21.8.13

Il favoloso Propp tra formalismo e marxismo (Cesare G. De Michelis)

Vladimir Propp
Cade in questi giorni il novantesimo anniversario della nascita di Vladimir Jàkovlevic Propp, nato a Pietroburgo nell' aprile del 1895. Il grande studioso sovietico di folclore è scomparso quindici anni fa, nella sua Leningrado, il 22 agosto del 1970; e da allora s' è continuato a indagare sulla sua eredità scientifica, che lo ha imposto all' attenzione generale come uno dei padri del moderno strutturalismo. Ricordiamo qui i suoi testi classici: dalla Morfologia della fiaba (1928) a Le radici storiche delle fiabe di magia (1946), passando per testi "minori" ma sempre di grandissimo interesse, come Edipo alla luce del folclore (1946), L' epos eroico russo (1955), I canti popolari russi (1961), Feste agrarie russe (1963); opere, tutte, già tradotte in italiano (la versione de Le radici storiche, nel 1949, fu la prima traduzione d' un testo di Propp in una lingua occidentale). Altre invece non hanno avuto occasione di apparire da noi; e tra queste mi piace ricordare almeno il postumo Problemi della comicità e del riso (1976).
In occasione dell' anniversario, le Edizioni dell' Università di Leningrado, che lo ebbe a lungo come prestigioso professore, hanno dato alla luce un suo testo fondamentale e inedito, Russkaja skazka (La fiaba russa, pagg. 335, rubli 2). Come spiega nella prefazione K.V. Cistov, il libro nasce sulla base d' un corso che l'ormai anziano Propp tenne nella prima metà degli anni Sessanta, all' epoca cioè della sua tardiva ma non effimera riscoperta, in patria e all' estero; negli ultimi anni Propp continuò il lavoro (che peraltro lasciò incompiuto), progettando questo libro come conclusivo, e in qualche modo riassuntivo, del suo impegno di quasi mezzo secolo.
Perché ho definito questo testo "fondamentale", anche senza tener conto delle intenzioni dell'autore? Quando Propp stava per compiere i settantacinque anni, i semiologi di Tartu che si riconoscono suoi allievi e prosecutori (molti, allievi lo furono davvero, nelle aule leningradesi), avevano preparato un numero della loro serie di miscellanee non periodiche (Semeiotikè. Studi sui sistemi segnici); quando il volume era già in stampa, giunse la notizia della morte del festeggiato e così, anziché "in onore", usci "in memoria". Nelle note di premessa veniva detto tra l' altro: "L'iter scientifico di Propp s'è distinto per una rara perseveranza. Nella coscienza dello studioso si formò, quarant' anni fa e passa, il progetto di studiare il testo folclorico da tre punti di vista: sotto il profilo della sua struttura interna, del suo rapporto genetico col rito, e del suo funzionamento in una collettività". Se la Morfologia aveva rappresentato la pratica attuazione del primo punto del programma, e Le radici storiche quella del secondo, sembra evidente che questa Fiaba russa vada vista come attuazione del terzo.
Quarantacinque anni di lavoro scientifico: una vita, un progetto. Su questa lunghezza si misura l' aspetto eccezionale della vicenda proppiana. Di qui anche le incomprensioni e gli equivoci che hanno segnato il suo stesso imporsi all' attenzione della comunità scientifica internazionale. Il patrimonio folclorico della fiaba; la sua struttura (morfologia: le famose 31 funzioni cui, secondo Propp, sono da ricondurre tutte le fiabe di magia); la sua genesi (il rito iniziatico come fonte storica dell' universo fiabesco); il suo funzionamento in una data collettività storica, dunque la fiaba russa non più come "materiale esemplificativo", ma come organismo storicamente dato che in quanto tale va meditato e studiato. Nel frattempo, l'imporsi dello stalinismo, l'aspra campagna ideologica contro il formalismo, le purghe, una