16.8.13

Pro e contro Agatha Christie. Resoconto di un antico processo (Irene Bignardi)

Agatha Christie (seduta) con il secondo marito
CATTOLICA 
E' stata una brava "fotografa" del suo mondo, oppure il trionfo dell'irrealismo? E' stata una scrittrice, o soltanto una "scrivente"? E' stata un'artigiana dallo stile sciatto, o si è deliberatamente servita di un linguaggio semplice e piano per condurre in porto il suo "progetto letterario"? Ha agito lealmente verso i lettori, mettendo a loro disposizione tutti i dati necessari per vincere una ingegnosa sfida mentale, o è stata invece una banale, compilatrice di cruciverba, capace anche, all'occorrenza, di barare? E ancora: le generazioni future continueranno a leggere i suoi romanzi, oppure sarà ben presto dimenticata, perché irrimediabilmente superata dai tempi?
A queste e ad altre domande era chiamato a rispondere il "processo" che si è aperto venerdì scorso nell' austera sala del Consiglio Comunale di Cattolica, nell' ambito del quinto Mystfest - il festival del giallo e del mistero - e nel quale l'imputata era Agatha Christie, la gentile signora che durante la sua lunga esistenza ha assassinato con la penna settecento persone senza mai sporcarsi di sangue, e che con questo processo ha probabilmente vissuto - dall'alto dei cieli del giallo - la vicenda meno "thrilling" della sua carriera. Perché, come è ovvio, l'esito del processo - non già il verdetto, che non era previsto dal "regolamento" - era di fatto scontato in partenza: l'assoluzione. Anche perché insieme a Dame Agatha, come hanno sottolineato da diverse angolature sia la Pubblica Accusa (rappresentata dalla scrittrice e "giallologa" Renée Reggiani), sia l' Avvocato Difensore (che era Rosellina Balbi), venivano processati, per la loro indefettibile fedeltà alla scrittrice, anche quattrocento milioni di acquirenti - e quindi probabilmente un miliardo e mezzo di lettori in tutto il mondo, Urss e Cina comprese - dei suoi ottantasei romanzi e delle sue numerose commedie. Il fatto che l' esito del processo fosse praticamente scontato non ha tuttavia impedito che le due sedute siano state movimentate, polemiche e divertenti. Perché, sì, Agatha Christie conta molti amici, ma anche tanti nemici.
A cominciare da quelli "storici", ampiamente citati, come per esempio Raymond Chandler con la sua celebre accusa alla Christie di mancanza di realismo; accusa ricordata anche dal primo "esperto" chiamato a testimoniare, quel Robert Barnard che, oltre ad avere scritto un saggio su Agatha (A Talent to Deceive: an Appreciation of Agatha Christie), è autore egli stesso di romanzi polizieschi, nonché professore di letteratura inglese in una università norvegese.
A parte il Pubblico Ministero, il cui compito era particolarmente difficile, gli accusatori della Christie si sono contati sulle dita di una mano: ma, forse proprio per questo, il loro accanimento è stato feroce. Primo fra tutti il signor Barnett, ex funzionario di Scotland Yard, approdato anche lui alla stesura di "crime stories", il quale si è scagliato duramente contro Agatha, riprendendo, dall' alto (o dal basso) delle sue esperienze professionali - che non devono essere state propriamente idilliache - l'accusa chandleriana di "mancanza di realismo". Dov' è il sangue, dove l'orrore, dove la puzza dei cadaveri, dove il cordoglio dei parenti, dove insomma la vita - anzi, la morte - nei romanzi della Christie? Quando mai a un investigatore in carne e ossa capiterà di incappare in un assassinio commesso con una goccia di veleno in un bicchiere di champagne? E perché gli assassinii proposti dalla signora avvengono sempre in case dallo stile georgiano, o in vicariati di campagna, o in biblioteche colme di libri rari, o in battelli sul Nilo, o in treni di lusso? Quando mai a lui, Barnett, sarebbe riuscito di riunire in una stanza tutti gli indiziati, e di puntare il dito accusatore, dopo un lungo preambolo, sul colpevole, ottenendone, malgrado la mancanza di prove, un'immediata confessione?
Se il primo capo d'accusa è stato la mancanza di realismo, il secondo - ribadito con altrettanta burrascosa spietatezza da Guido Almansi e da Alfredo Giuliani - è stata la cattiva scrittura. Qui, qualche responsabilità ce l'ha anche Oreste del Buono, tanto "amico" della vecchia signora da essersi lasciato andare a paragoni che sono stati giudicati irriverenti e provocatorii dai due testimoni d'accusa. Ma come? Agatha Christie sarebbe pari a Ivy Compton-Burnett, o addirittura - Dio ne guardi - a Harold Pinter? I due critici letterari, nel loro sdegno, hanno bocciato senza attenuanti Dame Agatha: era solo una "pappa di tapioca", come ha detto Almansi, insipida e disgustosa; o, più nobilmente, era simile, fatte le debite differenze, a Vittorio Alfieri, capace solo di creare un mondo artificiale. Non solo, ma la Christie - ha incalzato Giuliani - ha fatto un "uso imperterrito, carezzevole e insidioso del luogo comune"; non aveva alcuna poetica; soprattutto, ha colpevolmente avvilito l'enigma - questo grande elemento motore di tanta letteratura classica - a un meccanico gioco di società.
