11.3.13

Altri onanisti

Uno scorcio di Onano. Foto di Alberto Martinelli
Non sono sconosciuti cultori della pugnetta o individui altrimenti pugnettari, ma appassionati di buone e veraci lenticchie nostrane e/o dell’amena località che le produce, Onano in provincia di Viterbo. 
Del pregiato legume parlava Carlo Bogliotti, in un articolo su “La Stampa” del 31 dicembre 2011 che qui riprendo a mo’ di appendice e che avrebbe dovuto, a mio avviso, contenere l’invito a mangiarle più di una volta all’anno le lenticchie, quelle di Onano, presidiate dallo Slow Food, ed altre lenticchie italiane, perché gustose e oltremodo salutari. 
Un consiglio: dalle mie parti le lenticchie si preparano con il finocchio selvatico. E’ un’accoppiata che vivamente consiglio. (S.L.L.)
Lenticchie di Onano
 Appendice
Alla ricerca delle lenticchie nostrane,
una vera festa della biodiversità 
Mentre siamo alla ricerca degli ingredienti per la cena di Capodanno, rivolgiamo un'attenzione particolare a ciò che non dovrebbe mancare, almeno per esorcizzare la crisi. Simbolo di ricchezza e prosperità, le lenticchie sono d'obbligo sui deschi di tutt'Italia a fine anno, ma non tutti sanno che quelle nazionali sono diventate sempre più rare.
La coltivazione di lenticchie da noi è in forte calo: negli Anni 30 ce n'erano 125 mila ettari, dopo 20 anni 25 mila e oggi ne restano mille. Sono nel Sud e nel Centro, in terreni marginali, e producono circa 750 tonnellate, insufficienti. Tanto che ne importiamo ogni anno 24 mila tonnellate (prevalentemente da Canada, Cina, Turchia), non sempre facilmente tracciabili e di qualità senza dubbio inferiore. Visto che ci piace consumare locale non solo per risparmiare (questa volta dovremmo pagare di più) ma sopratutto per piacere, per motivi ecologici e per sostenere la nostra agricoltura in crisi, allora cerchiamo lenticchie nostrane.
Queste, essendo sfuggite alle regole del mercato globale, ci mettono a disposizione una vera celebrazione di biodiversità, con varie forme e colori. Si trovano facilmente nei negozi specializzati e nei banchi di legumi e frutta secca. Segnaliamo le lenticchie di Altamura (Bari), di grande calibro, quelle di Castelluccio di Norcia (Perugia) molto piccole e saporite, le sicule di Villalba (Caltanissetta) e le aquilane del Fùcino.
I Presìdi Slow Food sono quattro. Partiamo da Ustica, dove ci sono lenticchie piccole e marroni, tenere e saporite, che non hanno bisogno di ammollo. Risalendo verso nord, a Mormanno, in Calabria, pochi produttori coltivano piccolissime lenticchie dal colore variegato dal rosa al verde al beige che si mangiavano in zuppa usando come cucchiaio una calotta di cipolla. Anche queste non necessitano d'ammollo, come le abruzzesi di Santo Stefano di Sessanio, minuscole e marrone scuro-violaceo. Infine passiamo da Onano, nel Lazio, per antiche lenticchie tonde e gustose, marrone chiaro con sfumature che vanno dal piombo scuro al cinereo rosato, al verdastro. Se, come i più, mangiamo lenticchie una volta l'anno, pagarle più di quelle importate non sarà un gran sacrificio, e si farà un bel regalo a piccole economie agricole e alla biodiversità del nostro Paese.  

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