12.6.13

Marguerite Yourcenar. Gli antichi come noi (di Gian Carlo Roscioni)

Capita di rado che un coccodrillo (di solito l’elogio di una grande personalità che se ne è andata) sia una stroncatura.
Così accade invece in questo vecchio articolo da “la Repubblica” (seguito da un'essenziale cronologia), che espone – con qualche cautela - una tesi davvero discutibile: quello della Yourcenar sarebbe un umanesimo regressivo, incapace di fare i conti con la modernità.
Leggere il pezzo può invogliare a riletture che davvero consiglio. La Yourcenar, infatti, non è una classicista, ma proprio un “classico” e le sue opere non smettono mai di dire ciò che hanno da dire. (S.L.L.)
La scrittrice da giovane
Marguerite Yourcenar (morta giovedì sera in un ospedale del Maine a 84 anni) non aveva interesse per il nostro tempo, non amava parlarne. In anni in cui tutti credevano, e credono, di aver qualcosa da dire sulle esperienze che attraversiamo, questo silenzio la singolarizzava, creando tra la sua opera e noi una distanza che pare incolmabile. Non alludo al quadro esterno dei suoi racconti, le cui vicende si svolgono, per lo più, secoli o millenni prima di noi, ma piuttosto al modo con cui quei fatti vengono osservati e narrati. Alla Yourcenar gli antichi sembravano sostanzialmente simili ai suoi contemporanei (anche loro, come noi, sgranocchiarono olive, bevvero vino, si impiastricciarono le dita di miele): nutrita di letture classiche, umanista lei stessa, rifiutava fermamente lo spirito anti-umanistico della nostra cultura, al punto di non avvedersi che viviamo in un mondo in cui sempre più raramente capita di sgranocchiare olive o di impiastricciarsi le dita di miele. La distanza della Yourcenar da noi non sta, in altri termini, nel suo parlare di Adriano, ma nel parlare di Adriano come se la nostra cultura fosse quella di Adriano. L' impresa, teoricamente, è possibile: bisogna però rendersi conto che la vera difficoltà non è calarsi nel personaggio e nel suo tempo così profondamente da restituire nella loro integrità la psicologia di un uomo e il tono di un'epoca. La posta è molto più grossa: si tratta, niente di meno, di riproporre, all'interno di una cultura anti-umanistica come la nostra, una visione e una letteratura antropocentriche come quelle, non dirò di Adriano, ma della grande tradizione umanistica europea. La Yourcenar ha scritto un bel libro, anzi diversi bei libri, ma non sono sicuro che abbia vinto la sua scommessa. Certo è, in ogni caso, che ha dovuto pagare, per questo azzardo, un prezzo piuttosto alto. Se infatti il successo della sua opera ha raggiunto negli ultimi decenni le dimensioni di una vera e propria popolarità, testimoniata da molte ristampe e traduzioni, la critica più avvertita, e più ascoltata, ha continuato a lesinarle quell' attenzione che il pubblico, in misura sempre crescente, le ha prodigato. E' vero che questo si deve, almeno fino a un certo segno, all' estraneità della scrittrice alle battaglie ideologiche e anti-ideologiche, alle teorie, alle petizioni di principio, in una parola agli ismi che hanno divampato sulla scena letteraria francese e internazionale lungo tutto il secolo (si può anzi ravvisare qui un punto di contatto tra la Yourcenar ed alcuni scrittori, dei più illustri del nostro tempo, che si sono sempre mostrati poco sensibili alle sollecitazioni e alle provocazioni delle scuole). Ma io credo che la scelta, per certi versi troppo semplice, cui accennavo in principio, abbia avuto la sua parte in questa disgrazia. Si aggiunga che l' elezione della Yourcenar all' Académie Francaise nel 1981, se ha avuto il risultato di far figurare il suo nome sui titoli dei giornali di mezzo mondo, non ha certo contribuito a rinsaldare il suo prestigio né in Francia né altrove. Non è un segreto che il venerando istituto vive da tempo una sua, parrebbe, irrimediabile decrepitezza; e che, a giudicare dalle ammissioni e dalle esclusioni, uno scrittore il quale voglia trovarsi in buona compagnia debba preferire non essere insignito di tanta distinzione. Anche il più vistoso effetto editoriale dell'elezione, l'ingresso dell' opera narrativa della Yourcenar nella collana della Pléiade, non sembra sia stato sufficiente a modificare l'atteggiamento dei lettori più esigenti: la letteratura critica sulla scrittrice resta senza rapporto con le tirature raggiunte dai suoi libri.
A chi non voglia lasciarsi influenzare da queste fortune e disavventure, la Yourcenar appare anzitutto come una narratrice di solidissimo mestiere e di prodigiosa versatilità. Ha scritto romanzi, saggi, commedie, poesie, memorie; ha potuto ambientare i suoi racconti nella Roma del II secolo, nelle Fiandre del XVI, nell' Italia del XVII, in India, in America, in Cina, muovendosi sempre con disinvoltura e competenza in mezzo a situazioni, paesaggi e personaggi diversissimi. La straordinaria cultura e uno scrupolo quasi filologico nella documentazione non hanno mai soffocato la trama e le invenzioni: la popolarità, sotto questo profilo, è venuta a premiare la capacità di tener sveglio l'interesse del lettore anche tra divagazioni filosofiche e analisi psicologiche talvolta sostenutissime. Come i romanzieri del passato, la Yourcenar ama raccontare, magari brevemente, intere esistenze, accompagnando i suoi eroi dalla culla alla tomba: solo il completo percorso di una vita può, ai suoi occhi, illuminare il destino di un individuo, e le sue prove più convincenti sono spesso in certi sommessi inizi, o desolate code, in cui rende conto di quanto è accaduto ai personaggi prima e dopo gli eventi intorno a cui la storia s'impernia. Le situazioni che predilige sono, in genere, alquanto torbide: la lezione di Gide manifesta soprattutto nelle opere giovanili o nelle prime stesure di quelle della maturità si rivela nella tensione morale che accompagna la rappresentazione di conflitti legati all'omosessualità e all'incesto (il suo racconto più bello, Anna soror, è la storia dell' amore di due fratelli). Il tema di fondo è sempre l'immensa angoscia dell'uomo, che le suggerisce pagine eloquenti, riflessioni in cui si avverte l'eco della parola di Montaigne o di La Bruyère. Sapienti modulazioni trasformano la sua prosa penso soprattutto all'Opera al nero, ai racconti lunghi in una musica provvista di un, indiscutibile, alto decoro, anche se un po' fredda, lontana, come già ascoltata. Colpiscono nella Yourcenar, o nei suoi personaggi, certi improvvisi accostamenti tra volti, situazioni, oggetti apparentemente irrelati. E' come se una luce, accendendosi subitamente, rivelasse verità nascoste, drammatici confronti. Se queste illuminazioni fossero state più frequenti e meno istantanee, la Yourcenar sarebbe forse potuta andare più lontano, riuscendo magari a parlare di Adriano con più vigile consapevolezza della distanza che ci separa dall'imperatore e scrittore; ma l'ideale umano da lei costantemente perseguito non avrebbe, secondo ogni verosimiglianza, retto alla prova.
 

