5.8.13

Talma. Un attore tra Rivoluzione e Restaurazione (Elena Dallorso)

L’autrice del “pezzo”, Elena Dallorso, non deve avere le simpatie giacobine che noi abbiamo, peraltro in comune con i fondatori del giornale che lo pubblicò, “il manifesto”. L’articolo, nonostante qualche malevolenza di troppo contro il “compagno” Robespierre, contiene notizie e valutazioni di un qualche interesse sul teatro francese (e non solo) del periodo tra la Rivoluzione dell’89 e la Restaurazione. (S.L.L.)
Talma nel ruolo di Amleto in una stampa di fine Settecento
Andare a Parigi senza vedere Talma è come dire di andare a Roma senza vedere il papa», scriveva nel 1817 una signora a un amico. Oggi quasi nessuno sa più chi sia Talma. Ma duecento anni fa era l'attore più popolare di Francia, e le donne ne portavano il ritratto appuntato tra i capelli come fermaglio o al collo come cammeo, all'uscita da teatro alla sera i suoi devoti l'attendevano per potergli gridare il loro entusiasmo. Lanciò la moda del taglio dei capelli à la Titus, quando migliaia di francesi copiarono i riccioli scomposti di uno dei suoi personaggi. Era stato l'interprete dell'Ancien Régime, della Rivoluzione, il divo di Napoleone, il funzionario dell'Impero, l'attore della Restaurazione, navigando attraverso le tempeste sociali e politiche di un secolo pieno di storia, senza mai venirne annientato. La sua fama straordinaria e la sua fortuna, inalterate dal 1789 alla sua morte, nel 1826, coincisero con i trent'armi in cui la storia di Francia e d'Europa conobbero il periodo di maggiori trasformazioni.

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Di Talma, e della storia di cui egli fu interprete e protagonista Mara Fazio ha scritto un libro capillarmente informato e divertente, pieno di aneddoti e di citazioni, attingendo all'immenso materiale documentario inedito scoperto alla Comédie-Francais, e all'epistolario dell'attore: Frangois Joseph Talma. Primo divo. Teatro e storia fra Rivoluzione, Impero e Restaurazione (Leonardo Arte), in cui storia pubblica e privata del primo grande attore del teatro moderno si intreccia con la Storia, quella dei grandi avvenimenti e quella dei piccoli fatti quotidiani, con la cronaca riportata dai giornali e con le riflessioni critiche dei contemporanei, restituendo un ritratto inedito e a tutto tondo di un'epoca e dei suoi protagonisti.

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È il 26 novembre del 1792, la data dell'inizio dell'ascesa dell'astro Talma: sulla scena del Théàtre de la Republique si recita l'Otello di Shakespeare, imbrigliato nella regolarità degli alessandrini e francesizzato in tutto, tranne che nel nome del protagonista. Schiarito il moro fino a un più rassicurante mulatto, sostituito il fazzoletto di Desdemona con un diadema, il cuscino che Otello usa per soffocare l'amata con un più virile pugnale ed eliminata l'intollerabile, immorale premeditazione del gesto, questo Otello riveduto divenne da tragedia della fatalità, tragedia morale. L'impatto sul pubblico della Rivoluzione fu enorme. Alla prima, quando Otello ebbe colpito Heldemone con il pugnale, si levò dal parterre una voce che gridò: «È un moro che l'ha fatto, non un Francese! ». Ma non bastò ad evitare che le dame svenissero e la pièce facesse tanto scandalo da indurre Ducis, autore dell'adattamento, a prevedere un finale alternativo senza versamento di sangue in cui Odalbert arrivasse appena in tempo per evitare l'uxoricidio.
L'Otello di Talma come il suo Brutus, furono un omaggio alle idee e ai colori della Rivoluzione. Shakespeare, della cui poesia e della cui portata drammatica Talma si era nutrito da ragazzo, figlio del dentista della corte inglese, si prestava all'interpretazione melodrammatica e Talma se n'era accorto. Solo pièces patriottiche caratterizzarono le rappresentazioni del Théàtre de la Republique. Al teatro veniva riconosciuto il compito di suggerire, di creare perfino, le allusioni alla contemporaneità, le cosiddette applications che fornissero agli spettatori gli strumenti conoscitivi per interpretare i fatti che accadevano velocissimi sotto i loro occhi. Una sorta di lettura storica del presente, attraverso le lenti dell'immaginario, ma senza il distacco temporale. Mai, come nel periodo che va dal 1789 al 1815, il teatro francese rivestì un ruolo tanto importante di specchio e interprete della realtà, una funzione educativa e didattica nei confronti del pubblico, invadendo la società. A teatro si interrompevano gli spettacoli per dare lettura dei bollettini di guerra. Era da lì, dal palcoscenico che si fornivano al pubblico le metafore per poter elaborare, assimilare un presente tempestoso e velocissimo, per gettare le basi della memoria storica. Era il teatro il foro della nascente nazione: «Dai giochi infantili sino alle rappresentazioni teatrali e alle feste più importanti della Nazione è fondamentalmente di sua competenza tutto ciò che, agendo sugli animi, può farvi nascere ed incidervi impressioni utili o funeste», dichiarava Tayllerand all'assemblea Nazionale nel 1791. Capire perché, in quali frangenti e che cosa avesse recitato un attore in ascesa come Talma fa comprendere a noi, a duecento anni di distanza, quali fossero oltre ai gusti, gli umori, le passioni, le paure di un popolo che si stava riprendendo da secoli di dominio feudale. E l'interpretazione dell'attore acquisiva, rispetto al testo, un valore simbolico e una preponderanza assoluta.

