28.9.13

Benvenuto, nonno Orango! (Giovanni Maria Pace)

L'orango morto nel 2007 allo zoo di Miami
considerato, da vivo, il più vecchio del mondo
Recensione di una vecchia e importante mostra statunitense di paleoantropologia, l’articolo contiene informazioni riattualizzate dalle pratiche recenti dell’insulto politico-razzista. (S.L.L.)
 
Crani di Sivapithecus
NEW YORK
Al Museo di storia naturale, di fianco al Central Park, il visitatore italiano ha in questi mesi l'occasione di un incontro raro in patria (dove la paleoantropologia è poco popolare): l'incontro con l'Uomo di Saccopastore, neandertaliano arcaico scoperto nel 29 poco fuori Porta Pia, nell'allora campagna romana.
Il fossile ha varcato l'Oceano per partecipare a una riunione di famiglia: alla più completa e genuina (nel senso che vi figurano originali e non copie) esposizione di antenati mai organizzata (Ancestors, American Museum of Natural History, che resterà aperta fino al 9 settembre). Ci sono tutti: l'Aegyptopithecus, il primate simile a un gatto da cui, 35 milioni di anni fa, si dipartirono i due grandi rami che avrebbero condotto, da un lato, alle scimmie e, dall' altro ai primati superiori, ivi compreso l' uomo; il Sivapithecus, simile al moderno orangutan; la famosa Lucy, ragazzina di tre milioni di anni fa; e altri celebri personaggi fino all' uomo di Cro Magnon, che, calzato e vestito, potrebbe passeggiare nella Quinta Strada senza dar nell'occhio.
Sono quaranta i fossili fatti venire a New York dalla Tanzania e dalla Germania, da Israele e dal Sudafrica (ma non dall'Etiopia, pur ricchissima di reperti, che da anni è in lite con la scienza occidentale). Quaranta "gioielli" per lo più autentici, i quali "a chi se ne intende", dice Eric Delson, uno dei curatori della mostra, "danno un feeling, una speciale sensazione che nessun calco, per quanto accurato, riesce a suscitare".
Ma anche al profano quelle tangibili testimonianze della nostra evoluzione, quelle orbite vuote nelle quali un tempo balenarono i primi lampi di umanità procurano qualche trasalimento. "E' la storia più affascinante che io conosca", commenta Delson. Una storia ancora piena di "buchi", di interpretazioni difformi, di controversie. L'ultima riguarda il grado di parentela tra l' uomo e le grandi scimmie antropomorfe ed è stata innescata da Jeffrey Schwartz, dell'università di Pittsburgh, il quale sostiene che non lo scimpanzé, ma l'orangutan è il nostro cugino più prossimo. In questi anni, accanto al tradizionale confronto morfologico, cioè delle forme esterne, è andato affermandosi, nell'esame comparato dell' uomo e della scimmia, lo studio del Dna (l'acido nucleico, nel quale è iscritto il programma genetico dell'individuo e della specie), delle proteine e così via. Gli antropologi "molecolari" - così si chiamano i nuovi esploratori del nostro passato biologico - concludono che l'accumulazione delle differenze a livello, per l'appunto, molecolare avviene a un ritmo regolare. Facendo quindi un conto alla rovescia, generazione per generazione, è possibile stabilire quando due specie si sono divise dall'ascendente comune. Questo calcolo fa risalire a otto milioni di anni fa la separazione della linea uomo-scimmie africane (scimpanzè, gorilla) dalla linea che porta all' orangutan (scimmia asiatica), e a 4 milioni di anni fa l' ulteriore separazione della linea ancestrale del gorilla e dello scimpanzè da quella dell' uomo. Schwartz dice invece che noi siamo più vicini all' orangutan.
Orangutan sugli alberi
Su che cosa basa questa inedita affermazione? L' orangutan è una antropomorfa vegetariana che vive in Indonesia e pesa dai 50 ai 100 chili (per saperne di più sulle nostre sorelle scimmie è consigliabile la lettura del libro di Brunetto Chiarelli, Origine della socialità e della cultura umana, Laterza, pagg. 350, lire 35.000). Il mansueto pongide, fa notare il professor Schwartz, condivide con l' uomo, anzi con la donna, la durata della gestazione: 270 giorni, contro i 260 dello scimpanzé e i 245 del gorilla. Anche le mammelle dell'orangutan sono ben separate sul torace e vicine alle ascelle come nella donna, ed entrambe - femmina Homo e femmina orango - presentano un'alta concentrazione di ormoni sessuali nel sangue. Infine, entrambe le specie copulano faccia a faccia, ciò che conferisce all'atto sessuale maggiori connotazioni affettive e più lunga durata.
