Sapevo che Fabrizio De André amava i gatti e ho trovato in un sito letterario un brano che ricorda questo sentimento, parte di un più ampio scritto sul cantautore genovese.
Lo posto con l’immagine di un gatto e senza Faber. Ma sono convinto che esista qualche testimonianza visiva di questo amore.
Se me la procurassi mi affretterei ad aggiungerla al post.
Se qualcuno (amica o amico telematico) me la procurasse, gliene sarei molto grato.(S.L.L.)
Ed eccolo il giovane Faber a bere sul muro d’ombra e fuoco, a scherzare atrocemente con Fracchia Villaggio, Mauro, Pippo e Rino Oxilia, sul muretto delle beffe, e poi cenare a fagiolame e cotiche con vorace passione a consumar brani di gelosia di vivere sulla brace pietosa ; e poi, ancora ubriachi, a far sesso come viene, da Gorilla o Bocca di Rosa, senza dir parola – “tu ridi nuda, fanciulla ,/ frutti di fuoco e di artificio / i sensi s’aprono “ . E così col Sali e Scendi in un fusto di rame, in una scala del pozzo, tra confusioni taciturne, senza misura, senza nessuna misura, quasi con involontario cinismo , ma anche con improvvise derive di tenerezze per i casi umani che più umani non si può, come quello di Piero Repetto , completamente paralizzato ( “portami con te nel mondo reale, nella favella del reame, nel reale dell’irreale”) , e lui a portarlo di peso con la carrozzella, fra la gente più strana, farlo sentire vivere e cantare incastrato tra l’acciaio, con uno scintillio sulla fronte e le giocate totali a testa o croce, o a dadi, il rotolare delle monete o delle facce coi numeri, per vincere tanti soldi e poter comperare una fattoria con tanti animali e fiori di lillà; sì, era un gattaro, Fabrizio, e ci credeva alla loro divinità , come gli egizi, e sognava di fare un paradiso tutto per loro , per la loro solitudine sotto la luna e il loro segreto inaccessibile; sognava la stagione dei melograni in cui i gatti vanno in amore, come lui, e si esibiva al teatrino della Borsa di Arlecchino con quella voce da carezza flautata e la prima chitarra che strimpellava appena (la madre gli aveva pagato tante lezioni di violino tutte andate a puttane), e il padre a rincorrerlo con lo sguardo e i telai del linguaggio, perché finisse gli studi e prendesse finalmente la sospirata laurea in giurisprudenza… Poi fai quel che ti pare nel tempo che t’avanza, vai anche nelle fogne dei sonnambuli, nel letto dei rasoi, ma fino al venerdì, ricorda: tu sei l’avvocato Fabrizio De Andrè, belin!
Da Faber il poeta nel sito “La poesia e lo spirito”, 20 luglio 2016
Grazie, Salvatore, di aver postato quel mio brano sui gatti, un vero onore, considerati i personaggi che hai messo in vetrina.
RispondiEliminaVoglio aggiungere che nel primo dopoguerra sorse a Genova,nel quartiere della Foce, una singolare istituzione. Alcuni ragazzi del rione decisero di creare un'opera assistenziale a favore dei gatti randagi. Li raccoglievano per le strade, li ricoveravano, volenti o nolenti, tra le macerie di una casa bombardata. Mettendo a saccheggio le dispense materne, rifornivano i loro ospiti di ogni ben di Dio, e ben presto fra le macerie dell'improvvisato asilo, sorse la più florida comunità di gatti che sia mai esistita. Indovina chi era a capo di quella istituzione? Sì, proprio Fabrizio De Andrè, che ottenne dai gatti genovesi la stessa incondizionata ammirazione che oggi gli viene tributata dai patiti delle sue canzoni.