Uno dei migliori lettori delle Occasioni, Vittorio Sereni, scrisse che in quel libro Montale aveva sentito la «necessità di inserire brani d’un trascorso dialogo – di parole davvero pronunciate, a suo tempo un po’ facili, come i commossi discorsi umani». Le pagine In margine alle «Occasioni» da cui è tratta la frase di Sereni si rileggono oggi alla fine dell’«Oscar» dedicato alla seconda raccolta montaliana: Eugenio Montale, Le occasioni, a cura di Tiziana de Rogatis (con un saggio di Luigi Blasucci e uno scritto, appunto, di Vittorio Sereni).
I «discorsi umani» sono innanzitutto la cifra dei legami individuali con altre persone, collocati oltre la soglia del privato che la critica canonica (penso in particolare a Contini) non ha voluto mai attraversare. L’osservazione di Sereni non invita certo a oltrepassare quel limite, al di là del quale si trovano gli eccessi del biografismo, ma suggerisce che anche un libro ‘araldico’ e difficile quale è Le occasioni può essere letto come un’opera vivente.
Può e spesso deve: perché, per disporsi alla comprensione letterale del testo montaliano, bisogna innanzitutto figurarsi la situazione reale in cui persone in carne e ossa si sono trovate prima di diventare personaggi. Una situazione magari «a suo tempo un po’ facile», che non per questo va elusa o tradita.
«Non so inventare nulla», ha ripetuto spesso Montale, suggerendoci una verità che lo assolve dai tanti depistaggi in cui ha coinvolto i suoi critici. Di questa consapevolezza si fa forte il nuovo, eccellente commento alle Occasioni che esce, dopo una lunga elaborazione, in coincidenza con il trentennale della morte del poeta. Tra i grandi meriti della curatrice Tiziana de Rogatis c’è quello di aver chiarito il significato di molti passi delle Occasioni rimasti finora oscuri o appannati. Era un dovere a cui obbligavano la sede e lo stesso progetto culturale di una serie – le edizioni commentate delle opere di Montale pubblicate negli «Oscar» sotto la direzione di Guido Mazzoni – inaugurata nel 2003 dagli Ossi e arricchitasi negli anni di altri tre volumi (Prose narrative, Satura, Diario del ’71 e del ’72). Ma non era un compito facile, nonostante la presenza di un autorevole palinsesto quale il commento alle Occasioni pubblicato da Dante Isella nel 1996, per la «Nuova raccolta dei classici italiani annotati».
Il fatto è che il commento Isella e quello de Rogatis sono complementari: il primo più rivolto all’individuazione dei passi paralleli e alle proposte intertestuali; il secondo, come si diceva, più attento ai significati e alle situazioni del testo. Il miglioramento, in questo secondo aspetto, è innegabile, come mostrano per esempio le chiose ai vv. 21-24 di Palio, la poesia di ambientazione senese nell’ultima parte delle Occasioni: «la malcerta / mongolfiera di carta che si spicca / dai fantasmi animati sul quadrante / dell’immenso orologio». Isella, appurato che nel ’38 non vi erano stati decolli di palloni aerostatici durante il Palio, era incline a dare al passo una spiegazione tra il simbolico e il fantaisiste: la «mongolfiera di carta» sarebbe stata la luna, il «quadrante dell’immenso orologio» il cielo. Molto più persuasivamente, de Rogatis non pensa a un grande pallone, ma a una «piccola mongolfiera oscillante», analoga ai palloncini che tradizionalmente vengono lanciati da Piazza del Campo; e quella stessa piazza, «la cui forma irregolarmente circolare e il pavimento centrale suddiviso in nove spicchi evocano proprio la forma di un orologio » o di una meridiana, avrebbe suggerito la metafora dell’«immenso quadrante». Una spiegazione questa più coerente con l’immaginario materiale e oggettivo delle Occasioni; lo chiarisce, dal punto di vista stilistico, Luigi Blasucci nel saggio ristampato in apertura all’edizione: «Montale ha portato sino in fondo quel processo, per definizione antipetrarchistico, di immissione del reale anche umile nel lessico aristocratico e schivo della nostra poesia».
