14.7.13

Temi letterari. L’incesto blando (di Enzo Golino)

Alberto Moravia
«Famiglie! vi odio!». Il grido di André Gide, scagliato da Les Nourritures terrestres nel 1897, non coglie certo di sorpresa il lettore d'ogni tempo, avvezzo a imbattersi nelle peggiori invettive contro l'istituto familiare. I proverbi popo¬lari hanno ricamato fitte ghirlande di consigli e d'insulti nei confronti di quei «parenti serpenti» che persino Jacopone da Todi («Guardate da li parente») e l'evangelista Matteo («Nemici dell'uomo saranno i suoi familiari») insegnano a temere. Se poi si sconfina sul terreno degli studi specializzati, da Freud alla Scuola di Francoforte, da Wilhelm Reich («Quella fabbrica di mentalità autoritarie che è la famiglia») alla nuova psichiatria anglosassone, la cosiddetta «forma famiglia» è passata al fuoco di critiche roventi.
E che cos'è la letturatura mondiale se non una immensa critica della ragion familiare? Non racconta forse, in gran parte, fatti e misfatti di quel primario nucleo della società che è appunto la famiglia con le sue propaggini parentali di vario grado e le sue annessioni quasi parentali, come la servitù? Seguiamo sulla scacchiera dei secoli, quasi fosse un gioco, le circostanze più diverse, i costumi eccentrici o severi, l'immobilità o i mutamenti di personaggi-tipo (Ulisse e la sua famiglia, per esempio, di quanti «ritorni del reduce a casa» sono stati il modello, magari senza che lo scrittore si rendesse conto della ripetizione nella differenza?).
Fra i «cadaveri nell'armadio» che costellano la narrativa a sfondo familiare, uno dei più gravidi di conseguenze (se non altro estetiche: quanta cattiva letteratura in suo nome!) è l'amore proibito. Anche se l'ottimismo del narratore corona una vicenda con il lieto fine, gli strascichi della proibizione lasciano sempre il segno. Naturalmente più forte è il tabù infranto e maggiore difficoltà ha lo scrittore a ricomporre l'equilibrio parentale. E' quel che accade con l'incesto, tema e problema a cui Lorenzo Greco ha dedicato un saggio dal titolo Dubbiosi disiri. Famiglia ed amori proibiti nella narrativa italiana fra '800 e '900 (Giardini, pagg. 222, lire 20.000).
L'incesto al centro di questa ricerca non riguarda le relazioni platonicamente amorose o compiutamente sessuali che si stabiliscono tra fratello e sorella, padre e figlia, madre e figlio e così via, vale a dire nella cerchia dei parenti stretti, legati da un vincolo di sangue, ma i rapporti tra affini, cioè figliastro-matrigna, figliastra-patrigno, cognato-cognata, suocera-genero, ì cugino-cugina e via seguitando. Si tratta dunque di un incesto blando, di uno pseudo-incesto depurato della sua carica più eversiva, al limite della riconoscibilità verbale e fattuale (nel Garofano rosso di Elio Vittorini i protagonisti dell'attrazione amorosa sono una ragazza e due ragazzi, amici fra loro).
Ma per quale motivo certi scrittori si sentono stimolati a raccontare fenomeni incestuosi? Oltre a ragioni di sensibilità personale, l'impulso può venire dal bisogno di indagare, con gli strumenti propri della letteratura, sui caratteri di una cultura e di una società, essendo la famiglia un cardine ineludibile di entrambe e l'incesto uno dei canoni più trasgressivi. Sembra il ritratto antropologico della narrativa di Alberto Moravia, e in effetti lo è: Greco esplora l'itinerario moraviano da Gli indifferenti a La vita interiore rimarcando le occasioni (e altre ancora, pur importanti come Agostino, è costretto a tralasciarle) in cui l'evento incestuoso si manifesta non fra consanguinei, ma tra affini di primo grado e tra sostituti assai prossimi dei ruoli familiari capitali, «una vera e propria mappa delle meno evidenti proibizioni sessuali che vigono nel nostro sistema parentale».

