31.10.13

L'Ordine sacro (Leonardo Sciascia)

Su “L'Espresso” del 21 settembre 1980 Leonardo Sciascia commentava la (allora) recente uccisione, all’interno del Convento di Santa Maria di Gesù, a Palermo, di un frate, padre Giacinto, al secolo Stefano Castronovo, le cui attitudini e abitudini – tra cui quelle di girare armato di tutto punto e di organizzare in convento festini non casti - lasciavano pochi dubbi sulle sue relazioni con il mondo della mafia militante. (S.L.L.)


Negli anni della mia infanzia, ad ogni estate passava per le campagne un monaco raccoglitore: a cavallo di una mula, sudicio, barbuto e tenebroso. Era un'apparizione consuetudinaria ed attesa, e tuttavia dava una suggestione e soggezione che somigliavano alla paura. Attesa perché portava la cosiddetta "santa figliolanza": un foglio silografato con preghiere che si credeva servissero a scongiurare i lampi, che nei primi temporali dell'autunno facevano sempre qualche vittima. Per quel foglio, al monaco non bastavano quei pochi soldi che ne erano il prezzo: voleva sempre altro, frumento, olio, mandorle, pistacchi. A noi bambini si raccomandava sempre di non avvicinarlo: e ci raccontavano terribili storie di monaci con carabine sotto la tonaca e capaci di ogni scelleratezza.
Questa immagine, inscritta tra i terrori infantili, ha avuto poi tante conferme: il monaco di Santo Stefano Quisquina che aveva sparato sul vescovo di Agrigento, i monaci di Mazzarino...
Ricordo di essere andato con Enrico Emanuelli a Mazzarino, per i fatti in cui i monaci di quel convento erano implicati. Sentimmo tanti ridevoli e atroci aneddoti, ma atrocissimo ci sembrò quello - e mi pare Emanuelli l'abbia trascritto nel suo articolo - del monaco che, entrato nella farmacia il cui proprietario non voleva cedere al ricatto, si avvicinò a carezzare il bambino, su cui era stato mosso il ricatto, dicendo: "Quanto è bello, sembra vivo." Come a dire, visto che il padre non pagava, che si poteva considerarlo morto.
Ben lontani insomma e da fra Galdino e da padre Cristoforo. E a parte i casi eclatanti, credo che una tradizione di perversità, di delinquenza, di oscuri e sicuri ricetti e ricettazioni percorra la storia di certi conventi siciliani. E siamo a padre Giacinto. Ben conosciuto per i suoi libertinaggi e per i suoi intrallazzi, mai che un padre provinciale si sia scomodato a scomodarlo: magari a fargli fare un comodo viaggio fino a Rimini (dove, se ricordate, a piedi fu mandato padre Cristoforo da Pescarenico). In quanto agli altri poteri, credo se lo tenessero caro e se ne servissero: e ho l'impressione che la sua esecuzione sia stata decretata in quanto sospetto di delazione. Tra le tante attività, di cui parlano i giornali, una ne aveva padre Giacinto che è tipica del "confidente", e cioè l'usura. (In questo momento, a Palermo, credo che la mafia stia facendo pulizia di tutti i sospettati di "confidenza".) Che padre Giacinto lo fosse, non si può affermarlo: ma l'ipotesi è tra le più ragionevoli.
E viene da immaginare tutta una storia alla Graham Greene in versione siciliana: questo prete a un certo punto braccato e dal poliziotto e dal mafioso; il poliziotto per strappargli confidenze, il sicario mafioso per definitivamente impedirgliele. E l'Ordine, il sacramento dell'Ordine, dentro questo uomo spavaldo, avido, libertino: una piccola luce vacillante. Avrà avuto, sotto i colpi che l'hanno ucciso, un più vivido guizzo?

Ora in A futura memoria, Tascabili Bompiani, V ed. 2012

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