4.7.13

Lunedì 26 aprile 1937. Un giorno di mercato a Guernica (Augusto Pancaldi)

Per i cinquant’anni del bombardamento nazista su Guernica, la città santa dei Baschi, diretto ad annichilire la resistenza della Spagna repubblicana, “l’Unità” pubblicò una rievocazione di Augusto Pancaldi, a mio avviso eccellente per sintesi e chiarezza, di cui qui riprendo un ampio stralcio. (S.L.L.)
Guernica 1937. La città dopo il bombardamento
Nel 1937, anno secondo della guerra civile spagnola, il 26 aprile cadde di lunedì. A Guernica, città santa del paese basco, antica capitale della Biscaglia, era giorno di mercato e una buona parte dei suoi 10 mila abitanti era sulla piazza o si pigiava nei vicoli che le serpeggiano attorno, umanità stenta e affamata ma libera ancora e piena di speranza.
Fino a poco tempo prima la guerra aveva risparmiato il paese basco perché il «Caudillo» - ma lo si mormorava più per darsi coraggio che per altro - non voleva provocare i sentimenti nazionali della gente di Euskadi. E adesso che le truppe del generale Mola e le «frecce nere» di Mussolini non erano lontane, a una trentina di chilometri appena, alla ricerca di una rivincita agli scacchi subiti attorno a Madrid, dove s'erano infranti contro il muro repubblicano tutti gli assalti nazionalisti, adesso si diceva la stessa cosa di Guernica: col suo albero sacro attorno al quale, da più di cinque secoli, i sovrani di Castiglia  avevano giurato di rispettare «los fueros», i diritti locali del popolo basco, con la sua piccola fabbrica d'armi come unica industria, Guernica non poteva costituire un obiettivo militare, a differenza di Bilbao e del suo porto, per esempio.
Quel lunedì 26 aprile 1937 è giorno quieto, dunque, pur nell'angoscia permanente della guerra che preme e strepita ai margini e la gente si prepara alla festa serale, attorno all'albero sacro dove, appena sei mesi prima, è stata proclamata la repubblica basca.
D'un tratto, nel vociare del mercato, cade con un sinistro rimbombo il suono delle campane della chiesa di Santa Maria, campane a martello, campane che battono alla disperata per annunciare un'incursione aerea. La gente si precipita verso la campagna rovesciando le bancarelle, le madri stringendo al petto i bambini, e i vicoli si riempiono di urla, di richiami. Sono le 4 e mezza del pomeriggio.
Dieci minuti dopo comincia il bombardamento: prima un Heinkel-111, la nuova meraviglia della tecnologia aeronautica hitleriana, poi una pattuglia di Junkers-52 scortati da caccia Messerschmitt. Le bombe cadono a grappoli sulla città, bombe dirompenti, bombe incendiarie, gli aerei scompaiono dietro le colline e altri ne arrivano, una seconda, poi una terza e una quarta ondata e le case cominciano a bruciare mentre i caccia a bassa quota mitragliano la gente che fugge alla disperata.     
Tre ore d'inferno. È il primo bombardamento sistematico e pianificato di un centro urbano, una pagina nuova e tragica nella storia di tutte le guerre e in quella dell'aviazione militare, che fa da prologo ai grandi bombardamenti della seconda guerra mondiale destinati a demolire non soltanto le città del nemico ma anche il morale dei loro abitanti.
Alle 7 di sera Guernica non esiste più. Quello che le bombe dirompenti hanno risparmiato è stato divorato dagli incendi e la gente si mette a contare, i propri morti, i propri feriti, i propri dispersi, a cercare gli scampati sotto le macerie della «città santa».

Quale fu il bilancio reale del massacro?
Ancora oggi è difficile dirlo e gli storici che cercarono di vederci chiaro tra le cifre forse eccessive dei repubblicani e quelle minimizzanti dei franchisti (fino al 1970 Madrid negò ufficialmente perfino il bombardamento degli aerei della «Legione Condor» hitleriana) hanno dovuto rassegnarsi a un calcolo delle probabilità: un migliaio per i morti, il doppio per i feriti. Quanto alle distruzioni, fu più facile agli «inviati speciali» stranieri contare le case rimaste in piedi che quelle distrutte o incendiate. «Di Guernica non restano che cinque case» titolava il 29 aprile, in prima pagina, un grande quotidiano britannico.
Quello stesso giorno «l'Humanité» pubblica - accanto a un disperato editoriale di Gabriel Peri, secondo cui «il massacro è Stato possibile perché, la politica di non intervento (di Leon Blum in Francia e di Eden in Inghilterra) ha significato, in verità, tolleranza per l'intervento fascista» - un articolo di un testimone oculare, l'inviato speciale del «Times» londinese George Steer.
Ho ritrovato il giornale negli archivi dell'«Humanité». Il racconto di Steer è una minuziosa ricostruzione delle diverse fasi del bombardamento che lo storico Hughes Thomas ha poi ripreso quasi integralmente nel suo libro fondamentale La guerra di Spagna, pubblicato a Londra nel 1961, dopo averne verificato ogni dettaglio interrogando negli anni 50 gli scampati al diluvio. George Steer afferma: «il ritmo di questo bombardamento di una città aperta è di una logica terribile: prima furono lanciate delle bombe a mano e delle bombe da 500 chili per creare il panico tra la popolazione, poi venne il mitragliamento per costringere la gente sotto terra, nelle cantine, infine la pioggia di bombe incendiarie per demolire le case e bruciarle sopra le loro vittime. Quando sono entrato in Guernica, poco dopo la mezzanotte, le case crollavano da entrambi i lati della strada e perfino i pompieri non riuscivano a raggiungere il centro della città. Gli ospedali delle "Josefinas" e del "Convento de Santa Clara" non erano più che mucchi di cenere fumante. Al "Josefinas" erano morti tutti i 44 soldati repubblicani che vi erano stati ricoverati qualche giorno prima per ferite riportate al fronte. Ho visitato di nuovo Guernica oggi pomeriggio. La maggior parte della città bruciava ancora...».
A commento del massacro, provocato da 50 tonnellate di bombe dirompenti («l'Humanité» parla inoltre di mille bombe incendiarie), Steer aggiungeva: «Per la forma della sua esecuzione, la dimensione delle distruzioni e la scelta di questo obiettivo, il raid di Guernica non ha eguali nella storia militare. La fabbrica d'armi che sorge alle porte della città non è stata toccata, come non sono state toccate le due caserme situate a una certa distanza dal centro. L'oggetto del bombardamento, dunque, è stato di demoralizzare la popolazione civile e di distruggere la culla della razza basca. Tutti i fatti confermano questa opinione, a cominciare dal giorno prescelto per il bombardamento, giorno di mercato».