Perversioni e ipocrisie
L'idea eccessiva della famiglia, alimentata dalla famiglia medesima, «determina la disunione di elementi normalmente legati» ha detto Claude Lévi-Strauss, e spinge Moravia a rappresentare la dissoluzione dell'istituto familiare mediante l'incesto, un cancro che ne corrode le cellule e favorisce ulteriori disturbi. Moravia infatti rende visibili i guasti provocati da quel genere di coesione patologica denominata «amoral familism» che pone l'idea di famiglia sopra ogni cosa e ne fa un feticcio totalitario, il dio di una tribù dalle radici «mafiose» più che «familiari» (non a caso grandi organizzazioni criminali — mafia, camorra, 'ndrangheta — usano metafore familistiche nel loro gergo).
A proposito della forma che il fenomeno incestuoso assume nella narrativa   moraviana,   Lorenzo Greco individua una «sorprendente frequenza» di relazioni triangolari. Nulla di nuovo, ma questa frequenza è la spia dell'attenzione di        Moravia per la società. Se l'amore proibito tosse raccontato soltanto sulla base di un chiuso rapporto di coppia, l'incesto rimarrebbe una questione isolata dal quadro circostante, prevalendo magari i suoi connotati esclusivamente psicologici. L'altro lato del triangolo amoroso, «un terzo polo di tensione», come del resto accade in molti «miti classici d'incesto», accelera invece la drammaticità del tabù violato, del legame proibito, e investe «tutta la sfera delle implicazioni sociali». Osservazione intelligente, ma l'avrei vista volentieri integrata dalle tesi di René Girard sul «desiderio triangolare» che coinvolge personaggio, oggetto desiderato e mediatore nella letteratura e nella vita (Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani 1981, e, con l'arbitrario titolo Struttura e personaggi del romanzo moderno, 1965).
Alle prese con l'incesto, il «realismo logico» di Moravia non perde la testa e si tiene saldamente ancorato al mondo vigente: che è quello che è. Lo scrittore denuda impietosamente ipocrisie, perversioni, inganni che covano e a volte esplodono in quel nido di vipere che è la famiglia. Ma l'incesto non vincerà: la Natura non sconfigge la Cultura, 1' Istinto non prevale sulla Ragione. E le regole che assicurano la durata dell'istituzione familiare, sia pure degradate, continuano a mantenere, nelle storie moraviane, una loro funzionale solidità.
Di un altro narratore. Grazia Deledda, il tema dell'incesto rivela aspetti che illuminano meglio il suo universo letterario un po' remoto. L'amore fra cugini, per esempio, è una costante dall'esito «decisamente negativo, quando non addirittura drammatico e catastrofico». Romanzi, racconti, opere teatrali, inscenano una casistica dove i rapporti di vicinanza e di lontananza fra i cugini sono analizzati da Greco sulla scorta di categorie spaziali, psicologiche, culturali. La società diffida di questa figura parentale, tanto che la Deledda colloca i cugini in una zona imprecisa fra i parenti stretti e gli estranei, lasciandone così risaltare l'ambiguità.
I cognati non presentano caratteristiche altrettanto originali negli eventi incestuosi raccontati dalla Deledda. Eppure il loro rilievo spicca a tutto tondo, e con varianti non trascurabili, in Elias Portolu, da molti reputato il capolavoro del Nobel di Nuoro, romanzo che fotografa nitidamente le contraddizioni dell'incesto derivanti soprattutto dalla nascita di un «figlio della colpa». Gli interessi economici scatenati nel romanzo Le colpe altrui mirano ad assicurarsi parti cospicue del patrimonio familiare dopo che il tabù dell'amore proibito è stato infranto. Una triplice relazione di una donna (marito e due amanti) qualifica la protagonista del racconto Libeccio come «lupa» o «cagna», ma questa abnorme lievitazione erotica e affettiva infonde al racconto medesimo «una suggestiva eccezionalità» assai vicina alle strutture narrative della fiaba.
Ma è possibile che l'incesto, sia pure nelle forme secondarie e quindi meno offensive, avvenga almeno nella letteratura — sempre in chiave drammatica, luttuosa, problematica, tormentata? Niente affatto, benché siano questi i toni dominanti. Il comico dunque esige la sua parte, e la ottiene grazie alla fantasia romanzesca e al brio linguistico di taluni scrittori. Ecco la suocera, un personaggio sul quale si sono appuntati, nei secoli, strali e salacità.

Quell’attraente suocera
Verga (La lupa) e Moravia (La fossetta) ne raccontano (come tanti altri) vicende incestuose tragiche (il primo) e malinconiche (il secondo). Ma apriamo le pagine di un «mimo siciliano», Il riesano: Francesco Lanza narra un incontro sessuale suocera-genero perfettamente riuscito, con soddisfazione di lei e della figlia appena sposata. Il trucco del giovanotto per godersi l'ancora piacentissima madre della moglie è di una boccaccesca furbizia; e al divertimento della storia Greco aggiunge un suo delizioso puntiglio «burocritico» compitando le assurdità anagrafiche suscitate dall'eventuale figlio di una coppia suocera-genero. Uno stato civile impazzito, un puzzle inestricabile...
Non da meno del Lanza è Poggio Bracciolini; nelle Facezie racconta di un giovane sorpreso dal padre mentre copula con la matrigna. Grazie a una pronta battuta l'intraprendente figliastro della donna si salva dai guai: «tu sei andato a letto migliaia di volte con mia madre», dice al padre, «e ora fai tante storie perché io ci vado una volta con tua moglie». Insomma, nel tragico o nel comico, l'incesto, quale che sia il suo livello di gravità, confonde i ruoli, provoca nel nucleo familiare situazioni di perdita d'identità. E al critico letterario dotato di sguardo antropologico svela una volta di più che la letteratura è uno straordinario mezzo di conoscenza della struttura culturale. Non è forse vero che il tabù affabulato dallo scrittore si risolve poi, nel testo medesimo, persino nel piacere dell'incesto?

“la Repubblica”, 14 giugno 1984

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