9.10.13

Perugia dei poeti (S.L.L. - micropolis settembre 2013)

Perugia, La Fonte del Piscinello
L'idillio di Ciurnelli
e le resistenze di Cremonte
Una risposta è il titolo di una intensa e dilemmatica poesia che intorno al 1960 Franco Fortini dedicò a Valentino Bucchi, il musicista che dirigeva il Conservatorio nel capoluogo umbro. Ha un attacco memorabile: “Ora mi scrivi / che a Perugia l’aria / è così secca d’inverno e tutta vento…”. Il più tipico e temuto vento perugino, la tramontana, qualche anno dopo, fu collocato al centro di un libretto di memorie, in verità poeticissimo, da Walter Binni (La tramontana a Porta Sole). Ora Ombretta Ciurnelli, ne La città del vento (Edizioni Cofine, Roma 2013) mette Perugia nella sua complessità (centro urbano e borghi contadini) al centro dell’immaginazione poetica e il vento c’è quasi sempre.
Ciurnelli, insegnante, appassionata di studi antropologici, critica fine, antologista, da poetessa ha scelto come lingua il “perugino”, che si rifiuta di chiamare dialetto. Ha cominciato con una sorta di abbecedario giocoso (Baderellasse nele parole, Guerra, 2007), ha proseguito con un libro di racconti in versi, L’arcontastorie (Guerra, 2008), quasi sempre vicende di cronaca nera, in cui riesce a trascorrere dai modi grandguignoleschi della novella popolare naturalistica a certi passaggi incantati da “cantafavola”. Ora, con questa Città del vento, sembra voler mostrare fino in fondo ciò che può la lingua perugina: affronta la lirica, genere in cui il dialetto potrebbe – se non usato con misura – produrre effetti involontariamente comici; e sceglie l’idillio, seguendo le prescrizioni del nostro maggior poeta lirico, Leopardi. Costui spiegava che l’idillio antico era un quadretto, un sito, mentre l’idillio moderno, data la forza dell’io, non poteva essere che situ-azione, che rapporto tra io e sito attraverso la memoria e l’immaginazione, produttrici di vere avventure dello spirito. Gli esiti della sperimentazione di Ciurnelli a me sembrano di autentica bellezza e il perugino vi ha la stessa funzione che aveva la lingua trecentesca in Leopardi: produce una patina d’antico, un effetto di lontananza. Cito solo qualche titolo per non togliere il gusto della scoperta: Abonora, Notte, Argì, Qui magge.
Di Poeti a Perugia si occupa Walter Cremonte in un elegantissimo volumetto appena uscito per i tipi di Morlacchi. Vi sono raccolti cinque saggi su altrettanti poeti (Aldo Capitini, Sandro Penna, Ilde Arcelli, Paolo Ottaviani e Michelangelo Pascale) molto distanti tra loro, ma avvicinati da un contatto, più o me forte e duraturo, con la città. Nella Premessa il poeta Cremonte, attentissimo ad evitare scolastici ingabbiamenti, spiega l’occasionalità degli scritti (una scheda di recensione per “micropolis”, appunti per conferenze) e nega l’esistenza di una qualche linea, poetica o tendenza che accomuni gli autori di cui ragiona.
In verità Cremonte, con il tono gentile e dimesso che lo caratterizza, ci svela come questi poeti a Perugia, sono in qualche modo anche poeti contro Perugia. La “mite forza” e la “forte mitezza” di Aldo Capitini, la sua bontà e intelligenza, la sua intransigenza sono guardati con sospetto o ridicolizzati in una città le cui classi dirigenti, d’ogni provenienza, inclinano al cinismo e al compromesso di potere. Sandro Penna è “marginale” per scelta, ma anche la città sembra incline ad emarginarlo, perfino dopo la morte. La conflittualità con l’ambiente degli altri poeti è forse inglobata in un, più generale, leopardiano conflitto con l’esistere oppure allusa nella rappresentazione di altri conflitti: in tutti la poesia è reazione al male. In Ottaviani la felice, sperimentale eleganza delle “trecce” è, anche, risposta alla storica oppressione dei minatori dell’Amiata. Nel Pascale, poeta giocoso quant’altri mai, emerge finalmente “…il nulla / di cui è intrisa / la vita stanca”. Nell’Arcelli, poetessa e organizzatrice di cultura radicatissima a Perugia (e che, tra l’altro, sperimentò anche lei, con buoni risultati, il perugino come lingua poetica), si riconosce un fondo irriconciliato e irriconciliabile di materialistico pessimismo, che si esprime nella parola “mattatoio”.
Nel libretto di Ombretta Ciurnelli ho trovato una citazione di Binni: “Sotto l’impulso veemente e severo della tramontana… una forza morale e fantastica occupa l’animo imperiosamente e lo sommuove ad impegni e sogni profondi senza abbandoni e senza mollezze…”.
Il libretto di Cremonte, con la forza della poesia, mi ha convinto che quell’impulso funziona solo negli animi più grandi, e l’effetto che induce non è il trascinamento nella corrente, ma l’opposizione ad essa.

“La poesia che resiste e si oppone” – scrisse una volta Walter Cremonte. Vale nello specifico per il regno della “tramontana”, per questa nostra Perugia “tutta vento”: la buona poesia, nella città e nel contado, si oppone al cinismo del potere, al conformismo celebrativo delle consorterie d’ogni tipo; ovunque si oppone al male, con le armi sue tipiche, senza alcuna garanzia di successo. 

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