Giorgio Fattori, Garibaldi a Palermo (particolare) |
Ad un tratto tutte le campane, mute da tanti giorni, si sciolsero, come quando si annunzia che risorto è Cristo, e con lieti concenti annunziarono che i soldati del Borbone partivano a buon viaggio pel mare. Sui tetti, sui campanili era un agitar di cappelli e di fazzoletti, un gridar senza fine. Poi, di fondo a via Toledo, cominciò a venir su piano piano la folla; quella folla urlava con centomila e più bocche, e cresceva a ogni passo. Guardando coi binocoli, vedemmo gli ostaggi portati a braccia in trionfo. Io volli avvertire Garibaldi.
Garibaldi era seduto su di una poltrona ed aveva il viso pallido e gli occhi scintillanti di lacrime. Mi strinse fortemente la mano, ma non rispose nulla. Capii che la gran commozione lo rendeva muto e mi scostai.
Poco dopo la piazza era piena di popolo, e le grida del popolo chiamavano Garibaldi. L'eroe liberatore s'alzò e venne sul balcone. Nel vederlo, la folla innumerevole tacque come per incanto; pareva che a lei mancasse la voce, come mancava a Garibaldi. Durò quel silenzio non meno di quattro o cinque minuti. Credo che non ci fosse tra la gente chi resistesse alla voglia di piangere. Alla fine Garibaldi parlò.
Dovrò io ripetere ciò che egli disse? Ho ancora negli orecchi, e più nel cuore, il suono della sua voce, ma non rammento che sette o otto parole; « Popolo di Palermo, popolo delle barricate, col quale ho diviso speranze, pericoli e gloria!... Popolo che lasciasti rovinare le tue case, pur di non piegare il capo alle ignominiose proposte dei tiranni, eccoti libero! ».
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