29.7.13

Scrittori svizzeri. Il paradosso di Blaise Cendrars (Marco Dotti)


Blaise Cendrars

Singolare destino, quello di Blaise Cendrars. Autore di un libro dal titolo ben augurante, L'oro, si ritrovò a sbarcare il lunario esercitando mestieri improbabili o assurdi. D'altronde, che con la letteratura si guadagni poco è fatto ampiamente risaputo. Ma se questo accade in Svizzera, isola infelice d'Europa, tutta banche, calvinismo e lavoro, allora le cose cambiano e l'esclusione genera un'assoluta, reciproca, ma non sempre negativa incomunicabilità. Lo scrittore si trasforma così in una sorta di rifiuto, di feccia, di scarto da tenere sui marciapiedi, senza guinzaglio come i gatti, ma senza che abbia la possibilità di produrre la minima incrinatura a qualsivoglia livello della gabbia sociale.
C'è chi parte in cerca di fortuna, e il fatto sarebbe già di per sé significativo in una terra solitamente meta di migrazioni, ma c'è pure chi, muovendo da condizioni di privilegio, sperpera un cospicuo patrimonio di famiglia e impazzisce. Un po' come accade all'avventuriero miliardario Sutter protagonista, appunto, dell'Oro. Dopo aver conquistato la California, scoperte alcune miniere aurifere sui suoi innumerevoli possedimenti, Sutter perde senno e ricchezze.
Metafora amara e capovolta dell'immaginario western e della gold rush, il testo di Cendrars, pubblicato nel 1925, fu portato al cinema undici anni dopo senza troppo successo, da Luis Trenker che ne trasse il suo Kaiser von Kalifornien. Ben peggio andò, sempre nel 1936, a James Cruze che, con The Sutter's Gold, registrò uno dei peggiori disastri al botteghino, a fronte di costi di produzione stratosferici per l'epoca (si parla di circa due milioni di dollari), riducendo sul lastrico la Universal.
Non stupisce, dunque, vedere Cendrars - uno degli autori più amati da Apollinaire e dalla sua generazione - ridursi a chiedere denaro alla madre, annotando minuziosamente su una partita doppia le modeste entrate e le meno modeste uscite di cassa.
A questo aspetto della vita di Cendrars e di altri scrittori elvetici - da Hermann Hesse a Gottfried Keller, da Albert Cingria a Max Frisch, fino a Fabio Pusterla - viene ora dedicata una interessante esposizione che fino al 20 ottobre si terrà al museo Strauhof di Zurigo. Organizzata con un'ironia che traspare fin dall'interrogativo del titolo Brotlos?, con una bella locandina che riproduce la nota-spese di Cendrars, e ispirata al motto latino «Carmina non dant panem», l'esposizione si concentra, in particolare, sulle zone d'ombra e le ambiguità nel rapporto fra mecenatismo pubblico e sopravvivenza creativa.
In questo senso, in un mercato librario che anche qui non sembra proprio in espansione, non stupisce l'esempio di coloro che si sono trovati e ancora si trovano a vivere quello che si potrebbe definire il «paradosso di Cendrars», ovvero: essere scrittori affermati, in qualche modo di successo, ma senza per questo ricavare «il pane» dalla propria scrittura. Un corollario di questo «paradosso» sembra risultare dalla continua richiesta di un intervento della «lunga mano dello Stato» proprio da parte di coloro che a ogni idea di «ragione pubblica» sembrano essere i più allergici. In questo senso, non scandalizza che persino autori non certo generosi nei confronti del proprio paese come Ludwig Hohl o Friedrich Dürrenmatt si siano infine piegati a ricevere sussidi, aiuti e agevolazioni pubbliche. In fondo, come osservava Oscar Wilde, «se due banchieri si incontrano, che fanno se non parlano d'arte»?
Lecito allora che se a incontrarsi sono due scrittori, il loro comune interesse sia acceso dalla disputa su modi, tecniche e strategie per sottrarre più soldi possibile alle ricche tasche degli industriali affamati d'arte e dai loro supplenti statali. A entrambi, consigliava Hohl, bisogna sempre e comunque «far pagare un biglietto», anche a spettacolo finito. Difficile metterlo in pratica, ma altrettanto difficile dargli torto.

il manifesto, 28 settembre 2006

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