24.10.13

Graziani, quanto ci mancavi! (Angelo D’Orsi)

Un intervento dell’anno scorso, significativa indignazione di uno storico per un teoria di mistificazioni “rovesciste” che non si arresta. (S.L.L.)
Graziani (a destra) con il capo delle SS Himmler e Bocchini 
Diciamo la verità: Graziani ci mancava.
Ci ha pensato la Regione Lazio, sotto l’illuminata guida della signora Polverini, a far rientrare nel pantheon dei grandi della patria questo arnese del peggior fascismo. O meglio, ci ha pensato il signor Nessuno che guida uno sconosciuto borgo non lontano dalla capitale, che, con il sostegno politico e finanziario della Regione, ha concluso l’interrotto lavoro per la realizzazione di un “sacrario” dedicato a colui che fu insignito dal re Vittorio Emanuele III (“sciaboletta”), su proposta del duce, del titolo di “maresciallo d’Italia”: Rodolfo Graziani, appunto.
Non v’è che dire. Il revisionismo, nella sua veste più triviale ed estrema, quella che mi onoro di aver battezzato “rovescismo”, procede nella sua marcia trionfale, e segna punti specialmente nell’area fascismo / antifascismo, incorporando il primo nella storia nazionale, evidenziandone i “meriti” e obliterandone i crimini, ed espellendo, sminuendo il ruolo del secondo.
Dopo le picconature di Renzo De Felice, che godè di notevoli sponde politiche (a partire da Bettino Craxi e Gianfranco Fini), si aprì la voragine. Passando dalle mani degli storici a quelle di dilettanti allo sbaraglio, si perse qualsiasi cautela di metodo e di giudizio: si giunse con una serie di passi via via più accelerati, al vero e proprio ribaltamento della verità, come se la storia fosse un campo in cui a seconda dei giocatori si potesse decidere come sono andati i fatti, e distribuire la palma dei carnefici e delle vittime in base al governo in carica; e, forse ancora peggio, al “sentire comune”, creato in realtà dai talk show, che hanno trasformato la Storia da scienza a opinionismo.
Un Bruno Vespa, per esempio, ha delle belle responsabilità in questo tipo di lavoro volto a demolire la stessa scientificità della storiografia. E a far passare nella pubblica opinione l’idea della necessità di “riscrivere” la storia, magari dalla parte dei “vinti” (Pansa docet), come se appunto la storia fosse una partita di calcio, e dopo la sconfitta di una squadra occorresse darle la rivincita. E la storia fosse un campo neutro, in cui ciascuno tira la sua palla, quasi che la verità dei fatti non esistesse, e che tutto dipendesse dalle “opinioni”. Sicché abbiamo scoperto che il fascismo non era affatto male, tanto che godè di un consenso spontaneo di massa; che Mussolini era un grand’uomo, che commise il solo errore di fidarsi di chi non doveva; che i partigiani erano canaglie assetate di sangue; che la loro azione non solo non servì a nulla ma fu deleteria e causò vittime innocenti …
Il risultato ultimo, per ora, è la riabilitazione di un tristo figuro come il generale Graziani, il quale per sopperire alle proprie modestissime capacità tattico-strategiche, usava delatori (fu così che il capo della resistenza libica Omar al-Muktar venne catturato e poi impiccato davanti a 20.000 libici attoniti, nel ’31) e pratiche di sterminio di massa, come, oltre che nella “riconquista” della Libia, nella campagna di Etiopia, quando nel ’37, dopo un fallito attentato, egli si diede a una vendetta terribile, con eliminazioni di massa e con l’uccisione di tutti i cristiani copti di Debré Libanos, compresi i giovanissimi conversi che si formavano nel monastero, uno degli atti più atroci della storia del ‘900.
Graziani proseguì la sua carriera di incompetente genocidario nella Guerra mondiale, tanto da essere esonerato dal servizio, per poi venire ricuperato come inane ministro della Difesa della Repubblica di Salò, incaricato di ricostruirne l’esercito, compito ben al di sopra delle sue possibilità e capacità. Nel disfacimento del regime, Graziani cercò la via di salvezza individuale, ma arrestato dagli inglesi, a dispetto dell’essere stato dichiarato colpevole di crimini contro l’umanità, se la cavò, tra indulti e amnistie, con due anni di galera, concludendo la sua poco brillante carriera come presidente del neonato Msi, non senza andarsene sbattendo la porta. A questo personaggio, che appare in tutta la sua pochezza, grande solo nella criminalità, si dedica oggi un mausoleo. Certo non saremo noi a deporre fiori in memoriam.


Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2012

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