guerra mondiale, il mondo (anche quello scientifico) spaccato in due. Ma può un progetto scientifico che, per quanto seriamente impostato, è pur sempre relativo a un oggetto così (si direbbe) lieve, astorico, "poetico" come la fiaba, rimanere integro? Da qui, il clichè interpretativo che ha accompagnato la riscoperta di Propp. Propp era sostanzialmente un formalista (e se ne è ben vista la ragione nella Morfologia: che significa, appunto, "studio delle forme"); poi, un po' per convinzione, un po' per pressione esterna, si trasformò in storicista-marxista (e se ne son visti i frutti ne Le radici storiche). Rispetto a tutto questo, si può ben capire l' amarezza di Propp nel sentirsi accusare da Lèvi-Strauss nel 1960 di "formalismo": comunque lo si traduca, è lo stesso termine con cui lo si era preso di mira negli anni Trenta, non già da parte d' un autorevole strutturalista francese, ma dagli ideologi di regime.
Ieri i semiologi di Tartu, e oggi Cistov, alla semplicistica interpretazione che è stata data del suo passaggio dal formalismo al marxismo contrappongono un progetto unitario e di lungo respiro: certo Propp ha utilizzato variamente - e talora, va detto pur questo, con una certa dose di subalternità - diversi ed eterogenei strumenti metodologici, ma senza rimanerne prigioniero, anzi vivificandoli. Sicché, come nota ancora Cistov, Propp ha potuto divenire patrimonio comune solo in ritardo, ma non per ragioni di "barriere linguistiche"; ha dovuto attendere che il modo di pensare "semiologico" cui accedeva il suo lavoro fosse divenuto di ampia circolazione. Anche per questo Clara Janovic scriveva, dieci anni fa, che "proprio negli anni in cui la cattiva "scienza borghese" e la cattiva "scienza marxista" sembravano tenere il campo, le buone scienze andavano scavando cunicoli in un processo, unitario e diversificato insieme, di un nuovo sviluppo".
Per rendere storicamente il senso di tale "ritardo" nel comprendere Propp (e specialmente da noi, in Italia), non trovo di meglio che richiamare l'episodio della malevola noterella che Benedetto Croce dedicò nel 1949 alla traduzione italiana delle Radici storiche (episodio già ricordato da Alberto M. Cirese, nella riproposizione di quel testo, nel 1972 presso Boringhieri). Di quella nota, "stizzita e astiosa", due curiose connessioni vorrei qui richiamare. Primo: Croce rimproverava a Propp di non aver considerato (come egli stesso aveva meditatamente fatto) che "le fiabe sono organismi poetici, e che perciò la loro origine (...) è in ciascuno che narri o rinarri una fiaba". Il professor Propp sostituisce miopemente la filologia all' estetica: e ne risulta anche una "cattiva" filologia. Secondo: per dargli il colpo di grazia, Croce richiamava un articolo (di Gippius e Cicerov) su Trent' anni di studi sovietici sul folclore apparso proprio quell' anno su “Rassegna della stampa sovietica”, in cui "tra le centinaia di nomi, non mi pare che sia quello del Propp".
Ma in quell' articolo si faceva ben menzione di Azadovskij e Sokolov, portabandiera della scuola storica (anzi, come dice oggi Cistov, "pseudostorica"), nell' ambiente dei quali s'accusava Propp di "sostituire allo studio dell' architettura come arte, un trattato d' ingegneria sulle travi portanti". Ognuno vede, oggi, le connessioni: quel silenzio sul nome di Propp (nella stampa sovietica del 1949) non era affatto casuale; e il Carneade d' allora è oggi riconosciuto, anche in patria, come "il più importante folclorista sovietico". E l'accusa "estetica" rivoltagli allora dall' idealista Croce era della stessa natura di quella formulata contro Propp dal marxismo rancido dell'èra staliniana.


 “la Repubblica”, 9 maggio 1985

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