Campobello di Licata, la piazza principale negli anni 60 |
Per i depositari della
tradizione orale del mio paese natìo, Campobello di Licata (tra
sopravvissuti e cultori della materia non si supera la dozzina)
l'associatu è la grande retata del prefetto di ferro, Mori, nel
1929, e il processo che ne scaturì. Quanto all'etimo ci sono due
possibili spiegazioni: il termine allude al reato di associazione a
delinquere o al fatto che ognuno degli arrestati - secondo l'uso dei
dispacci d'epoca - veniva "associato" al carcere
agrigentino di san Vito.
Nella retata, e forse
anche nei processi, si usarono metodi che coinvolsero persone che
nulla avevano a che vedere con le cosche. La violenza della
repressione indiscriminata, del resto, lasciò tracce nella memoria
collettiva di tutto il popolo siciliano. Girolamo Li Causi fu il capo
comunista che con inaudito coraggio sfidò la mafia e la sua potenza
di fuoco, fin nei suoi covi considerati inaccessibili; pagò col
sangue (una ferita grave da cui guarì con qualche menomazione) il
suo comizio a Villalba ove osò chiamare a confronto il capo di Cosa
Nostra, "don" Calò Vizzini, e i suoi accoliti, ottenendone
fucilate. Eppure, nella battaglia politica, fu proprio Li Causi a
coniare il motto, caro a Leonardo Sciascia, "né mafia né
Mori", espressione della volontà di combattere il potere
criminale rispettando lo stato di diritto.
Nell'associatu, come che
che sia, vennero coinvolti piccoli delinquenti
(scassapagliara) e perfino alcuni innocenti che dopo alcune settimane
vennero liberati; ma nella rete rimasero impigliati anche alcuni
"pezzi da novanta", tra cui quel Calogero Sferrazza di cui
c'è traccia in questo blog; e uno dei suoi fratelli, Rocco, che non
era un capo, ma aveva a suo carico più di un omicidio. Insomma lo
rinchiusero "in collegio" (così si dice in gergo),
donde uscì alla Liberazione, senza di finire di scontare la pena
che, se non ricordo male, era vicina ai trent'anni.
Si sposò subito,
seguendo le strategie d'alleanza matrimoniale tipiche del suo mondo,
con una Montaperto, Rosina credo, di quella famiglia che avrebbe
espresso un capo riconosciuto della mafia, Antonino, e un sindaco e
segretario provinciale della Dc, Vito figlio di Antonino, ucciso in
un agguato del 1953, forse per la sua volontà di recidere certi legami.
Rocco Sferrazza nel
dopoguerra non venne coinvolto in nessun fatto criminale e appariva
uomo simpatico e pacifico. Per alcuni anni gestì proprio al centro
della piazza un caffè, che all'apertura fece scalpore per gli
specchi che lo arredavano. Per un po' di tempo funzionò anche da
ristorante per i rappresentanti di passaggio che non amavano la
plebea "taverna": lo zio Rocco faceva il cuoco. Ma il
lavoro non faceva per lui e abbastanza presto diede quel bar in
gestione ad altri.
Nei periodi
natalizi, ma solo negli anni in cui i carabinieri avevano l'ordine di non far
giocare d'azzardo nel circolo dei possidenti e negli altri circoli,
lo "zi' Roccu" apriva una bisca assai poco clandestina, nel
sottotetto della sua casa, sulla piazza principale. Funzionava un
sistema di comunicazione che da tetto a tetto avvisava dei movimenti
dei gendarmi e un congegno per cui rapidamente scomparivano carte,
sabot e altre tracce del baccarat e altrettanto rapidamente
comparivano le focacce e i buccellati per fingere un incontro festivo e
festoso di amici. C'era anche un bel presepe. Quando vennero i
carabinieri furono costretti a cantare Tu scendi dalle stelle insieme
ai giocatori.
Nella improvvisata bisca
Rocco non tenne mai banco e neppure puntava: raccoglieva la tangente
che in questo caso non si chiamava pizzu, ma masciu ("mastro"),
una percentuale che retribuiva lo spazio occupato, le attrezzature
necessarie e l'abilità del gestore. In compenso teneva banco nelle
chiacchierate in piazza, sul grande marciapiede centrale chiamato
scanaturi (spianatoia). Si proclamava poeta: in carcere aveva letto
la Divina Commedia che ogni tanto citava o recitava a memoria, aveva
avuto a suo dire le visioni (soprattutto della Madonna) e ne aveva
tratto un lunghissimo poema autobiografico, Vita e visioni di
Sferrazza Li Calzi Rocco.
Mi capitò di leggerne
uno stralcio dalla prima parte, Allattamento, che s'apriva con un
solenne: "Latte non mi ebbi dalla mamma / causa partorienza
disastrata. / Avara fu per me l'amata donna / ed anche in ciò la
sorte mi fu avversa, matrigna e tiranna". Vi raccontava come
"poppando or da questa or da quella", venisse in braccio a
una zitella ingannevolmente prosperosa: "Piansi quel giorno,
piansi amaramente / causa succhiare vanamente". Il vecchio
galeotto soleva dire che Dante lo "fotteva" per l'arte, ma
non per la profondità dei concetti.
Quanto alla politica credo che nel voto si comportasse come i suoi congiunti Montaperto, ben inseriti nella Dc anche dopo la morte precoce del promettente sindaco; ma nei discorsi di piazza si prendeva molte libertà e si proclamava idealmente "comunista. "Dio - diceva - non tracciò confini e non elevò siepi, diede tutto a tutti, in comune. Poi gli uomini malvagi si accaparrarono le terre, le miniere, tutte le ricchezze e si nominarono re, principi e baroni. Ma Dio, furbo, creò la notte. Creò la notte e la pistola".
Quanto alla politica credo che nel voto si comportasse come i suoi congiunti Montaperto, ben inseriti nella Dc anche dopo la morte precoce del promettente sindaco; ma nei discorsi di piazza si prendeva molte libertà e si proclamava idealmente "comunista. "Dio - diceva - non tracciò confini e non elevò siepi, diede tutto a tutti, in comune. Poi gli uomini malvagi si accaparrarono le terre, le miniere, tutte le ricchezze e si nominarono re, principi e baroni. Ma Dio, furbo, creò la notte. Creò la notte e la pistola".
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