27.9.13

Sarita Colonia, una santa popolare

Ho trovato l’articolo che segue, assai curioso e intrigante, in un vecchio numero della rivista on line del Centro Studi e iniziative culturali Pio La Torre, “A sud’europa”. E’ firmato G.S., che dovrebbe corrispondere a Gilda Sciortino. (S.L.L.)

Promette apparizioni improvvise, ma non si sa dove e quando. Magari laddove esiste un’ingiustizia o un torto da riparare. E si perché, nonostante non sia riconosciuta dalla Chiesa, che la ritiene una comune ragazza peruviana, morta a 25 anni nel 1940, Sarita Colonia santa lo è sicuramente per il suo popolo, visto che in vita si occupava dei poveri, degli ultimi, dei ladri che rubavano per fame, delle prostitute, degli omosessuali, degli immigrati clandestini. Di tutti loro si prendeva cura intercedendo per una grazia, facendo tornare l’amante perduto, ma anche molto concretamente, curando con le erbe, facendo in modo che il marito uscisse dal carcere o che si potessero trovare i soldi per pagare l’affitto.
E come può interessare oggi noi una giovane come lei, della quale saranno molto pochi coloro che hanno notizia della sua esistenza? “Siamo sostanzialmente un gruppo di amiche riunitesi a discutere
sui temi della manifestazione del 13 febbraio per la difesa della dignità femminile - racconta Barbara Amodeo, una delle componenti del neonato gruppo “Le camicie rosse di Sarita”, che su Facebook ha già molti simpatizzanti – e per caso ci siamo ritrovate attorno alla storia di questa santa, molto particolare perché di fatto é esistita solo come personaggio, ma non riconosciuta dalla chiesa cattolica. E’santa per i peruviani, oggetto di devozione popolare. Addirittura il popolo racconta che abbia il potere di rendere invisibili i clandestini, per far loro attraversare senza rischi le frontiere”.
Un gruppo, dunque, estemporaneo legato alla manifestazione, ma che continua a lavorare, anche perché i rapporti tra le persone che ne fanno parte sono di lunga data e non legati ad alcuna occasione particolare. “Ci siamo ritrovate per confrontarci sull’opportunità di una manifestazione in difesa della dignità delle donne. Abbiamo letto e discusso, voracemente e appassionatamente, ogni riga scritta sulle ragioni pro o contro, in un dibattito segnato dalle differenze di età, così come dall’esperienza politica e femminista di ognuna di noi. E una sera - prosegue l’affascinante narrazione - Anna ci ha raccontato la storia del primo miracolo di questa “santa”: “Una volta, Sarita bambina assistette in piazza a una scena, nella quale il commissario del paese mostrava il cadavere del bandolero Luis Pardo, che aveva ucciso colpendolo alle spalle, nonostante fosse suo compare. Per celebrare l’assassinio, il commissario sparava verso il cielo, urlando “evviva” e distribuendo liquore di canna fra i presenti. Sarita gli si avvicinò e gli disse: “Lei già non è più lei. Non esiste nessuno dietro ai suoi occhi. Il risultato è che io non la vedo più, signor commissario”. L’uomo non le fece caso, ma alzando il bicchiere per brindare si toccò il petto e non sentì alcun battito. Si consolò pensando che così doveva essere il cuore dei “machos”. Sette giorni più tardi il “muy macho” morì in quella stessa piazza; l’autopsia che gli fecero per legge comprovò che aveva il cuore putrefatto, come se fosse morto giorni prima”. Ebbene, come la bimba che esclama “il re è nudo”, Sarita bambina e il suo primo miracolo a noi dice che lo spettacolo circense e indecoroso del tramonto del berlusconismo porta con sé l’epifania della fine del patriarcato. Questa rappresentazione arcaica, nella quale siamo tutte e tutti implicati, in cui questo animale morente è spaccone, rumoroso e pericoloso nella sua tentazione onnipotente, ci dice che il suo baccano è proporzionale al grado di putrefazione: il suo cuore non batte già più. Quanto potere c’è, invece, e quanta dignità, nello sguardo di una bambina che non si lascia abbagliare dagli spari e dal liquore di canna?”.
Ecco, dunque, alla base di cosa sta la storia della giovane Sarita Colonia, emblema della dignità “che rivela l’indegnità altrui, in primo luogo di un potere corrotto e corruttore”.
“La nostra dignità - conclude la Amodeo - sta nella capacità di svelare la miseria dietro questa visione del mondo, delle relazioni tra i sessi, dei rapporti di potere che investono i corpi: un vuoto di senso e di elaborazione di cui si faranno carico gli uomini, se vorranno, per ridiscutere la loro dignità, ma la nostra non è a disposizione”.


“A sud’europa”, Anno V n.10, 21 marzo 2011

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