10.10.13

Brantôme. Un abate censurato (Alberto Savinio)

Alberto Savinio
Questo testo, ripreso dalla pagina culturale di “Repubblica” è una scheda, una “voce” da dizionario, realizzata di Alberto Savinio, magnifica per essenzialità di scrittura, ricchezza informativa, capacità di suggestione. Savinio è noto soprattutto come fratello di Giorgio De Chirico, ma è ampiamente meritevole - come pittore e come scrittore - di autonoma fama. 
Le dame galanti, il libro di cui qui soprattutto ragiona, nella Francia ancora percorsa da qualche fremito di puritanesimo ugonotto, è riuscito a passare dalla categoria del “libri proibiti” a quella dei “classici”. Nell’Italia cattolica, ritenuta dal cattolico Savinio se non più tollerante almeno più accomodante, ciò non è accaduto e non esistono traduzioni nelle grandi collezioni di classici. 
Un piccolo assaggio, opera mia, lo si trova in questo blog. (S.L.L.)

Pietro di Bourdeille, abate e signore di Brantôme, nacque a Bourdeilles (Dordogna) nel 1527. Giovanissimo, fu investito dell'abbazia di Brantôme che, a quel tempo, costituiva uno dei più ricchi proventi della provincia perigordina. Durante la sua infanzia che si svolse libera e campestre, fu indirizzato più che altro in quelle facoltà che, più tardi, avrebbero fatto di lui uno dei soliti e tipici ecclesiastici dell'epoca.
Ma il destino non alla Chiesa lo assegnava, sì alla Corte, alle camere e anticamere dei re.
Prima però di vestire la livrea del palazzo, il giovane Brantôme, che era avventuroso, partì in lunghi viaggi e in lontane visitazioni di paesi: girò tutta la Francia; nel 1559 scese in Italia; salì in Inghilterra e in Scozia, nel 1561, al seguito di Maria Stuarda; passò, nel 1564, in Ispagna e nel Portogallo e ivi partecipò alle guerre di questo paese contro gli africani, e si spinse fin nel Marocco. Tornato in Francia e insignito dell'«habito de Christo» che il re Sebastiano gli aveva dato in ricompensa delle prodezze compiute contro i Turchi e i Mori, fu ammesso a Corte da Carlo IX nella qualità di gentiluomo di camera. Ma, morto Carlo e succedutogli Enrico III, questi incominciò a vedere di malocchio l'amicizia del cortigiano per il duca d'Alençon (Le dame galanti sono dedicate: a Monsignor il duca di Alençon e di Brabante, Conte di Fiandra, figlio e fratello dei nostri re). La prudenza, l'angustia e, pare, anche le conseguenze di una infelice caduta da cavallo, determinarono Brantôme a lasciare il Louvre. Egli si ritirò dunque nelle proprie terre ove, a modo di passatempo, cominciò a scrivere vari libri di memorie. Rimangono di lui: Vite degli uomini illustri e dei grandi capitani francesi; Vite dei grandi capitani stranieri, Vite delle dame illustri; Vite delle dame galanti; Aneddoti intorno al duello; Spacconate e bestemmie degli Spagnuoli. Queste opere non furono stampate se non parecchi anni dopo la morte del loro autore, la quale accadde il 16 luglio 1614.
Tra i vari scritti di Pietro di Brantôme, Le dame galanti costituiscono la sua opera più significativa. Per il carattere, essa opera, vastissima e ciclica, di grande interesse per la storia del secolo XVI, si può qualificare un «trattato naturalistico dell'amore». E il libro ebbe influenza grandissima su tutta la letteratura posteriore.
E' deplorevole però che opere poderose, come Le dame galanti, siano state relegate in certo confinamento cauteloso che puzza di clandestino e di turpe. Il pregiudizio puritano — e quale spirito di vendetta doveva animare gli Ugonotti contro Pietro di Brantôme, da costui combattuti con le armi (nel 1568 a Mensignac, l'anno seguente a Jarnac) e beffeggiati con la penna! — volle porre il marchio infamante sull'opera del guascone.
Noi pensammo dunque che il miglior mezzo per rompere la nefasta fama che toglie dalla libera circolazione queste opere belle e meritevoli di essere lette da tutti, è il divulgarle, non più sotto il velo del libro clandestino ma nella veste chiara e nobile del libro classico.


“la Repubblica”, 21 novembre 1982

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