6.8.13

Priapo e San Foutin. Il culto indistruttibile (Beniamino Placido)

E’ il 1981. Intorno a un libro settecentesco di un inglese sui culti priapici molisani, appena tradotto in Italia, Beniamino Placido compone una paginetta di varia umanità che produce sorpresa, curiosità, divertimento. La levità dell’insieme rende tollerabile il finale, un po’ stiracchiato, in cui l’ottimo Placido maramaldeggia contro una sorta di “marxismo priapico” più immaginario che reale. (S.L.L.)   

Tempietto votivo portatile dedicato a Priapo
Ci sono cose che i terremoti possono distruggere. Ci sono cose che nemmeno il terremoto può distruggere. Ci sono cose nuove che solo un terremoto può portare alla luce. Farò un esempio per ciascun caso.
Primo caso (terremoto distruggitore): il terribile terremoto del 26 luglio 1805, che demolì quasi completamente la città di Isernia nel Sannio e fece scomparire le ultime vestigia del culto di Priapo, quale ivi si praticava. La cosa è particolarmente dolorosa, perché il culto di Priapo altro non è — detto così, alla buona — che il culto della «virga virilis», cioè del sesso maschile, cioè del pene. C'è anche un'etimologia — avventurosa come tutte le etimologie — che fa derivare «Priapo», per vari tramiti, proprio da «pene».
Ma, ed eccoci già ad un esempio del secondo caso (cose che nemmeno un terremoto può distruggere), venticinque anni prima era passato da quelle parti un inglese molto colto e molto curioso, Richard Payne Knight. Questo signore, appassionato di numismatica e di antichità, aveva descritto il culto di Priapo praticato ad Isernia, con tutti i suoi coloriti particolari, in un libriccino che vide la luce nel 1786. I particolari erano tanti, e così coloriti, che i puritani d'Inghilterra si arrabbiarono. Sicché l'autore, benché autorevole membro della Camera dei Comuni, fu costretto a comprare tutte le copie presenti sul mercato e a distruggerle.
Meno una, naturalmente, che fu — per nostra fortuna — riesumata e pubblicata in Francia a metà Ottocento, ed è stata adesso — per nostro diletto — tradotta in italiano (Richard Payne Knight, Il culto di Priapo e i suoi rapporti con la teologia mistica degli antichi, Newton Compton). Ogni anno (prima del fatale terremoto) gli abitanti di Isernia facevano una grandissima processione — alla data del 27 settembre — per i Santissimi Cosma e Damiano. Nel corso della processione venivano portati in grandi cesti ed offerti alla popolazione dei fedeli dei «priapi», cioè delle riproduzioni in legno del sesso maschile che i fedeli (e le fedeli anche) compravano ed adoravano.
Che cosa hanno a che fare i santissimi Cosma e Damiano, che noi ci immaginiamo casti e purissimi, con il culto di Priapo? Ecco, è proprio questo il dato interessante della scoperta e delle considerazioni di Richard Payne Knight. Quello di Priapo è un culto antichissimo. Dovunque, nel mondo pagano, si trovano dei «priapi», magari nella forma di pietre rozzamente scolpite, al limite dei campi: di cui debbono garantire la fecondità. Sopravviene il Cristianesimo, e il culto di Priapo dovrebbe risultarne distrutto. Invece no. Quando Sant'Agostino racconta indignato che durante le feste romane dei "Liberalia" «un enorme fallo era portato con un magnifico carro al centro delle pubbliche piazze, con grande sfoggio di cerimonie, e le donne più oneste andavano a deporre delle ghirlande di fiori sull'immagine oscena», si sente che non ce l'ha soltanto con i romani. Ce l'ha anche con quanto di questo culto pagano si è infiltrato nelle pratiche religiose cristiane (esempio sconcertante, ma non raro, di continuità nel cambiamento).
Una volta con la scusa dei santissimi Cosma e Damiano, una volta con la scusa di San Nicola, una volta con la scusa degli altri santi (che sono tanti), il culto di Priapo continua imperterrito ad interessare i fedeli cristiani. Nel Mezzogiorno della Francia, per esempio, questo impertinente Dio pagano si ripresenta e si fa onorare sotto le spoglie di San Foutin. Viene portato in processione un enorme fallo di legno che le donne grattano: con la polvere fanno un infuso che bevono loro (se temono per la propria sterilità), o danno da bere ai mariti (se dubitano della loro virilità). Di più: se crediamo a Burchard vescovo di Worms (e non abbiamo ragione di dubitare della sua autorità, confermata da tanti altri) pare proprio che la persistente superstizione priapea abbia generato fra le donne l'uso del «membro maschile artificiale», specie nei monasteri (chi l'avrebbe mai immaginata, tanta modernità!).
Dunque, se anche il terremoto del 1805 ha cancellato ad Isernia le tracce del culto di Priapo, noi abbiamo questo volumetto che lo ricostruisce. E poi, se anche questo volumetto fosse andato perduto, non per questo le tracce del culto di Priapo si sarebbero vanificate. Viviamo non dico nel culto, ma nel timore reverenziale di Priapo.
Pare proprio che gli uomini siano afflitti — da sempre — dal timore di non essere in buoni rapporti con Priapo. Di non essere benvoluti da Priapo. Di non essere «ben forniti di armi priapee» (così si esprimeva una cronaca medievale). E se anche le «armi priapee» ce le hanno, temono sempre che non siano cariche, che non siano pronte a sparare. La vita sessuale «virile» è vissuta spesso come un'angosciosa servitù militare: «All'erta sentinella! All'erta sto!»; «Presentat'arm!», eccetera. La paura di «far cilecca», il terrore che la cilecca sia irrimediabile non sarebbe presente in tanti personaggi letterari, da Stendhal a Brancati, se non fosse vera in tante persone reali. Tanto più vera perché nascosta o negata. A questo proposito vorrei permettermi di suggerire un'aggiunta alla «Nota bibliografica» predisposta in modo inappuntabile da Ireneo Bellotta per questo libro. Si tratta di un film: Intrigo internazionale di Hitchcock (1959).
Nel numero 23 (Psychanalyse et cinema) della rivista francese “Communications” (1975), Raymond Bellour ha dedicato a questo film un saggio di cento-quindici pagine. E' un'analisi ormai classica, famosa almeno fra gli addetti ai lavori per la sua ingegnosa e convincente acutezza. L'intrigo internazionale è solo la trama apparente. Il tema vero sta sotto. E' un intrigo familiare. E' un labirinto sessuale. Il protagonista (l'attore Cary Grant) ha il problema di uscire dalla tutela soffocante, castrante della madre, di liberare la sua sessualità quanto basta per poter affrontare una vera donna. Solo questa trama profonda dà ragione di tutti i particolari del film, anche quelli minimi e in apparenza insignificanti. Come quando lui, il protagonista, si deve sbarbare nel bagno di lei, ed eccolo davanti allo specchio con in mano il pennello e il rasoio che lei usa per depilarsi (è una donna raffinata, levigata, misteriosa: in qualche modo, «impenetrabile»).
Ma si tratta di un pennello da donna, di un pennello minuscolo. Piccolo pennello, piccolo pene, ecc.: Priapo, aiutami tu! In questo modo Hitchcock esprime il problema vero, la preoccupazione profonda — e forse inconsapevole — del protagonista.
Terzo caso, terzo esempio: un terremoto che libera cose nuove. E' quello del '68. Fra le tante cose mediocri o pessime che quell'anno «mirabile» ha generato, ce n'è anche qualcuna buona, anzi ottima. La fine, o almeno l'inizio della fine della sessualità maschile rigida e militaresca, angosciosamente «priapea». La nascita, o almeno la promessa, di una sessualità diversa, più diffusa, più tenera, più tranquilla.
Brunella Gasperini, la «Brunella» di “Annabella”, scomparsa purtroppo due anni fa, ha raccontato in uno dei suoi libri di essere entrata una volta nella camera dei figli e di aver letto sulla parete una strana scritta in inglese: «Never hurry, never worry». Interpellati, i ragazzi spiegarono che era il motto loro e della loro cultura, la loro formula per far bene l'amore. «Never hurry»: mai affrettarsi. «Never worry»: mai preoccuparsi. Perché affrettarsi, perché preoccuparsi se le cose dapprincipio non vanno bene? Se non si è ancora pronti all'amore? Se non si è vigili e rigidi, come le sentinelle sempre pronte al «presentat'arm!»? Basta volersi bene, basta piacersi, e tutto andrà per il meglio.
Con questo non voglio dire che il culto di Priapo sia del tutto morto. Si presenta, si presenterà ancora. Per esempio nella forma di quel marxismo accademico, obbligatorio e ripetitivo, fallico e perciò fallace, che è proprio una forma di «gallismo» virile.
I curatori di questo interessante libro, Maria Cristina Martini e Alfonso Di Nola, ci tengono a farci sapere che loro sono capaci di dare anche un'interpretazione «marxista» del culto di Priapo (per fortuna, si limitano ad un accenno). Veramente, non se ne sente il bisogno. Ci si può congiungere e rapportare alle cose di questo mondo anche senza inalberare necessariamente, immediatamente, il vessillo di Marx. Perché affrettarsi, perché preoccuparsi di presentare il proprio «marxismo» come una spada sguainata, pronta a trafiggere? «Never hurry, never worry».

