12.3.13

L'ermellino (Carlo Grande)

Un predatore bello e fulmineo,
lungo come la tastiera di un computer

E’ un predatore piccolo e fulmineo, bello e spietato; nella neve si muove agilissimo, salta su rocce, alberi, nuota. L'ermellino sa mimetizzarsi, la sua pelliccia in questo periodo - nel quale le femmine stanno per partorire - è diventata bianca e lo rende quasi invisibile: più che altro è un'idea famelica nella neve. Da devoto carnivoro si muove con velocità, sorprende tutti, prede (piccoli animali) e umani.
Antiche leggende lo dipingono scaltro, capace di affascinare e incantare con acrobazie gioiose e vivaci le vittime; danze rituali elaborate, prima del colpo fatale. La pelliccia pregiatissima l'ha reso oggetto di caccia spietata e il candore del mantello è un'arma in più: nonostante la piccola taglia è al vertice della catena alimentare ma annovera qualche nemico come il gufo reale, l'astore, la lince.
È simbolo di purezza e incorruttibilità. Annotava Leonardo: «Prima si lascia pigliare dai cacciatori che voler fuggire nell'infangata tana, per non maculare la sua gentilezza», cioè il mantello bianco. Il suo nome greco è «gale». Il celeberrimo dipinto La dama con l'ermellino alluderebbe al cognome della fanciulla ritratta, Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro. Ma l'animale raffigurato è in realtà un furetto, leggermente più grande e più addomesticabile; l'ermellino non starebbe docilmente fra le mani di una dama.
Poco importa. L'ermellino - molto simile alla donnola ma di dimensioni inferiori - nel duro inverno sceglie zone boscose, pietraie e massi per farne il suo rifugio. Conosce l'arte della resistenza. Quella che aiuta - spiega il libro della psicoterapeuta Ivana Castoldi (Ricomincio da me, Feltrinelli) - a uscire fortificati da un periodo di sofferenza, a diventare più lucidi e resistenti.
L'ermellino è lungo, coda compresa, come la tastiera di un computer e come un computer è programmato per nutrirsi di carne. Il suo candore è macchiato solo dalla punta della coda, sempre nera. Finisce sulle spalle di accademici, di giudici e nobiltà varia, che sono anche loro ai vertici della catena sociale: volessero graziosamente, in queste ore di seggi e di saggi, di incarichi, di vuoti e di vóti e promesse solenni, riconsegnarci un po' di giustizia.
Facciamo anche noi voto e speriamo, come i ragazzi della Storia di Tònle Bintarn: nelle tre ultime sere di febbraio, scrive Mario Rigoni Stern, escono con i campanacci a chiamare la primavera.

“La Stampa”, gennaio 2013

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