22.3.13

Chi censurò le lettere di Cicerone (Luciano Canfora)

Particolare dal busto marmoreo
di Cicerone ai Musei Capitolini
Quello che segue è un vecchio articolo per “L’Europeo” del professore Luciano Canfora che sui temi e le figure della crisi del regime repubblicano nella Roma del primo secolo è poi tornato molte volte, in particolare con un’importante biografia di Giulio Cesare. Qui si racconta come, attraverso l’edizione purgata del suo stesso epistolario, Cicerone, difensore dell’antica Repubblica, venga progressivamente assunto tra i precursori del nuovo regime inaugurato da Augusto, un principato basato sull’imperium, cioè sul potere militare che tuttavia lasciava in vita molte strutture e istituzioni della vecchia repubblica, prima fra tutte il Senato. (S.L.L.)
Luciano Canfora in una foto degli anni 80
L'uccisione di Cesare, come sogliono gli attentati contro i «simboli», si risolse in un fallimento per chi l'aveva voluta. Le legioni cesariane non si sfaldarono per la scomparsa del loro capo. Inquieti per la propria incolumità, i «liberatori» finirono con l'allontanarsi da Roma.
Si riapre così lo scontro delle fazioni, ma è presto inquinato da un nuovo e inatteso protagonista giunto quasi inosservato dalla Grecia: un giovane dall'aria fragile e dalla volontà di ferro, divenuto da pochi mesi figlio adottive di Cesare. È il diciannovenne Ottaviano. Con un calcolo ineccepibile, ma di grande cinismo, egli si schiera contro Antonio, braccio destro di suo padre, ed arruola alla luce del sole un esercito personale. È soprattutto il vecchio Cicerone, ritornato nell'arena politica dopo anni di silenzio forzato e di sofferto servilismo, a farsi garante presso i liberatori della buona fede repubblicana del giovane avventuriero: il vecchio e consumato politico è convinto di avere tra mano poco più che un adolescente.
A Modena, nell'aprile del 43, lo scontro armato: una «drôle de guerre» che offre ad Ottaviano la grande occasione. Antonio battuto, sia pure in uno scontro da poco, i consoli, artefici della vittoria, morti entrambi in battaglia (ma qualcuno sussurrò che proprio Ottaviano avesse fatto versare del veleno nella ferita di uno dei due, che poteva salvarsi). Notoriamente privo di doti militari, Ottaviano è rimasto così unico vincitore, ed ora può ricattare sia l'avversario in difficoltà (che non ha interesse ad approfondire la frattura tra i cesariani) sia l'alleato (cui chiede l'impossibile: la nomina a console a soli diciannove anni).
Il colpo di Stato indolore non viene deglutito dal Senato, sgomento ed impotente. Ai primi di agosto Ottaviano marcia su Roma, a novembre stringe il patto con Antonio e Lepido. Nasce il triumvirato, cementato dal massacro di centinaia di proscritti. Ogni triumviro ha la sua lista; il primo nella lista di Antonio è Cicerone, che per mesi ha inveito contro di lui assente, nel Senato ormai ridotto a un consesso di fantasmi della risorta repubblica. Ottaviano è d'accordo. Il patetico e perplesso tentativo di fuga di Cicerone va a vuoto: si ritira nella sua villa di Formia, e qui viene ucciso il 7 dicembre del 43.
Ma Cicerone aveva un grande amico, l'amico di tutta la vita: Attico, il destinatario di centinaia di lettere anche delicatissime. E Attico viene risparmiato, mentre cadono, ad uno ad uno, parenti e amici del vecchio consolare. Narra Cornelio Nepote che fu personalmente Antonio a scrivere un biglietto ad Attico per rassicurarlo e garantirgli l'immunità.
Attico è un uomo prezioso per i nuovi padroni. Il raffinato epicureo, intriso di cultura greca ed editore in grande stile, ha conservato per anni presso di sé l'incandescente lascito delle lettere dell'amico fraterno. E se i primi anni dopo la bufera sono stati poco propizi alle imprese editoriali, già nel 35, in tempi di serenità ritornata e all'apparenza definitiva, le lettere dell'amico riemergono dall'ombra. Il diligente Cornelio, buon amico di Attico e suo biografo, annunzia di aver visto in quell'anno negli ateliers della casa editrice una raccolta delle lettere scritte da Cicerone ad Attico «dai tempi del consolato fino alla morte»: venti anni di storia, commenta Cornelio, narrata come meglio non potrebbe la più scrupolosa delle monografie.