Appendice
Cronologia di Marguerite Yourcenar
1903 - L' 8 giugno nasce a Bruxelles Marguerite de Crayencour, da padre francese e madre belga. Trascorre l' infanzia fra Lille, Bruxelles e la Provenza, con brevi soggiorni a Parigi.
1919 - Dopo aver studiato privatamente, consegue a Nizza il baccalaureato in latino e greco.
1921-1927 - Comincia a scrivere e a pubblicare poesie e brevi prose, firmandole con lo pseudonimo di Marguerite Yourcenar (anagramma del suo vero cognome).
1929 - Esce il suo primo romanzo, Alexis o il trattato della lotta vana.
1930-1939 - Viaggia molto per tutta l' Europa e negli Stati Uniti. Inizia molti romanzi, ma spesso ne interrompe la stesura.
1939 - Si trasferisce negli Stati Uniti, stabilendosi a Hartford nel Connecticut, dove rimane per undici anni.
1951 - Torna in Europa (in Svizzera e a Parigi), e pubblica Memorie di Adriano, romanzo accolto da un successo clamoroso.
1968 - Esce L'opera al nero, che le vale il Prix Fémina.
1974-1977 - Escono le prime due parti (Care memorie e Archivi del Nord) della sua autobiografia. 1980 - Viene eletta fra gli Immortali dell' Académie Francaise. E' la prima (e per ora unica) donna cui sia mai toccato tale onore.
1983 - Pubblica Il tempo, grande scultore, che raccoglie una parte della sua produzione saggistica. 1987 - Esce La voix des choses, che raccoglie scritti sparsi. Termina la stesura del terzo volume dell' autobiografia. Il 18 dicembre muore a Bar Harbor (Maine) negli Stati Uniti.

“la Repubblica”, 21 dicembre 1987

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