22.4.13

La breve estate di Giuni Russo (di Luigi Manconi)

Una paginetta dal bel libro di Manconi sulle canzonette per ricordare una grande voce e una grande intelligenza musicale siciliana: Giuni Russo (1951-2004). Il titolo è mio e maliziosamente ispirato a un libro di Hanz Magnus Enzemberger, La breve estate dell'anarchia. (SLL)

La musica leggera ha due scenari ideali: quello urbano-malinconico e quello marino-gioioso. Gli scenari in realtà sono infiniti, quanto lo sono gli stati d'animo. Ma, per frequenza e pertinenza, i paesaggi essenziali della musica leggera possono considerarsi propriamente questi due.
Chi diede dello scenario marino-gioioso l'interpretazione più radicalmente contraddittoria fu, come si è visto, Gino Paoli. La sua Sapore di sale resta qualcosa di insuperato e probabilmente di insuperabile, proprio perché riuscì splendidamente a utilizzare il paesaggio estivo, con i suoi tratti essenziali di spensieratezza e spaesamento, per inventare una situazione totalmente «fuori stagione». Si tenga conto del fatto che Sapore di sale non è in alcun modo una canzone malinconica, e nemmeno una canzone paoliana nel senso classico della produzione di Gino Paoli: è, piuttosto, una canzone serena, attraversata come da una sensazione di pericolo. Una felicità insicura e precaria, come - sembra dire l'autore - tutte le felicità possibili in questo mondo.
Gino Paoli, ovviamente non poteva saperlo, ma il successo di quel brano, oltre a inaugurare un genere (già anticipato tuttavia da motivi come Legata a un granello di sabbia e Pinne, fucile ed occhiali), aprì una cataratta. Il modulo di quella canzone divenne preda di una schiera infinita di autori e cantanti, inaugurando così la canzone dell'estate come, per un verso, motivo dominante di un'intera atmosfera feriale e, per l'altro, come fondamentale risorsa di mercato. Sullo sfondo, e alla base di tutto ciò, c'era un dato economico-sociale di primaria importanza: gli italiani andavano in vacanza e, in primo luogo, andavano al mare. Quelle «canzoni per l'estate» celebravano il nuovo rito sociale e il maggior benessere di massa che rivelava, le abitudini collettive e gli stili di vita che promuoveva.
Andò avanti così per alcuni decenni, fino a Un'estate al mare. Fu un grande successo di vendite. Fu un'astuta operazione commerciale. Fu, va detto, anche un ardito atto situazionista. Una sorta di détournement applicato alla musica leggera. Dietro, ovviamente, c'era Franco Battiato.
In realtà, l'operazione è facilmente smontabile e spiegabile: si prende un motivetto allegro - ennesima variabile, con alcune invenzioni e poche deviazioni, del modello-base «stessa spiaggia stesso mare» - ci si scrive sopra un testo, in apparenza uguale spiccicato a tutti i testi precedenti del medesimo genere, ma dove sono stati seminati ammiccamenti e allusioni che rivelano una certa ironia, e poi lo si affida a una voce totalmente estranea e straniante. Quella di Giuni Russo, appunto. Questo è Un'estate al mare.
L'operazione ha funzionato benissimo e così - con una certa riluttanza e, forse, un qualche imbarazzo - Giuni Russo ha interpretato una decina di formidabili «canzoni per l'estate». Esse costituiscono un capitolo significativo della musica leggera italiana. Innanzitutto per quella loro ispirazione - esagero volutamente - «eversiva», in quanto capace di spiazzare e ribaltare il senso comune e il linguaggio condiviso, enfatizzandoli fino al nonsense.
E infatti lo stile balneare di Giuni Russo è, evidentemente e felicemente, balneare; e vale per quella lunghissima striscia di sabbia e roccia che costituisce il perimetro della nostra penisola, dove le grandi differenze ecologiche (tipo di spiaggia, natura dei fondali, qualità del mare, varietà della vegetazione, morfologia dell'entroterra...) si arrendono all'opera di «turistizzazione», omologandosi nella successione di stabilimenti e camping e villaggi e nelle forme del consumo collettivo della natura. Epitome di tutto ciò, ma capace di difendere una propria peculiarità, residuale e precaria, è quell'Alghero cantata da Giuni Russo nel brano omonimo, pubblicato nel 1986. In quegli anni, Alghero era un luogo dove ancora si potevano lanciare «languide occhiate» e dove si poteva assistere, dai bastioni a «un tramonto caldo e mitico» (oggi, su quegli stessi bastioni, alcune inaudite catapulte in legno massiccio nero, volute da una giunta palesemente in preda alla follia, graffiano la linea dell'orizzonte irreparabilmente).

La musica è leggera, il Saggiatore, 2012

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