Consapevole dell'importanza di ciò che Cicerone era venuto scrivendo giorno per giorno, Attico aveva man mano accentrato presso di sé tutto il materiale superstite: non solo le lettere di cui era egli stesso destinatario, ma anche quelle agli altri corrispondenti, e persino quelle che si erano scambiati Cicerone e Bruto, il cesaricida, negli ultimi tempi prima del grande massacro, delle quali incredibilmente una copia era finita presso Attico.
Ma quanto era ampia la raccolta che vide Cornelio? Senza rendersene conto, Cornelio rivela un dato prezioso: la raccolta che ha visto incominciava con il consolato di Cicerone (63 a.C.) e giungeva fino alla morte dell'oratore. Dunque Cornelio ha visto anche le lettere scritte da Cicerone negli ultimi tre mesi di vita, da agosto a novembre del 43, dal colpo di Stato di Ottaviano ai giorni allucinanti delle proscrizioni. E invece queste lettere noi non le leggiamo più. La più recente di quelle giunte a noi è del 27 luglio del 43, giusto pochi giorni prima della marcia su Roma. Mancano inoltre tutte le lettere dell'anno 63, l'anno del consolato e dello smascheramento della congiura. E mancano anche quelle dell'anno 57, l'anno delle trattative per il richiamo di Cicerone dall'esilio.
Questi tre buchi hanno qualcosa in comune: mettono al riparo sia Cesare che Ottaviano. Gli anni di Catilina erano stati tra i più bui della carriera di Cesare, e ciò era ben noto; e senza dubbio la quotidiana corrispondenza confidenziale di Cicerone ne dava conto in modo ampio e pungente, se ancora nell ultima sua opera, il De officiis, Cicerone si dichiara convinto della complicità di Cesare coi catilinari. L'anno 57 aveva visto le manovre poco pulite dei tribuni asserviti a Cesare nella questione della revoca dell'esilio di Cicerone: tardiva vendetta di chi sulla congiura aveva infelicemente puntato. Ma soprattutto la corrispondenza degli ultimi mesi era scottante per l'erede di Cesare, la cui resistibile ascesa disinvoltamente giocata sulla pelle dei santoni del vecchio regime ha suggerito non a torto a Ronald Syme il parallelo con la non meno tragicomica marcia su Roma di Mussolini.
Molto dunque è stato lasciato cadere, ma un biglietto di poche parole è stato conservato dall'editore postumo, nel bel mezzo della raccolta: è il biglietto invasato che Cicerone ha scritto, poche ore dopo l'uccisione di Cesare, ad uno dei pugnalatori, Minucio Basilio: «Evviva. Mi rallegro con te. Gioisco. Ti voglio bene!» (Familiari, 6,15). E ugualmente conservati sono tutti i biglietti che Cicerone scrive nei giorni seguenti, quando incominciano le delusioni, e si sfoga con Attico dicendo che le idi di marzo restano la sua unica consolazione.
È dunque Ottaviano l'artefice dell'operazione «lettere», ed Attico è stato il suo prezioso strumento. Risparmiato da Antonio nel momento del più grande pericolo, Attico è infatti diventato in breve tempo l'intrinseco confidente di Ottaviano. Non passava giorno senza che Ottaviano gli scrivesse, anche solo per dirgli delle sue letture o dei suoi spostamenti, anche quando tutti e due erano a Roma. Ottaviano è come subentrato a Cicerone nel ruolo di corrispondente privilegiato di Attico. Così narra Cornelio.
Quando Jerome Carcopino formulò questa ipotesi, in un libro apparso subito dopo la guerra, Les secrets de la correspondance de Cicéron (1947), gravava sull'autore, ex ministro di Pétain, la recente infamia del collaborazionismo. Il libro fu accolto male. Insorse, per la Francia «pulita», André Piganiol, a difendere l'onore dell'ultimo repubblicano. E ancora qualche anno più tardi un noto studioso inglese definiva il libro di Carcopino «martellante come i discorsi di Goebbels».
Eppure non si era trattato del massacro tardivo della memoria di Cicerone. Molte inutili contorsioni concettuali e filologiche il torrenziale libro di Carcopino conteneva, ma conteneva anche la giusta intuizione della matrice augustea dell'edizione postuma delle lettere di Cicerone, perfidamente rovinosa per la memoria del vecchio martire dell'«ancien regime»: manipolazione compiuta con le parole stesse della vittima.
Ma l'operazione era stata più complessa. Il regime di Augusto, lunghissimo, ebbe varie fasi e molte facce. Alla fine Cicerone fu assunto, a suggello della restaurazione repubblicana voluta dal principe, quale simbolico padre e profeta di un insolito regime monarchico ammantato di forme e di tradizioni repubblicane.

L’EUROPEO / 26 MAGGIO 1984

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