violenza e l’esosità, ne limitava gli abusi; e riconosceva qualche diritto agli inferiori.
Su questa scorta rispondo sì, proclamo che già l’esistenza di leggi scritte e il loro rispetto è una garanzia per il più debole, che altrimenti sarebbe alla mercé del più forte. Non per caso si verifica spesso, e in Italia più che altrove, un sorta di illegalismo tra le classi dominanti, i cui componenti volentieri si sottraggono agli obblighi o alle punizioni che le leggi impongono, ottenendo trattamenti speciali, ad personam.
Mi viene in mente a questo punto quel cavaliere che Umberto Bossi chiamava “il mafioso di Arcore”. Poi torno al Manzoni e al suo “romanzetto”. Ricordo le “gride”, l’Azzeccagarburgli pronto a difendere l’autore di un sopruso ma non la vittima, tutta l’amministrazione secentesca della giustizia, esempi di come vanno spesso le cose nel mondo. I signori non si limitano a far le leggi come vogliono loro, ma pretendono che siano applicate o non siano applicate secondo la loro convenienza.
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