L’anarchico Michele Schirru, cui
Giuseppe Fiori dedicò una splendida biografia, fu imputato e condannato a morte
in uno dei più plateali “processi alle intenzioni” impiantati dal Tribunale
Speciale Fascista. Sardo, emigrato in America dopo la Prima Guerra Mondiale,
era tornato – via Parigi – dagli Stati Uniti, di cui era ormai cittadino e ove
gestiva un negozio di frutta e verdura con la ferma intenzione di uccidere
Mussolini. Ma non aveva potuto attuare il suo proposito per le difficoltà
logistiche e aveva rinunciato, quando venne arrestato, nel gennaio del 1931. Fu
condannato a morte e fucilato nel maggio dello stesso anno. Il testamento che
segue, un testamento politico scritto prima del suo arrivo a Roma, fu considerato
una prova a carico. (S.L.L.)
Il fascismo come tutte le altre
dittature e tirannie, mi ha sempre inspirato orrore. Mussolini, con le sue
vigliaccherie, con le sue feroci persecuzioni di tutto un popolo, coi suoi
cinismi brutali non aventi altro scopo che di conservargli il potere, io l'ho
sempre considerato un rettile dei più dannosi per l'umanità. Le sue pose da
Nerone, da boia, da carnefice di un popolo e della libertà che si gloria di
strozzare e di calpestare, mi hanno sempre inspirato odio, odio e ribrezzo, non
per l'uomo, che è poco più di mezzo quintale di carne flaccida e avariata, ma
pel tiranno massacratore dei miei compagni, traditore di quei lavoratori che
sino a pochi anni prima lo avevano sfamato. Questo odio accumulato da anni e
anni di riflessione, compresso nel mio cuore di uomo libero, dovrà un giorno
esplodere.
Fino al 1923 pensavo che per
stroncare la tirannia bisognava stroncare il tiranno. La libertà non è un corpo
putrefatto che si possa calpestare impunemente. La storia ci insegna che in
tutti i tempi la libertà calpestata dai tiranni ha trovato difensori arditi. La
tirannia assolda sicari; ma la libertà crea i vindici e gli eroi. E nessun
esercito di sicari è mai riuscito a trionfare della volontà né ad arrestare la
mano del giustiziere.
Ai primi di quest'anno venni in
Europa col solo scopo di incontrare questo boia e ricordargli che la libertà è
ancora più viva che mai, che ancora riscalda il cuore dei ribelli e li spinge
al sacrificio, e che non è ancora spenta la buona vecchia razza degli anarchici
che sanno vendicare le crudeltà e le
torture inflitte ai propri
compagni.
Nel maggio di quest'anno, in
occasione dei viaggi clamorosi del tiranno nell'Italia settentrionale, e
specialmente a Milano, cercai inutilmente di mettere in esecuzione il mio
piano. Dovetti purtroppo constatare che non basta avere la volontà, occorre
anche avere il mezzo adeguato per colpire. E vista l'inanità del mio sforzo,
ripigliai la via dell'estero onde aver agio di prepararmi meglio e procurarmi
il materiale che mi occorre per poter colpire bene e con sicuro effetto.
Oggi ritento la prova, certo di
riuscire, certo che la vendetta cadrà inesorabile e provvidenziale sul mostro
che, non contento del martirio inflitto a quaranta milioni di italiani, fra
poco, sempre per libidine di potere, d'accordo con la monarchia sabauda, razza
di traditori e di codardi, e con la complicità di tutti gli altri fascismi
d'Europa, scatenerà su tutto l'uman genere il flagello sterminatore di una
nuova guerra.
Il mio gesto non sarà delitto,
perché riparazione di crudeltà senza numero e prevenzione di stragi ancora
maggiori; non sarà assassinio perché volto contro una belva che d'umano non ha
che l'apparenza: sarà un servizio reso all'umanità ed è dovere d'ogni uomo
amante della libertà, d'ogni anarchico il compierlo.
Ma se io cadrò senza avere
raggiunto il risultato che da tanti anni spero di raggiungere, sono sicuro che
altri prenderà il mio posto. Ai tiranni non si perdona, non si deve dar tregua
mai. Facciamo nostro il motto del tiranno stesso: «rendere la vita impossibile
ai nemici». Nessuno più di lui è nemico del genere umano. Ebbene, noi dobbiamo
cercare con tutti i mezzi ed in tutti i luoghi, di rendere la vita impossibile
tanto al boia che ai suoi tirapiedi. Ce lo impongono le esigenze della lotta.
La tirannia muove alla libertà una guerra spietata, senza tregua. Noi non
abbiamo soltanto il diritto, ma anche il dovere di difendere nella libertà i
destini dell'umanità. Accettiamo la sfida e la vittoria sarà nostra.
E se nell'opera del vindice
esiste un merito, se alla sua memoria hanno da tributarsi glorificazioni; se io
riuscissi nel mio disegno, quel merito non sarà stato mio, ma dell'idea che mi
ha sempre animato, che mi assiste e mi incoraggia ad osare, che mi insegna quanto
si deve amare la libertà, quanto si deve odiare la tirannia. Senza questa idea
sarei anch'io una delle tante pecore del gregge che dà tutta la lana che può dare;
senza di essa sarei uno qualunque della folla che vive alla giornata
sopportando rassegnato tutte le peggiori oppressioni. Ad essa idea quindi i
meriti e le glorificazioni.
L'ideale anarchico che educa
l'individuo alle sublimi bellezze dell'amore sconfinato, della solidarietà
sociale, della giustizia e della libertà integrali, è anche animatore dello
spirito di vendetta contro il male e di distruzione per tutto ciò che è
obbrobrio e vergogna. E il fascismo col suo capo sanguinario, con la sua
monarchia fedifraga, è la vergogna e l'obbrobrio insieme del nostro tempo.
Questo nobile ideale anarchico
ch'è tanta parte di me, ha dato molti martiri per la libertà, un grande numero
di eroici giustizieri. Io non dubito che anche questa volta saprà far giustizia
del macabro despota di Roma.
Se riuscirò nei miei intenti,
veglino gli anarchici tutti perché alla demagogia politica sempre pronta a trar
profitto del sacrificio altrui, non sia lecito travisare i meriti che avrà il
gesto che sto per compiere, gesto che non può essere che anarchico. Veglino
perché non si tenti di toglierne di fronte agli uomini e di fronte alla storia,
l'onore e la gloria all'alto ideale che lo ispira e che, in quest'ultima tappa
del mio cammino, è il solo viatico della mia coscienza: l'Anarchia.
Dicembre 1930.
Postilla
Il testo fu pubblicato per la
prima volta in Almanacco libertario pro
vittime politiche, 1933. Io l’ho ripreso da Simona Colarizi, L’Italia antifascista dal 1922 al 1940,
volume II, Laterza, 1976
Buongiorno, e grazie per la ripubblicazione di questo bel testo.
RispondiEliminaPoche righe solo, avendone fatto la traduzione e presentazione nella rivista francese 'Les Temps modernes' nel 1999, per dire che non fu pubblicato per la prima volta nel '33 nell'Almanacco libertario pro vittime politiche, lo fu il 6/6/1931 in America nel settimanale l'Adunata dei Refrattari.
1933 fu l'anno della sua prima pubblicazione in inglese, nel bel mensile 'Man' di San Francisco.
Cordialmente