L'indignazione suscitata nel mondo dalla distruzione di Guernica fu immenso. A Parigi, Leon Blum, capo del governo di fronte popolare, pensò di dimettersi riconoscendo implicitamente che la sua politica di «non intervento» aveva favorito, se non proprio la distruzione della città santa, certamente i piani di intervento di Hitler e di Mussolini. L'Inghilterra è costretta a rivedere le proprie posizioni dopo una tempestosa seduta ai Comuni. Le grandi riviste americane «Time», «Life», «Newsweek», che fino a quel momento avevano cercato di mantenere un certo distacco dal conflitto spagnolo, prendono apertamente parte per i repubblicani. Si può affermare che se Franco godeva ancora di una certa simpatia nel mondo democratico e in quello cattolico in particolare, come «castigatore» dei bolscevichi spagnoli, come «argine al comunismo dilagante in Spagna e minacciante il vicino Portogallo», a partire dal bombardamento di Guernica diventa il nemico della democrazia, il massacratore degli innocenti. Guernica costituisce per lui una sconfitta politica di dimensioni incalcolabili.
È a partire di qui che il franchismo si vede costretto a correre ai ripari e alimenta nei giorni successivi al bombardamento, e con tutti i mezzi, una straordinaria campagna di distorsione della verità tendente a dimostrare che se qualche aereo tedesco ha sganciato alcune bombe su Guernica si è trattato di un errore, del resto condannato da Franco in persona, che Guernica è stata in realtà distrutta dai suoi stessi abitanti per non farla cadere intatta nelle mani delle forze nazionaliste «liberatrici».
Si tratta di una linea di difesa che ha la sua efficacia perché da Guernica, occupata dai franchisti qualche giorno dopo il bombardamento, non esce più nessuno a smentire la versione ufficiale. E se qualcuno ne esce, come riferisce Hughes Thomas a proposito del clero basco, non viene nemmeno ascoltato. La storia dei venti preti, testimoni oculari del massacro, e tra questi il vicario generale della diocesi, è in effetti allucinante. Redatta una lettera al Papa, sono due i preti che riescono a portarla in Vaticano. Ma il Papa non li riceve. Li riceve invece il segretario di Stato Pacelli (futuro Pio XII) che, dopo averli ascoltati, li riconduce alla porta ricordando loro, freddamente, che «la chiesa è perseguitata a Barcellona».
Occorreranno molti, moltissimi anni, la rac¬olta di prove irrefutabili come i diari di due aviatori tedeschi e quello del barone von Richtofen, comandante della «Legione Condor», per ristabilire la verità sul bombardamento di Guernica, pianificato dai comandi franchisti e scrupolosamente eseguito dal corpo di spedizione hitleriano che vi impiegò 44 aerei, cioè una trentina di bombardieri e una decina di caccia.

Pablo Picasso non aspettò la «verità storica». Qualche tempo prima del bombardamento aveva ricevuto dal ministero della Cultura repubblicano l'incarico di dipingere un grande pannello che avrebbe dovuto decorare il padiglione spagnolo all'esposizione universale di Parigi dell'estate del 1937. S'era messo al lavoro subito, nel suo atelier parigino dei «Grands Augustins», senza saper bene su quale tema sviluppare il lavoro. E una sera, a una edicola, vede la fotografia di una città avvolta dal fumo degli incendi, i grandi titoli dei quotidiani sul bombardamento e la distruzione di Guernica, legge i resoconti del massacro e torna subito al lavoro sapendo già quale sarà il pannello decorativo del padiglione spagnolo.
Ero a Madrid, nel 1981, il giorno che il Cason del Prado venne aperto al pubblico affinché il popolo spagnolo potesse finalmente vedere l'opera del grande «malagueno» più detestata da Franco, quel Guernica che è ormai un pezzo immenso di storia (oltre che di pittura) avendo fatto il giro del mondo e denunciato, col grido che esso esprime il grido di tutto un popolo massacrato fisicamente e moralmente, quel crimine atroce che fu il bombardamento di Guernica. Centinaia di spagnoli, vecchi e giovani, avevano passato la notte nel parco del «Retiro», di fronte al Cason, per essere tra i primi a vedere, a scoprire quell'opera ormai simbolica al pari del celebre e stupendo Goya sui fucilati del 2 di maggio (i massacri napoleonici): e ho visto sui volti di gente di tre diverse generazioni disegnarsi dolore, emozione, strazio come se il bombardamento fosse avvenuto il giorno prima e si dovesse ricominciare a contare i morti, a fare il bilancio del bombardamento e della distruzione della città santa del popolo basco…

L’Unità, 26 aprile 1987

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