18.4.13

Speranza di resurrezione (Robert Louis Stevenson)

Robert Louis Stevenson
Il brano che segue è tratto dalla lettera ad una donna che Robert Louis Stevenson amò appassionatamente. E' ripresa dall’epistolario che Michel Le Bris tradusse in francese e curò nel 1994, inserendovi alcune lettere dello scrittore pubblicate per la prima volta in una versione non censurata e ristabilita in base ai manoscritti originali (Les lettres du vagabond). La destinataria della lettera, Fanny Sitwell, divenne in seguito moglie di Sidney Colvin, amico di Stevenson e primo editore della sua corrispondenza. Questo spiega la drastica censura da lui operata sulle lettere alla Sitwell. 
Ho ripreso le notizie e la lettera da “La Stampa” del 20 agosto 1994, ove vennero pubblicate come lettura estiva per la cura di Gabriella Bosco. (S.L.L.)

Fanny Sitwell
A Fanny Sitwell
Hotel du Pavillon, Mentone nov. 1873, giovedì
Oggi mi sento del tutto ristabilito, sono anche sceso a Mentone a comperare un libro (una camminata piu' che rispettabile). In qualità di essere pensante, certo, non ho ancora ripreso la mia esistenza; la mia anima immortale è ancora sul punto di spegnersi; ma non bisogna perdere le speranze.
Partire per il Sud: è benefico solo quando si porta con sé la propria anima, capisci? E qui la mia è raramente con me. Dove siete dolci bellezze? Ne ho perso la ‘chiave’; non sono più altro che un essere passivo, inerte, che contempla il susseguirsi delle belle giornate, cosciente della propria inutilità. Allora non dire più sciocchezze, non credere che la conquista della libertà passi per la malattia e le cure di riposo al sole. Non è l'uccello del cielo che si trova così liberato; solo uno spirito bloccato e ottuso, inetto al piacere, un uomo d'argilla.
Partire per il Sud! Io ho visto, ai tempi in cui i miei occhi sfavillavano di salute, ben più bellezze in un solo pomeriggio di vento e di pioggia in Scozia che non in una intera settimana nello splendido uliveto e tra le colline grigie che allietano la mia ‘miserabile condizione’, come si dice al catechismo. E' una ben triste cecità, la cecità dell'anima....
Sono incapace di reagire. Ho una sete immensa, una sete d'aria pura e delle luci del Paradiso; il mondo avrà un bell'appartenermi, mai mi accontenterò di quello che hanno da offrirmi le sfere inferiori. Certo non è sgradevole trovarsi in riva al mare, senz'altra distrazione che il rumore delle onde e la carezza del sole sulla pelle. Ma io, un tempo, sono stato arcangelo. Sono, mia tenera amica, perseguitato dalla fatalità. E' nelle tue mani (lo dico senza esagerare) la mia speranza di resurrezione.
Il sempre tuo,
R. L. S.

Nessun commento:

Posta un commento