“la Repubblica”, 1981

2 commenti:

  1. Caro Signor Lo Leggio, volevo semplicemente dirle che Cosma e Damiano non sono santissimi come lei sempre scrive, ma la dicitura SS. Cosma e Damiano significa solo il plurale, ovvero: Santi Cosma e Damiano, cosi´ come e´ anche in altri casi dove una chiesa per esempio e´ dedicata a due o piu´ santi, per esempio la chiesa dei SS. Quattro Coronati a Roma,(Santi Quattro Coronati) o dei SS. Nereo e Achilleo,(Santi Nereo e Achilleo) sempre a Roma, SS.Giovanni e Paolo (Santi Giovanni e Paolo)sempre a Roma e tante altre.
    Ciao

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  2. Gentilissima Marie Nahnahme,
    la ringrazio della precisazione, da rivolgere più che a me all'autore dell'articolo, Beniamino Placido. Conosco il valore della doppia S nell'indicazione dei santi, ma credo che lo conoscesse anche Placido che era, notoriamente, un pozzo di scienza. Non mi pare pertanto probabile un errore, penso piuttosto che abbia adoperato quel "santissimi" (che s'accoppia con il successivo "purissimi") per fare ironia. Purtroppo, morto Placido, sulle sue intenzioni o sui suoi errori possiamo fare soltanto congetture.

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