26.2.13

Perché Bersani non ha vinto. Dialogo con Carmelo Asaro (S.L.L.)

Il mio caro amico Carmelo Asaro, con bello stile e argomentazioni apprezzabili, imputa al grigiore di Bersani, al suo realismo e razionalismo tortellinaro la (quasi) sconfitta del Pd.
Scrive in una nota fb: “Abbiamo bisogno di sognare, di immaginare che il futuro sarà migliore del presente, anche contro l'evidenza. Siamo esteti e passionali. Perché ci entusiasmiamo tanto a un romanzo, pur sapendo che la storia narrata non è vera? Abbiamo bisogno in ogni momento di comparare ciò che è a ciò che potrebbe essere e di anticipare con l'immaginazione questo secondo scenario, assegnandolo alla vita attuale. Bersani ha parlato alle nostre teste, senza alcuna colorazione emotiva. Grillo e Berlusconi hanno parlato ai rospi del nostro stomaco, ci hanno fatto assaporare il riscatto e la vendetta. Restituzione dell'IMU e l'intimazione "Arrendetevi!", pur provenienti da fronti opposti, hanno scatenato il medesimo ordine di pulsioni. L'errore principale della sinistra è stato quello di essere incolore. Le è mancato un leader visionario, che facesse immaginare una società migliore, non i circoli ARCI e i tortellini. Forse i calcoli di Bersani non erano irrazionali, ma sbagliati per eccesso di razionalità”.
E’, meglio articolata del solito, la perorazione del “facci sognare”, che si sente spesso a sinistra da quando Berlusconi è “sceso in campo”.
Oggi più che mai non mi convince.
Andrebbe ricordato, per esempio, che, sia pure con difficoltà spesso imputabili a interni sabotaggi, l’unico leader che finora abbia battuto Berlusconi è il professor Prodi, poco portato al sogno e alla narrazione.
E andrebbe ricordato, anche, che il mito ed il sogno con le paure e i velleitarismi che ne conseguono sono stati spesso le armi più potenti dell’arsenale ideologico e propagandistico delle destre (“Avanti gioventù, l’impossibile, l’inosabile non esiste” – faceva cantare Mussolini).
Di sinistra è invece la forza della ragione (do you remember Salvador Allende?), in particolare quella che combatte la disuguaglianza sociale alla ricerca di una organizzazione produttiva e civile non solo più equa, ma anche – appunto – più ragionevole.
Mi capita, qualche volta, di riascoltare qualche frammento, anche ampio, di Enrico Berlinguer: comizi, tribune televisive. Altri tempi, altre “regole d’ingaggio”, ma la sua sobrietà, il suo procedere per argomentazioni stringenti potrebbe essere ancora un esempio e sono convinto che sarebbe efficace. Ragionare per fare ragionare: i lavoratori, la gente comune, perfino l’avversario politico. Non nascondere la gravità dei problemi, non arretrare di fronte a verità sgradevoli, ma cercare nel ragionamento e nel dialogo le vie per la soluzione.
Non è stato di questo tipo il grigiore di Bersani, ma quello di chi pretende fiducia senza opzioni nette (l’IMI da “rimodulare”, il sistema delle indennità da “rivedere”), senza uno straccio di programma leggibile, ma solo vaghezze del tipo “faremo… vedremo… quella roba lì… quella roba là…”, senza decidere da che parte stare nello scontro sul “chi paga”.  E per di più con la pantomima dell’impegno di andare al governo con l’impopolare Monti, anche ottenendo la maggioranza assoluta.
E c’è al fondo della scelta per Grillo (sogni o non sogni, Berlusconi ha perso sei milioni di voti) anche qualcos’altro, che si stenta a dire, ma bisogna cominciare a dire.
Esemplifico. Penati, MPS, l’associazione a delinquere della Lorenzetti sugli appalti ferroviari. Presumo innocenti tutti gl’imputati, ma a buona ragione (e non per immaginazione) a tanti appare colpevole un modo di governare (del partito di Bersani) sempre più opaco, sempre più invischiato con l’affarismo, forse meno arrogante e pacchiano di quello delle destre, ma incapace di rappresentare un’alternativa di valori e di metodi.
Altro esempio. Si può sostenere un governo che strangola l’Italia, che sottrae redditi e diritti, presentandolo come assoluta necessità, senza pretendere da sé stessi, dal ceto politico di sinistra la rinuncia immediata a intollerabili privilegi?
Don Ciotti suole dire che in politica la distinzione non è tra credenti e non credenti, ma tra credibili e non credibili. Ecco cosa è mancato a Bersani e ai suoi: la credibilità. Altro che il sogno, l’immaginazione e la policromia.

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