16.7.13

1985. Una biografia americana di Eleonora Duse (Osvaldo Guerrieri)

Eccola anche da noi pubblicata da Bompiani, la Eleonora Duse apparsa l'anno scorso in America. L'autore la scrisse dopo minuziose ricerche e dopo una totale immersione nei misteri di una donna-mito scoperta casualmente in un annoiato pomeriggio newyorkese, al Museum of Modem Art, durante la proiezione di vecchi film interpretati da attori teatrali un tempo famosi.
Le immagini sfrigolanti e accelerate dello schermo gli rivelarono un volto che, a differenza degli altri, compreso quello della Bernhardt, non suscitò nella platea «sadico divertimento», ma rispettoso silenzio, «tesa aspettativa». La Duse interpretava Cenere e, senza voce, pochissimo aiutata dagli altri attori, esercitava il suo incantesimo con la sola dignità del viso rugoso, incorniciato dalla massa bianca dei capelli.
Per Weaver fu una rivelazione. In quel momento nac¬que in lui il desiderio di saperne di più su questa donna non bella, inelegante (i suoi contemporanei dicevano che non indossava gli abiti, ma li portava), refrattaria al trucco anche sulla scena e tuttavia dotata di uno straordinario magnetismo, di una presa sul pubblico esercitata nonostante il repertorio a base di signore dalle camelie, di frou-frou, di pochades dalla invalicabile superficialità.
Un'attrice del suo tempo, in sostanza, ma con un sovrappiù di inquietudine che la spingeva a cercare un repertorio che gettasse le basi di una nuova drammaturgia. Che fosse soltanto un sogno utopico, pochissime volte realizzato anche a costo di colossali equivoci, apparve chiaro dai suoi rapporti con Boito, con Giocosa, con D'Annunzio, con lo stesso Gordon Craig che, sull'Europa delle convenzioni, cominciava a spargere i semi di un'invenzione «corsara». Né la Duse, eccezioni a parte, riuscì ad imporre drammi nuovi nelle sue estenuanti tournées all'estero, fortemente condizionate dalle necessità economiche, per cui l'attrice si adattava a replicare Dumas figlio e Sardou. Il rischio delle incomprensioni e dei «forni» era troppo grave, avrebbe compromesso l'«impresa» di cui lei era responsabile. Perciò, come accade sempre più spesso anche oggi, meglio
andare sul sicuro.
Weaver segue lo sviluppo artistico e le svolte esistenziali della Duse come un detective innamorato. La sua biografia segue l'itinerario di questa bète de théàtre gettata sul palcoscenico fin dall'infanzia, ne fissa le tappe, le affermazioni, le sconfitte, attingendo a piene mani al gran serbatoio delle recensioni e delle memorie che la avevano per oggetto. S'immerge nei rovelli intellettuali dell'attrice, nota come, a differenza di altri divi della scena, la Duse amasse circondarsi di uomini di cultura, di libri. Avvertiva la precarietà dell'arte scenica, notoriamente scritta sull'acqua, e insieme intuiva la profonda novità del teatro ibseniano (sfuggita totalmente a Boito, che definì il drammaturgo norvegese «un farmacista che distilla rabarbaro»).
La biografia di Weaver scorre parallela alla vita dell'attrice. Di conseguenza, la vicenda tormentata dei suoi amori (per non parlare della rivalità con la Bernhardt dei rapporti con la figlia) si svolge come un racconto a puntate. Si comincia con Martino Cafiero e si continua con Arrigo Boito, con D'Annunzio. Per ricostruire questi amori, Weaver ricorre per la prima volta ad un epistolario immenso, abbastanza noioso da leggersi, letterario e retorico. Ma queste lettere, i bigliettini, i telegrammi (quanti ne spediva, la Duse!) hanno la sublime capacità di dirci come ogni sua relazione volgesse presto in autentico disastro.
Con Cafiero il rapporto fu drammatico, quasi tragico, con Boito distante e furtivo, con D'Annunzio febbrile e angoscioso, continuamente avvelenato dalla natura meschina e scarsamente fedele del poeta. Insomma, dice Weaver, la Duse fu una donna sfortunata. Non ebbe successo in amore, non ebbe successo nella ricerca del nuovo repertorio e fu sempre minacciata da una salute malferma, che la costringeva a interrompere le tournées, a lunghi periodi d'inattività, a continue estraniazioni.
La causa di tutto ciò resta tuttavia misteriosa. La Duse non concedeva interviste, non amava confessarsi, elargiva confidenze a pochissime persone (una di queste fu la Serao). Weaver ci dà un bellissimo ritratto pubblico della «divina dalle belle mani», ma non ci dice chi la divina fosse nell'intimità, non ci spiega perché i suoi amanti fuggivano da lei. Resterà quindi senza risposta il sospetto avanzato da molti, secondo cui la Duse soffrisse di una malattia venerea. Cent'anni dopo, il mistero vince ancora.
Né una risposta potrà giungere dalla monografia che Cesare Molinari pubblica proprio in questi giorni da Bulzoni, L'attrice divina - Eleonora Duse nel teatro italiano fra i due secoli (pp. 272, 98 ili. f.t, 30.000 lire). L'opera ricostruisce e descrive il modo di recitare della Duse.

“Tuttolibri – La Stampa”, 18 maggio 1985

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