La controffensiva dei testimoni della difesa, oltre ad essere stata vivacissima, ha avuto buon gioco nel puntare innanzitutto - come in ogni romanzo della Christie - sui fatti; e cioè sui venticinque milioni di copie (come ha testimoniato Lia Volpatti) che nella sola Italia sono state stampate dei suoi libri, senza nessuna promozione pubblicitaria, ma soltanto sull' onda della popolarità - al di là delle frontiere, delle classi sociali e delle generazioni - di questa superstite cantastorie in un mondo di libri senza storie; sulle ottanta ristampe, per novantamila copie, di ciascuno dei suoi romanzi; sulle telefonate e le lettere che quotidianamente arrivano alla Mondadori - l'editore italiano della Christie - per chiedere notizie sulle prossime riedizioni christiane.
Viene accusata di avere uno stile elementare? Ma è proprio questa scorrevolezza del linguaggio che le ha conquistato tanti lettori. Non è una grande scrittrice? L' argomento è privo di senso: lei stessa si considerava solo una onesta artigiana. E' disonesta con il pubblico quando semina "red herrings", o indizi ingannatori, nelle sue pagine? Ma come, se ogni lettore attento è messo in grado di individuare, lungo il percorso, gli elementi che portano alla giusta soluzione e se, al momento della verità, tutto torna, come in un teorema matematico?
Corrado Augias (presente a Cattolica anche come vincitore del premio Gran Giallo per il suo romanzo Il fazzoletto azzurro, ma in questo caso commosso teste a favore), è arrivato addirittura a paragonare la struttura del "plot", dell' intreccio christiano con le sue regole rigorose e i continui rimandi dall' apparenza alla sottostante verità, alla precisione di forma del sonetto. Ed è forse un caso, si è chiesto Augias, se uno tra i massimi teorizzatori dell' "opera aperta" (allusione evidente a Umberto Eco), nel momento di affrontare "il genere giallo" ha fatto propria quella forma costringente e geometrica che la Christie ha portato alla perfezione? Dopo una pausa di riflessione per dar modo al Presidente del Tribunale Giuseppe Petronio (cancelliere era Giorgio Gosetti, organizzatore, con Francesca Solinas, del processo-convegno) di valutare gli atti processuali, il dibattimento è proseguito sabato, prima con la testimonianza di esperti - tra gli altri Claudio G. Fava, che ha parlato dei film tratti da opere della Christie - e poi con quella di personaggi più "coinvolti", e dunque più emotivi: Christianna Brand, collega e amica di Agatha; il nipote di quest' ultima, Mathew Prichard, erede fortunato dei diritti di Mousetrap (la commedia che è in scena a Londra da oltre trent' anni), che della nonna ha ricordato la modestia, la generosità, la capacità di seguire le trasformazioni della società (le piacevano molto i Beatles); e Janet Morgan, biografa della scrittrice, che ha posto un quesito fondamentale: quali sono le ragioni psicologiche del successo mondiale di Agatha Christie? Che cosa ha saputo dare alla gente d' ogni paese, questa schiva scrittrice inglese, per conquistarla? Non poteva essere, come è stato detto, una pura e semplice confezionatrice di enigmi; al lettore offriva anche il suo humour, la sua esperienza della natura umana, e soprattutto un gioco dell' intelligenza condotto con grande lealtà. Tutto ciò continua ad offrirlo anche al lettore moderno, certo. E anche all' uomo di cultura di ieri e di oggi, come ha fatto osservare l' Avvocato Difensore e come ha confermato il politologo Giorgio Galli, presente in aula. Ciò spiega perchè conti poco l' imprecisione storica e geografica delle trame, quella che Renèe Reggiani, Pubblico Ministero che si è dichiarato "oppresso e braccato" dai quattrocento milioni di christiani, ha definito l'"improbabile" e "intercambiabile" ambientazione dei romanzi della Christie, opponendole, nella sua arringa, l' ambientazione offerta, per esempio, da Simenon o da Ross Macdonald, e dichiarandosi convinta che la "stella" della Christie finirà per spegnersi: "non c' è bisogno di condannarla, si è condannata da sola". E allora, innocente o colpevole? L'Avvocato Difensore, in una appassionata arringa, facendo sua la richiesta di una spiegazione "psicologica" dell' amore per Agatha, ha fugato ogni dubbio. E' vero, ha detto, che dai romanzi della Christie le emozioni sono "espulse". Ma sta proprio in questo la grande forza consolatrice che essi offrono ai lettori: i quali si spogliano anch' essi di ogni personale emozione, di ogni angoscia, di ogni sofferenza, e diventano una pura mente pensante impegnata in una battaglia contro un' altra mente pensante. Né si tratta di un' evasione, perché in questo caso il lettore non si dimentica affatto di se stesso, sapendo, al contrario, di condurre un gioco che può essere anche serio e importante, perché mette alla prova la sua stessa capacità di pensare e di ragionare.
Così non è un caso che i prigionieri di Buchenwald, condannati ad una progressiva "sparizione", mettessero in scena i Dieci piccoli indiani, la storia christiana in cui tutti i personaggi progressivamente spariscono, finché "non rimase nessuno": era un modo di spogliare la loro tremenda vicenda dalla paura, sovrapponendole un "gioco" dove alla fine trionfa la Ragione e il colpevole paga. Il trionfo della ragione, della creatività, dell' intelligenza umana: è questo il messaggio, consapevole o no, della Christie; un messaggio che si fa sempre più prezioso nell' era del computer: nessuna macchina, per perfetta che sia, potrà mai sostituirsi all' uomo nella sua tormentata fatica intellettuale, nella sua paziente ricerca del vero.
Perciò, se davvero un giorno i libri di Agatha Christie non dovessero più essere letti, quello, ha concluso la Difesa, sarebbe un ben triste giorno.


“la Repubblica”, 3 luglio 1984

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