5.8.13

I cento anni del Mago di Oz (Francesca Lazzarato)

Infilare, almeno per una volta, il roseo vestito tutto fronzoli dalla Buona Strega dell'Ovest; avere a disposizione un esperto truccatore e costumista capace di trasformare grandi e piccoli nei sosia perfetti di Margaret Hamilton, ovvero la Perfida Strega dell'Est dalla pelle verde; partecipare a un colossale pie nic insieme a una banda di bambini delle elementari travestiti da Succhialimoni; comperare, barattare, vendere cartoline, modellini, maschere, parrucche, porcellane, miniature, pupazzi, calendari con l'effige del Boscaiolo di Latta e del Leone Codardo; sognare davanti a minuscole Città degli Smeraldi chiuse in una bolla di vetro; assistere a musical, spettacoli di marionette, show di Holiday on Ice tratti dalle avventure di Dorothy & co.; partecipare a un tour che va dalle praterie del Kansas alla casa di L.F. Baum a Hollywood, fino alla casa da gioco di Las Vegas dedicata al Mago di Oz; seguire dottissime conferenze di grandi studiosi pronti a sostenere che i libri di Baum sono in realtà pamphlet teosofici o pupulisti travestiti da storia per bambini, e che dietro il popolo delle Scimmie Alate si nascondono in realtà gli Indiani d'America; tagliare un immensa torta con cento candeline insieme a Dorothy Gale e a Tota...
Tutto questo, e molto di più, sta già accadendo e continuerà ad accadere negli Stati Uniti, per festeggiare uno straordinario compleanno: quello del Meraviglioso Mago di Oz di Lyman Frank Baum, che nel 2000 compie cento anni giusti. In realtà i festeggiamenti sono cominciati già nell'ottobre del '99, in occasione dei sessant'anni del film Mgm che gli Ozzies (ovvero i fan del mondo di Oz) amano perfino più del libro di Baum, e culmineranno nella grande convention del centenario organizzata a Bloomington dall'Indiana University e dall'Iwoc (International Wizard of Oz Club, con sede principale a Kalamazoo, che pubblica il trimestrale Baum Bugle e la fondamentale Bibliographia Oziana). Per l'occasione la strada principale della città sarà pavimentata con i famosi yelìow bricks e l'Indiana Memorial Union trasformata in una vera città degli Smeraldi, ma il cuore della manifestazione saranno indubbiamente le giornate di studio, cui parteciperanno anche studiosi russi e cinesi.
E non basta: chiunque sia in preda a quella che si potrebbe definire Ozmania, sappia che il Regno di Oz ormai si raggiunge via Internet: una mezza dozzina di siti, centinaia di «pagine» e svariate chat sono a disposizione degli «iniziati» che vogliano seguire una «strada di mattoni gialli» del tutto virtuale, capace di guidarli verso i più reconditi segreti e retroscena del libro e del film e perfino di soddisfare il feticismo di chi ancora sogna le scintillanti scarpette rosse (ma nel libro erano d'argento) indossate da Judy Garland e venerate dai membri del Ruby Slippers Club.
In tutto questo, ovviamente, c'entrano una buona dose di folklore, la passione americana per parate e celebrazioni, nonché la capacità di trasformare qualsiasi cosa in un business (dietro al collezionismo oziano c'è un bel giro d'affari). Eppure è ugualmente il caso di chiedersi come e perché un semplice libro per bambini sia diventato oggetto di un autentico culto nazionale, con i suoi celebranti, i suoi fedeli e una serie di attenti esegeti. La risposta è anche troppo semplice: perché il mondo di Oz e il suo autore hanno radici saldissime nella cultura popolare americana e nei «miti di fondazione» degli Usa come sostiene Neil Earle in The Wonderful Wizard of Oz in American popular culture: uneasy in Eden (Mellen Press '93). In «Oz», infatti sono messi in scena una serie di temi profondamente americani: la Frontiera, l'importanza del duro lavoro, la possibilità di ottenere tutto ciò che si desidera e realizzare i propri sogni grazie a doti personali come la volontà, l'intelligenza, il coraggio, il buon cuore, e infine la libertà come valore assoluto.
Il Mago di Oz, inoltre, è stato riconosciuto come proprio soprattutto dalla parte più laica e progressista dell'America: assolutamente privo di lezioncine morali ed edificanti, e imperniato su personaggi femminili forti e decisi (non va dimenticato che la moglie e soprattutto la suocera di Baum furono due note suffragette, impegnate sul fronte dell'emancipazione femminile) in un'epoca in cui erano i maschietti a farla da padroni nei libri per l'infanzia, venne addirittura letto come parabola populista da Henry M. Littlefield, un professore di scuola superiore che nel 1963 lo usò come strumento per insegnare la storia del populismo ai suoi allievi.
