13.8.13

Io e Pirandello. Paola Borboni racconta (di Irene Bignardi)


Riprendo da un vecchio numero di “Repubblica” un’intervista alla grande attrice Paola Borboni che mi ha messo in movimento la curiosità e la fantasia. (S.L.L.)
1962. Paola Borboni (al centro) nei "Sei personaggi in cerca d'autore"
 ROMA

“Era bellissimo. Ai miei occhi era un uomo bellissimo. Elegante, assolutamente elegante, naturalmente elegante. Uno di quegli uomini che sotto il vestito, la camicia, il gilet, tutte quelle cose che si mettevano addosso allora, aveva un bel corpo. Il corpo di un uomo sano”.

Paola Borboni, bella, teatralmente cordiale e amabilissima nei suoi brillanti e lucidi ottantasei anni, vestita di nero ma piena di gioielli un anello per dito, pollice compreso e una collana d'oro dal bel disegno antico agucchia in un minuscolo camerino del Teatro Orione di Roma. Sta sistemando i suoi vestiti di scena per Yerma di Garcia Lorca che il regista Lorenzo Salveti si accinge a portare … a Milano. Siamo andati a trovare Paola Borboni in un breve intervallo delle prove per parlare di quest'uomo bellissimo che era Pirandello, l'autore che ha segnato della sua presenza la carriera di Paola, attrice pirandelliana quanto pochi altri, capocomica per amore di Pirandello così recita la motivazione del Premio Renato Simoni che la laureò nel 1968 in anni durante i quali il nome di Pirandello, universalmente assunto dai teatri di tutto il mondo, non trovava larga accoglienza sui palcoscenici italiani.

Come cominciò, la sua storia pirandelliana, signora Borboni?
“Cominciò, perché Pirandello cominciava ad essere molto in auge. E la direzione del teatro sociale di Lecco siamo nel 1923 chiese ad Armando Falconi, con cui lavoravo, di mettere in scena un suo lavoro; doveva essere l' ultimo, gli dissero, quello che aveva fatto Emma Grammatica, Ma non è una cosa seria. E Falconi... va be' , non era più così giovane da poter fare Memmo Speranza, ma lo fece ugualmente. Da uomo intelligente, però, capì che Memmo Speranza non era un personaggio adatto a lui, perché avrebbe dovuto avere al massimo trentotto anni, e lui ne aveva già almeno cinquantacinque. E allora l'abbiamo fatto per esperimento e poi basta. Andò benissimo, naturalmente. Era una delle prime commedie di Pirandello. Aveva il sapore di una teatralità... normale, di quei tempi. Infatti, trattava l' amore, trattava la possibilità del matrimonio, che infatti si faceva poi, alla fine... E io, stranamente, devo dirlo, la mia parte in questa commedia la imparai subito, ma subito: mi pareva di saperla già. Infatti non ricordo di aver mai dovuto prendere in mano la parte per rinfrescarla. L' ho letta e la sapevo”.

Come spiega questo fatto, signora Borboni?
“Perché il ragionamento dell' autore mi era familiare. Dentro di me lo capivo. E dire che era il mio primo incontro con lui, non avevo mai letto niente di suo.... Il vero primo incontro, invece, avverrà anni dopo. Nel 1926, mi pare, sì, nel 1926. Era nella hall del Quirino. E anche Pirandello. Stava parlando con Luigi Antonelli di cose di teatro. Passo io e Antonelli mi fa: Ma come, non ti fermi?. Io ho cacciato un gran sospiro (e lo simula, questo sospiro, con la bella voce ben impostata, ahhhh, ahhhh,) e non ho detto più nulla. Mi fece un'impressione meravigliosa”.

E poi?
“Poi, naturalmente, l' ho incontrato molte altre volte. Per esempio, quando ero in compagnia con Ruggeri, ed eravamo al teatro di Bergamo, un teatro immenso, che era anche cinematografo... Io non ero di scena, e stavo girellando per il teatro. E lui era là, in mezzo a un gruppo di persone che gli rendevano omaggio, che gli facevano festa. Anch' io, naturalmente... E lui dice: Che donna elegante. Oh, dico io, ma lei non si può occupare di queste cose. Non glie ne può importare....” E lui ribatte: Io mi interesso di tutto. E io sono rimasta senza parole un' altra volta, perché mi aveva dato questa lezione”.

Come era vestita, signora Borboni?
Avevo un abito blu, un blu Nattier, un colore speciale che usava molto il grande sarto Poiret. E lui, che in fondo si disinteressava di queste cose, mi fece un gran complimento. Il che vuol dire che era un uomo che sentiva tutto, capiva tutto, una meraviglia”.

Ricorda che il letterato e il drammaturgo Pirandello era sempre al centro delle conversazioni e dell' attenzione. Non ricorda invece che si parlasse particolarmente della sua vita privata. Neanche del sodalizio artistico-sentimentale con Marta Abba?
“Perché parlarne? Era una cosa normalissima. Quando si faceva una compagnia, il regista allora non si diceva così, si diceva il direttore si sceglieva la sua pecorella. Questo è un modo di dire mio, magari non tanto simpatico. Insomma, quello che pensava: adesso sto qui otto mesi, con chi me la faccio per chiacchierare, per andare a cena, per scambiare le opinioni, eccetera?. E allora nascevano questi sodalizi. Noi l' abbiamo presa così; come una cosa del tutto consueta. Lui invece no. Lui capì che quella donna era qualcosa di importante nella sua vita. Forse anche lei lo avrà capito. Che era importante. E io, io sono stata gelosa.... Gelosa? Ah sì. Non per l' uomo. Ma perché questo grande personaggio era toccato a lei, che diamine... Perché l' aveva pescato lei? Io ero più bella, e forse anche più brava... Marta Abba come era? Si poteva accettarla, si poteva accettarla. Poi però non si è più coltivata, è andata in America... Lui ha sofferto molto”.

"la Repubblica", 2 dicembre 1986

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