3.7.13

Cucinelli. La prosopopea del "parvenu" (Salvatore Lo Leggio)




Su “Tuttolibri”, supplemento del sabato de “La Stampa”, trova luogo da anni una rubrica, Diario di lettura, nella quale una personalità della cultura (scrittore, poeta, scienziato, filosofo eccetera) è chiamata a discorrere del sue rapporto con i libri, indicando quelli decisivi per le scelte di vita. Sabato 15 giugno l’intervistato era Brunello Cucinelli, presentato come “filosofo del cachemire”.
Non è la prima intervista importante del lanaiolo di Solomeo, personaggio di moda specie da quando, l’anno scorso, il titolo della sua azienda ha conosciuto in borsa una straordinaria impennata. Ma questa, rilasciata a Maurizio Assalto, è un’incoronazione e di sicuro ha mandato in solluchero il Cucinelli, che si porta appresso, dal padre “che veniva offeso al lavoro e non riusciva a capire perché”, il desiderio di rivalsa, di autoaffermazione anche culturale, tipico dei parvenus e degli autodidatti.
Senza infingimenti egli, infatti, racconta: “La vita del bar del paese, dopo una cert’ora, è solo fatta di discussione – politica, donne, economia, religione… E chi aveva fatto studi scientifici, chi classici, chi come me aveva studiato da geometra: così, quando a un certo punto qualcuno citava Kant o Schopenhauer, io non potevo rispondere”. Per risposta Brunello va a cercare Kant, di cui capisce poco, ma lo colpisce la frase “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. E si ricorda di suo padre “che mi spronava sempre a comportarmi bene”. 
E’ dunque un sentimento di inferiorità a orientare l’approccio del Cucinelli alla lettura e alla cultura, che egli considera da subito un repertorio di citazioni, una miniera da cui ricavare la frase d’autore che colpisce l’uditorio e dà lustro al senso comune, alla banalità. Alla domanda su quanti libri legga in un anno non a caso risponde: “Guardi, io ho moltissimi libri, più o meno tremila, ma per leggere intendo anche una sola frase”.
Con queste premesse l’intervista non può che essere una sequela di citazioni: Yourcenar e il suo Adriano, Severino Boezio che chiede aiuto alla filosofia, Socrate che crede nel valore del dialogo, San Benedetto “rigoroso e dolce”, Rousseau che raccomanda il riposo, l’Ezechiele della Bibbia, papa Francesco che ci vuole custodi del creato e altri ancora. Il più enfatico è il riferimento a Marco Aurelio alla vigilia della battaglia. Dice l’imperatore: “O miei stimati uomini dell’impero romano, domani Roma ha bisogno di voi”. Commenta Cucinelli: “Oggi l’Italia ha bisogno di noi esseri umani, dobbiamo tornare a credere nei grandi ideali: politica, religione, spiritualità… Io trovo un momento bellissimo per la nostra umanità… I nostri figli avranno un mondo meraviglioso”.
Saremmo tentati di considerare tutto ciò sgallinamento, quello che i vocabolari definiscono “atto del parlare a voce molto alta, con ostentazione e sfoggio di sé”, ma il richiamo costante ai “grandi uomini” fa preferire la denominazione prosopopea, la figura retorica che consiste nel far parlare oggetti inanimati o animali come se fossero persone, o i defunti come se fossero vivi.
Cucinelli - si apprende da “Tuttolibri” - fa parlare le statue che ha messo in giardino (i busti di Marco Aurelio, Socrate, Obama, Aristotele, Alessandro Magno e molti altri), rammenta il Peppino De Filippo, pretore di Un giorno in pretura, che battibecca con la statua di Cicerone. Per esempio, a  1700 anni dall’editto del 313 discute con Costantino: “Ma di dove ti sei preso ‘st’idea, il valore del sogno?”.  
Secondo Wikipedia “colui che parla ‘con prosopopea’ si mette in ridicolo perché quello che sta dicendo con tanta enfasi è scontato per la grande parte del pubblico”.
Perché, allora un Cucinelli, pur apprezzato in quanto imprenditore, non viene spernacchiato in quanto filosofo e intellettuale come sarebbe accaduto in altri tempi?
La risposta non è facile ed è connessa con l’ideologia vincente, il cosiddetto berlusconismo, per la quale chi sa far soldi può fare di tutto, dallo statista al “maestro pensatore”. Accade così che grandi giornali e apprezzati giornalisti accreditino l’immagine del “Socrate del cachemire”, il quale peraltro utilizza codesta immagine di sé per fare altri soldi. Sospetto che in cuor suo irrida gli intervistatori più o meno d’assalto che riesce a turlupinare con sgallinamenti e prosopopee.


"micropolis", 27 giugno 2013 

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