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Che cosa differenziava Talma dagli attori fino ad allora acclamati dal pubblico? La sua recitazione, senza dubbio, un misto di naturalezza e di enfasi del tutto personale, l'uso della pantomima, con cui egli riuscì ad offrire agli spettatori della Rivoluzione un teatro figurativo che rispondeva alle loro esigenze, che dava una possibilità di espressione anche all'immensa accelerazione che la società aveva vissuto in quegli anni e che faticava ancora ad assimilare. Era un riformatore, e aveva portato sulle scene la sobrietà classica dell'Antica Roma, sostituendo ai pennacchi e alle parrucche la semplicità delle toghe candide. Poi venne il Terrore. Cauto, mosso da un intuito che lo salvò sempre, Talma si limitò a recitare, senza attirare su di sé gli sguardi della nuova, sanguinaria inquisizione. Passò illeso attraverso sei mutamenti politici e sociali, attore, corifeo, interprete di tutti e di nessuno, perché spinto da una passione che li trascendeva tutti, quella della recitazione. Non inseguì mai, e questa fu la sua fortuna e il suo talento, il prestigio personale, bensì il riconoscimento del ruolo e dell'indipendenza dell'attore. Si può dire che per la prima volta con lui la professione dell'attore si trovò a riflettere su se stessa, assumendo la funzione di intermediaria tra il lavoro dell'autore e lo spettatore. «L'attore, mettendosi fedelmente al posto del personaggio che rappresenta, deve completare il pensiero dell'autore di cui è interprete», scriveva nelle Riflessioni su Le Kain e sull'arte teatrale, vero e proprio manifesto della recitazione «sensibile».
Talma recitava con «naturalezza», interpretando con forza e coerenza i ruoli e diventando il beniamino delle nuove generazioni di pubblico francese. Nel 1795, tornata la libertà, prese la parola alla Convenzione e propose di abolire la legge che ordinava di «perseguire con i tribunali criminali coloro che con scritti o discorsi sediziosi tentassero di avvilire l'immagine nazionale»: «E’ la stampa che ha fatto la Rivoluzione, è la stampa che la sosterrà. E’ la sua repressione che ha favorito l'usurpazione di Robespierre. È la libertà di stampa che ha svelato gli orrori del suo governo, che ha segnalato i suoi complici, che ha riportato nel vostro seno dei virtuosi proscritti.»

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Cittadino del nuovo ordine, non più soltanto attore, Talma vide nella proposta della restaurazione del Théàtre Français, baluardo dell'Ancien Régime, una minaccia alla propria indipendenza. Ormai le divisioni tra gli attori erano di tipo ideologico, culturale e politico, non più tra innovatori e tradizionalisti. Il Théàtre Français riaprì, ma solo nel 1799, pochi mesi del ritorno trionfale di Bonaparte dall'Egitto. Circondato da un enorme consenso, il nuovo Console cominciò a organizzare e controllare con il suo governo gli spettacoli, con particolare attenzione al Théàtre Français, dove Talma aveva ripreso a recitare inaugurando una nuova linea teatrale napoleonica.
Scriveva di Bonaparte Mme de Stael: «Tutto in lui era mezzo o scopo». Era normale che le preferenze di Bonaparte, che considerava gli spettacoli dal punto di vista del potere di comunicazione, andassero alla tragedia, efficace mezzo di riflessione politica, e che si rivolgesse a Talma, lo usasse, anzi, come il migliore strumento di propaganda. Come Bonaparte Talma era classico per cultura e forma dell'intelligenza, ma romantico per carattere. Entrambi agivano spinti dall'immaginazione.

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Nella poderosa riorganizzazione della società operata da Napoleone, lo spettacolo venne ad assumere un ruolo sempre più centrale. Nel 1805, mentre Napoleone trionfava ad Austerliz, Talma inaugurava il nuovo stile «energico imperiale», una recitazione sobria, classica, romana, priva degli eccessi che avevano caratterizzato l'horreur anglaise tanto amato negli anni precedenti. Anche i suoi detrattori dovettero riconoscere la sua maturazione. Con la Re¬staurazione gli attori del Théàtre Français tornano ad essere i Comédiens du Roi. Talma, abituato ad adattarsi ai mutamenti e ai compromessi dell'attualità, seppur moderno e romantico nella recitazione, rimase classicista nel repertorio. A fargli scegliere il partito della moderazione furono tre considerazioni di ordine pratico: l'avversione al Romanticismo cattolico, la fedeltà a Voltaire e la sua condizione politica di liberale, laico ed ex bonapartista.
Una volta ancora, davanti al nuovo ordine, la recitazione di Talma cambiò: il nuovo sovrano, ieratico, lento nei movimenti, bonario, richiedeva meno asprezza del mobilissimo Napoleone. Talma morì il 19 ottobre del 1826. Era stato un massone, e per i suoi funerali volle una cerimonia laica, senza passaggio obbligato da chiese o templi. Il feretro fu accompagnato per i boulevards da una folla silenziosa fino al cimitero di Pére Lachaise. Anche in morte Talma inaugurò una moda.

“il manifesto”, 24 giugno 1999


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