Un’immissione che riguarda appunto tanto le parole quanto le cose, per cui, se Montale scrive «carta» difficilmente vorrà dire «luna». Proprio del dialogo con Blasucci, di cui danno conto numerose note nel commento, si è giovata Tiziana de Rogatis: un dialogo diretto e di prima mano, non solo cartaceo o mediato dai rispettivi studi. Il che, come scrive la curatrice nella nota introduttiva, rappresenta anche un «segno di continuità, espresso da generazioni diverse, nel tramandare la poesia di Montale».
La questione generazionale, alla ribalta nelle cronache letterarie di questi mesi, incide effettivamente sulle linee interpretative che la de Rogatis applica alle Occasioni. Non in senso oppositivo (anche nei confronti di Isella, com’è giusto, i dissensi puntuali si accompagnano al riconoscente tributo verso il predecessore) ma propositivo, perché nel commento confluiscono e vengono messe a frutto prospettive critiche che una nuova leva di studiosi ha elaborato nell’ultimo decennio o poco più. E Tiziana de Rogatis, autrice di una monografia su Montale e il classicismo moderno (2002), è tra questi. Le sue indagini sui rapporti tra la poesia montaliana e la letteratura modernista europea, per esempio, sfociano qui in un’ipotesi suggestiva a proposito di Dora Markus: de Rogatis vi riconosce punti di contatto con I Buddenbrook di Mann, possibile fonte inavvertita da cui proverrebbe l’imagery mitteleuropea e alto-borghese del testo di Montale.
D’altra parte, la dimensione del racconto, della narratività implicita nel ‘canzoniere’ montaliano rientra in un filone di studi che ha preso consistenza da qualche anno e che il commento valorizza dando spazio all’esame della costruzione macrotestuale del libro e delle sue sezioni più coese (come
i Mottetti).
Non v’è dubbio poi che il nuovo commento possa contare sulla conoscenza di materiali preziosi, in gran parte preclusi a Isella. Mi riferisco alle acquisizioni biografiche sulle ispiratrici montaliane e in particolar modo su Irma Brandeis: le Lettere a Clizia, pubblicate da Rosanna Bettarini nel 2006, e l’antologia di passi diaristici e letterari di Irma curata da Marco Sonzogni (Una musa di Montale, 2008). È un merito della commentatrice quello di aver saputo recepire quei contributi senza lasciarsene invischiare e riconoscendo sempre alla critica letteraria il diritto di prelazione sui testi.
Il progresso delle conoscenze sulla figura di Montale si è così conciliato con l’avanzamento degli studi sulla sua opera; ciò ha permesso di avere una percezione più duttile della cultura e della personalità dell’autore, di commentare le poesie forse con diverso grado di originalità e completezza, ma sempre con una profonda adesione al testo, senza reticenze e preconcetti. Un’esigenza e insieme una capacità di ‘sfogliare’ il testo invece di fissarlo sotto un’insegna, che si ritrova nei saggi che negli ultimi tempi stanno rinnovando la percezione dell’opera montaliana. Tra questi, mette conto citare il recentissimo Seminario Montale di Fabrizio Patriarca (Gaffi, pp. 154, € 11,00); incentrato su Satura, di cui quest’anno si celebra il quarantennale dall’uscita, il libro di Patriarca porta Montale oltre i limiti del suo tempo e della sua opera, seguendone le tracce fin dentro le poesie di De Signoribus e chiudendo su Valerio Magrelli. Un invito a prolungare nell’immediata contemporaneità la fortuna e l’influenza di un classico, del classico della poesia novecentesca di cui il commento alle Occasioni restituisce oggi un’immagine più nitida.
“alias” 8 ottobre 2011
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