Sulle parole di Francesco Rosi, 88 anni portati con lucida pazienza, sibilano gli elicotteri che vegliano sulla manifestazione in difesa della Costituzione. A Roma è un pomeriggio di lotta e di inizio primavera, uguale a tanti, diviso tra bandiere al vento e magnifico tramonto. L'Italia è questa, un nodo di contraddizioni stridenti, la battaglia eterna tra bellezza e degrado, cultura e violenza. Rosi gli ha dedicato un'intera vita di cineasta appassionato e rigoroso, film dopo film, dalla Sfida sulla proto-camorra napoletana a Salvatore Giuliano sull'epopea del bandito siciliano, dal Caso Mattei a Le mani sulla città, da Tre fratelli a Cadaveri eccellenti. La chiave di volta, spiega, è sempre stata raccontare con lo spirito dell'inchiesta, stando attento a non mitizzare i personaggi criminali perché «l'importante è soprattutto il contesto in cui si muovono». Il paesaggio èquell'Italia che oggi Rosi dice di avere difficoltà a cogliere «nella maniera giusta, perché la storia che stiamo attraversando è troppo confusa».
Quali sono le differenze più grandi con l'Italia del passato?
«Gli uomini politici sono molto diversi. Quelli di allora, nonostante le nette distinzioni, penso alla Dc e alla sinistra, avevano idee chiare e vivevano la politica con la passione e con la fiducia di poter costruire un Paese che mettesse insieme l'una e l'altra parte, vedi la nascita del centro-sinistra. Nei nostri giorni la politica è diventata terreno di uno scontro differente, luogo di continue trasmigrazioni e di una compravendita che ai tempi, per esempio di Mani sulla città, escludo potesse raggiungere certe vette».
Nel quadro dell'Italia contemporanea che cosa la scoraggia di più?
«Le cose peggiori sono la crescita della corruzione e l'aumento del potere criminale. La prima è venuta alla luce con Tangentopoli, allora, per la prima volta, si è visto quanto era vasta e diffusa la catena che la esercitava. Il secondo riguarda la mafia e la camorra che ormai fanno quello che vogliono, rafforzate grazie al narcotraffico, dopo il naufragio di quelle idee che vedevano nella liberalizzazione della droga un modo per controllarne la diffusione. Fu Craxi a volere, invece, una legge molto repressiva nei confronti di chi faceva uso di stupefacenti. I risultati sono tuttora evidenti».
I suoi film hanno raccontato un Paese con molte ferite e molte sofferenze, ha mai perso la speranza nel miglioramento?
«L'Italia è un grande Paese con molti difetti, che io ho rappresentato nei miei film, ma non ho mai smesso di amarlo ne' di pensare che abbiamo una grande storia e una grande cultura e che dobbiamo trovare il modo per sfruttare al meglio queste caratteristiche». Quali sono i valori intorno a cui, a 150 dalla sua nascita, l'Italia potrebbe ritrovare coesione? «L'unita' dovrebbe partire dal rispetto verso la magistratura, sono molti i magistrati che in Italia sono morti per difendere le idee della giustizia e del potere legale, cioè esente da contaminazioni e intromissioni criminali nelle organizzazioni dello Stato».
C'è anche chi dice che l'Italia starebbe meglio divisa.
«Quella è un'altra follia, siamo nati dalla tensione verso l'unità, separarsi non avrebbe senso».
Da dove bisogna ripartire?
«Dalla scuola, che deve essere in grado di trasmettere cultura e civiltà, sottraendo i giovani al fascino del denaro facile e spingendoli a interessarsi alla vita sociale del Paese. I ragazzi vogliono sapere, partecipare, lo abbiamo visto e sentito nelle loro ultime manifestazioni, la scuola dovrebbe saper incanalare la parte migliore di queste energie. Il problema dei giovani è molto serio, e mi sembra importante che il nostro Presidente della Repubblica lo ricordi spesso».
E il cinema, serve?
«Il cinema è un altro mezzo importante, i film realizzano l'identificazione del pubblico con problemi e personaggi. Berlusconi disse che film come Gomorra e fiction come La piovra facevano male all'Italia, invece servono a far riflettere».
Che augurio fa all'Italia che compie 150 anni?
«Tenere presente la parte migliore di se stessa, quella che sa come è stata e come deve continuare ad essere, civile, colta».
da un’intervista a Fulvia Caprara, “La Stampa” 13/3/2011
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