27.6.13

Il caso Phye. Erodoto, Aristotele e l'ingenuità degli Ateniesi (Roberto Calasso)


"Aristotele diè lege", Particolare dal Capitello della Giustizia, Palazzo Ducale, Venezia 
 Phye era una bella ragazza di campagna, alta quasi quattro cubiti. Viveva nel demo di Peania. Quando Pisistrato volle tornare dall'esilio per ristabilire la tirannide, andarono a cercarla. La rivestirono di una ricca armatura, le mostrarono come avrebbe dovuto atteggiarsi per apparire ancora più imponente. Poi la fecero salire su un carro, che mosse verso Atene, preceduto da araldi. Questi annunciarono per la città che Pisistrato stava tornando, ricondotto all'acropoli dalla dea Atena, che lo aveva caro. «E i cittadini, convinti che la donna fosse la dea in persona, veneravano una creatura umana e accoglievano Pisistrato».


Erodoto commenta che questo inganno «fu di gran lunga il più ingenuo - da quando almeno, in antico, si separò dai barbari la stirpe ellenica, che era più accorta e più aliena da puerile ingenuità». Ma, come sempre, è l'inganno a svelare una verità che altrimenti potrebbe sfuggire. Quel secondo ritorno di Pisistrato avveniva nell'anno 541, pochi decenni prima dell'acme di Eraclito. I cittadini di Atene, pur immensamente accorti nel condurre la lotta politica, erano anche pronti ad accogliere la possibilità che un giorno la dea Atena entrasse su un carro nella loro città.

È facile immaginare quale sorte abbia avuto presso gli storici quella che Gaetano De Sanctis definì « l'assurda narrazione della donna formosa che, sotto le spoglie mentite di Pallade, avrebbe scortato Pisistrato in città ». Si sa che è un vezzo antico degli studiosi additare la «puerile ingenuità» di Erodoto, come già Erodoto aveva additato la «puerile ingenuità» dei barbari.


Rimane il fatto che Aristotele, dal quale ogni studioso dell'antichità classica ha tratto il modello della razionalità, racconta il secondo ritorno di Pisistrato negli stessi termini di Erodoto, anzi aggiungendo qualche precisazione sulla figura di Phye, e così esacerbando ancor più Gaetano De Sanctis con « ciance senza valore che attestano soltanto lo scarso senso storico di chi le ha raccolte». Scrive Aristotele: «Undici anni dopo, Megacle, messo alle strette dalla propria fazione, iniziate trattative con Pisistrato a patto che questi sposasse sua figlia, lo fece ritornare in modo degno degli antichi tempi e davvero semplice. Sparse la notizia che Atena riconduceva Pisistrato e, trovata una donna imponente e bella, del demo di Peania, come dice Erodoto, o del demo di Collito, come dicono altri, una fioraia di origine tracia, di nome Phye, dopo averla abbigliata in modo da imitare la dea, la fece entrare in città insieme con lui - e Pisistrato compì il suo ingresso in città sul carro, con la donna a fianco, e i cittadini prostrati l'accolsero pieni di meraviglia».


Il particolare più rilevante, nel testo di Aristotele, è il giudizio stesso sul ritorno di Pisistrato: «degno degli antichi tempi e davvero semplice». Un secolo prima, Erodoto doveva ancora sforzarsi di esercitare quella nuova e prodigiosa virtù ellenica che era la accortezza «aliena da ogni puerile ingenuità». Perciò era tenuto a presentare il ritorno di Pisistrato come un fatto quasi inverosimile.


Il più sobrio Aristotele vedeva già, invece, con occhio pienamente moderno. E appunto per questo non esprimeva alcuna perplessità sui fatti, riconoscendo in quel ritorno guidato dalla dea-fioraia un'ultima apparizione di un mondo perduto, dove la linea di separazione fra gli dèi e i mortali era ancora avventurosa e fremente. Il ritorno di Pisistrato poteva davvero essere giudicato «degno degli antichi tempi», quando il potere della metamorfosi era ancora tale che una fioraia poteva essere scambiata per una dea nelle strade di Atene.

da Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1988

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