1.7.13

Suicidio a Spoleto. Le aziende dei poveri cristi (S.L.L. )

E’ accaduto il 28 maggio, a Spoleto.
Una donna si è uccisa in casa propria. Aveva figli piccoli e un marito reso inabile da una malattia. Gestiva il bar della biblioteca comunale e da mesi non pagava l’affitto. Pare che non abbia retto all’intimazione di un funzionario di riconsegnare le chiavi, perdendo così l’unica fonte di reddito.
Il commento giornalistico più frequente è stato: “un nome che si aggiunge al lungo elenco di imprenditori vittime della crisi”. La notizia, peraltro, è stata trattata come fatto esclusivamente privato da giornali e notiziari on line, che hanno ricordato con affetto la vittima denominandola “imprenditrice” e tacendo l’Ente titolare della “nota struttura pubblica cittadina” ove era inserita la sua “azienda”.
E tuttavia, nonostante la volontà di proteggere da critiche amministratori e funzionari del Comune, il carattere “pubblico” di questa vicenda è venuto alla luce. Una nota ufficiale dall’archidiocesi ha reso noto che “il Presule si è raccolto in preghiera, invocando la misericordia e l’infinito amore di Dio sulla giovane donna”. Il responsabile Caritas ha detto: “Il nostro impegno è massimo, ma oltre alla crisi c’è la povertà relazionale”.
E’ subito intervenuto anche Mencaroni, presidente provinciale di Confcommercio, sul fiscalismo delle istituzioni, invitando ad “abbandonare la rigidità schematica a favore di una valutazione specifica delle singole realtà e problematiche aziendali”. Tattini, che presiede la Confcommercio locale e Confidi, ha svolto una lettura corporativa: “Questa tristissima vicenda spalanchi gli occhi ... Ogni giorno incontro imprenditori che mi dicono che non ce la fanno più…”. Ma, in genere, la retorica del martirio imprenditoriale prelude alla richiesta di provvidenze che nulla hanno a che vedere con persone come la signora spoletina.
Tanti “imprenditori di sé stessi” sono in verità poveri cristi, la cui condizione non è dissimile da quella del lavoratore dipendente sottoccupato. Un tempo si definivano semiproletari. Questi lavoratori, di cui il sindacato si disinteressa, non diventano “ceto medio” per il solo fatto di avere la partita IVA.
La “rigidità schematica” di cui dice Mencaroni – del resto - non è poi così generalizzata. Quando si tratta di imprenditori di un qualche peso qualche la comprensione si trova e l’interpretazione della norma si fa elastica. E’ con i piccoli che si diventa inflessibili, è per i piccoli che non c’è pietà. Tra i commenti on line se ne legge uno che mette il dito sulla piaga: “Non è facile da accettare, un ente pubblico che mette in strada una giovane donna, madre di due figli in tenerissima età, per qualche affitto non pagato....”.

micropolis giugno 2013

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