La pretesa dell'orangutan di avanzare di grado incontra però l'ostilità di diversi studiosi, tra cui David Pilbeam, docente di antropologia all' università di Harvard. Per Pilbeam le cose sono andate così. L'orangutan si è separato dal nostro ramo 16 milioni di anni fa, mentre la scissione tra umani e scimmie africane deve essere avvenuta non prima di 7 o 8 milioni di anni fa. C' è anche la possibilità che il Sivapiteco, vissuto in Africa 17 milioni di anni fa, sia l' ascendente comune di tutti i grandi ominidi. Ma Pilbeam è più incline a legare il Sivapiteco all'orangutan. "Per sciogliere i dubbi", dice l' autorevole antropologo, "dovremmo avere più reperti a disposizione. Ma purtroppo l'archivio fossile dell'Africa presenta un black-out di 10 milioni di anni, da meno 14 a meno 4, cioè alla comparsa dei vari australopitechi, che sono chiaramente riconoscibili come ominidi. Anche se non è più di moda parlare dell'"anello mancante", questa lunga vacanza racchiude per noi il maggior fascino".
Perché la nuova antropologia molecolare è spesso in disaccordo con l' antropologia fisica? "Perché non ci si rende conto di un fatto fondamentale", risponde Pilbeam. "Non è necessario che cambino molti geni per avere grandi mutamenti morfologici. Uomo e scimpanzé, per esempio, sono geneticamente più simili tra loro che lo scimpanzé e il gorilla; ma, quanto all' aspetto, lo scimpanzé appare molto più simile al gorilla che a noi. La ragione è che solo pochi geni sono cambiati, ma sono i geni che controllano processi-chiave di sviluppo: le discrepanze tra evoluzione genetica ed evoluzione morfologica sono del tutto naturali".
La mostra di New York evita ovviamente di addentrarsi nel ginepraio di queste polemiche. "Il nostro scopo nei riguardi del pubblico", dice Delson, "era soprattutto quello di dare scacco ai creazionisti, che qui in America hanno rialzato la cresta. Per ottenerlo occorreva la massima chiarezza". Ancestors si mantiene dunque nell'ortodossia, segue lo schema generalmente accettato. Eccolo. La prima forma che si può chiaramente collocare sul percorso che conduce all' uomo, sono le specie raggruppate nel genere Australopithecus, coi primi esemplari ritrovati in Sudafrica negli anni Venti. "Li abbiamo divisi nelle quattro specie consuete", afferma Delson che insieme a Ian Tattersall ha curato anche il catalogo, "e cioè l'Australopithecus afarensis, gruppo proveniente dai depositi dell' Africa orientale di 4 milioni di anni fa e di cui fa parte Lucy; l'Australopithecus africanus, con il Bambino di Taung, che quando venne alla luce nel 24 sembrò proprio la creatura a metà strada tra scimmia e uomo che Darwin aveva ipotizzato; e infine le due specie di australopiteco robusto, che però finirono sul binario morto".
Gli australopitechi gracili sono dunque nostri predecessori. Erano alti poco più di un metro, camminavano eretti nella savana africana ed erano modesti cacciatori, molto diversi dalle "scimmie assassine" dell' antropologia folkloristica. Dagli australopitechi si sviluppa, 2 milioni di anni fa, l'Homo habilis, abitatore dell' Africa dal cervello alquanto più voluminoso. Più o meno della stessa epoca sono i primi utensili di pietra (i primissimi dovettero essere di legno e di osso, ma non ne resta ovviamente traccia). Compare poi l'Homo erectus, una stirpe di cacciatori durata a lungo (da 1,7 a 0,5 milioni di anni fa), diffusa in Africa e in Asia orientale. Con l'Homo erectus si passa dai semplici utensili dell'habilis a tutta una serie di strumenti specializzati che configurano in un certo senso la prima rivoluzione tecnologica. "Circa un milione di anni fa", continua Delson, "comincia l' epoca glaciale, un periodo in cui a fasi fredde, che spingono i ghiacci fino alla Germania centrale, si alternano fasi temperate confrontabili con quella attuale. E' verso la metà dell' epoca glaciale che compare l'Homo sapiens".
La mostra distingue un Homo sapiens arcaico e l' uomo di Neandertal, la famiglia di fossili più famosa fin dal tempo di Darwin. Dopo i Neandertal, i Cro Magnon, in un rapido avvicendamento che è un'altra zona calda nel dibattito tra gli studiosi; e infine l'uomo moderno. Perché chiamiamo "moderna" questa figura emersa 30 mila anni fa? "I resti degli abitatori dell'Eurasia e dell'Africa vissuti allora", risponde Delson, "sono praticamente uguali agli odierni abitanti di quelle regioni".


“la Repubblica”, 7 luglio 1984

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