Secondo Littlefiel (The Wizard of Oz: Parable of Pupulism, Schocken Books '93) i libri di Baum sarebbero un'allegoria della situazione socio-politica americana nella seconda metà dell'800: il Mago di Oz si apre con la descrizione della terribile situazione dei lavoratori rurali, impoveriti e disperati, e lo Spaventapasseri rappresenterebbe i contadini del Midwest, mentre il Boscaiolo di latta è l'onesto operaio stregato dagli industriali dell'Est (la Perfida Strega); il robot Tic Toc, che fa la sua apparizione in Ozma di Oz, incarna invece la deumanizzazione della fabbrica, e il Mago di Oz potrebbe simboleggiare un qualsiasi presidente, da Gran a McKinley, perché in lui si riassume l'idea americana della leadership, ossia qualcuno in grado di essere tutto per tutti. C'è chi, come Paul Nathanson (Over the Rainbow: The Wizard of Oz as a Secular Myth of America, State University of New YorkPress, '91), ha sottolineato il fatto che Il Mago di Oz è anche e soprattutto un libro laico, e altri ancora (David Parker Oz: F.L. Baum's Theosophical Utopia Kennesaw State University, '96) hanno messo in evidenza i risvolti teosofici di un testo il cui autore fu fortemente interessato a questa curiosa «religione» senza Dio, che raccomandava l'uguaglianza dei sessi ed era praticata da numerose femministe americane.
C'è da chiedersi, allora, se siano state proprio le connotatazioni laiche e populiste ad aver reso così a lungo il Mago di Oz inviso a una buona parte dei bibliotecari americani. Il libro per bambini più amato d'America, infatti, fu lungamente osteggiato e a volte perfino bandito dalle biblioteche: considerato politicamente «pericoloso» (non per niente lo si chiamava «The red Wizard of Oz»), era anche definito «poorly written, unimaginative, negativistic and unwholesome». Oggi, però, il riscatto del Mago è totale, e tutti, insegnanti e bibiotecari, convengono sulla straordinaria freschezza, la ricchezza d'immagini e l'immutato fascino del libro che, sin dalla sua prima apparizione sulla scena editoriale ha imboccato la via di mattoni gialli che porta a Hollywood, ponendosi al centro di un modernissimo incrocio multimediale. Baum, uomo di spettacolo oltre che scrittore (era stato gestore di un teatro, attore, autore di commedie e fondatore di una delle prime case produttrici cinematografiche, la «Oz Film Manufacturing Company») aveva immediatamente tratto dalla propria opera copioni per la radio, una serie di musical e un buon numero di film muti.
Al di là di ogni supporto mediatico e di tutte le possibili interpretazioni degli Ozzies più sfegati, il vero successo del libro, però, sta forse nel modo in cui riesce a parlare dell'infanzia all'infanzia. La storia di Dorothy e del suo cane Totò, infatti, racconta qualcosa che tutti i bambini sanno già a memoria, e cioè che i più piccoli sono, da che mondo è mondo, «costretti» a farcela (cioè a sopravvivere e crescere in un mondo di adulti «non all'altezza»).
Non è un caso che Dorothy sia costantemente alle prese con «persone grandi» pavide e incolori come gli zii, perfide come la Strega dell'Ovest, inette e millantatrici come il Mago, sdolcinate come Glinda. E perché la protagonista e il suo cane sono costretti sì, a tornarsene nel grigio Kansas da cui sono venuti, ma continuano imperterriti ad andarsene, libro dopo libro (Baum ne scrisse ben tredici)? Perché, per l'appunto, la dimensione dell'«andarsene» è il leit motiv di tutto il ciclo, purché non la si intenda come fuga, ma come richiamo all'autonomia, alla sperimentazione, alla crescita come conquista e non come rispetto di un sentiero già tracciato. E nel Mago di Oz il sogno dell'Altrove (ossia il luogo cui tutti i grandi libri per l'infanzia fanno riferimento) è in perpetua, dialettica, realistica contraddizione con quello delle radici: se è la tensione verso l'Altrove a dare ai bambini una possibilità in più, è anche vero che esso cesserà di essere tale non appena verrà raggiunto e si sarà diventati grandi. Per sempre.

“il manifesto”, 19 febbraio 2000

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