31.7.13

Leonardo Sciascia su Pier Paolo Pasolini: “Eravamo amici”.

Il rapporto di stima e di amicizia tra Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini risale ai primi anni Cinquanta, quando l’uno e l’altro erano parimenti ignoti al grande pubblico. Il poeta friulano recensì su una rivista romana “La libertà” il primo scarno libello del maestro di Racalmuto, le Favole della dittatura, di cui evidenziava la scrittura essenziale, la purezza del linguaggio. Dalla recensione nacque un rapporto epistolare e anche personale. Riprendo da questo punto il racconto che Sciascia ne fa in Nero su nero. (S.L.L.)

… da quel momento siamo stati amici. Ci scrivevamo assiduamente e ogni tanto ci incontravamo, nei dieci anni che seguirono, e specialmente nel periodo in cui lui lavorava all'antologia della poesia dialettale italiana. Poi la nostra corrispondenza si diradò, i nostri incontri divennero rari e casuali (l'ultimo nell'atrio dell'albergo Jolly, qui a Palermo: quando lui era venuto a cercare attori per Le mille e una notte). Ma io mi sentivo sempre un suo amico; e credo che anche lui nei miei riguardi.
C'era però come un'ombra tra noi, ed era l'ombra di un malinteso. Credo che mi ritenesse alquanto -come dire? - razzista nei riguardi dell'omosessualità. E forse era vero, e forse è vero: ma non al punto da non stare dalla parte di Gide contro Claudel, dalla parte di Pier Paolo Pasolini contro gli ipocriti i corrotti e i cretini che gliene facevano accusa. E il fatto di non essere mai riuscito a dirglielo mi è ora di pena, di rimorso. Io ero — e lo dico senza vantarmene, dolorosamente - la sola persona in Italia con cui lui potesse veramente parlare. Negli ultimi anni abbiamo pensato le stesse cose, detto le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose. Eppure non siamo riusciti a parlarci, a dialogare. Non posso che mettere il torto dalla mia parte, la ragione dalla sua.
E voglio ancora dire una cosa, al di là dell'angoscioso fatto personale: la sua morte - quali che siano i motivi per cui è stato ucciso, quali che siano i sordidi e torbidi particolari che verranno fuori — io la vedo come una tragica testimonianza di verità, di quella verità che egli ha concitatamente dibattuto scrivendo, nell'ultimo numero del «Mondo», una lettera a Italo Calvino.

Da Nero su nero, Einaudi, 1980

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