4.11.13

Classici. Il “Candide” di Voltaire (Viola Papetti)

Voltaire
Nel 1759 il Candide di Voltaire affacciò il suo volto bianco sulla scena letteraria francese, e fu subito smascherato. Dietro quel volto, in cui chiunque poteva identificarsi, si era combattuta una dura battaglia contro l’ottimismo, la fiducia nella bontà dell’uomo, della Provvidenza divina e della chiesa cattolica.
Chi si riconobbe in quel Candide, desolato infine ma mai vinto, accettò l’educato pessimismo di questo conte philosophique, un gelido soffio che veniva dal futuro. Ma ci fu chi lo proibì proprio per la sobrietà di quella rivolta, ostinata e cavillosa, ma senza violenze, accuse, grida. Su due fatti storici inconfutabili si sosteneva la tesi manicheista di Voltaire: il terremoto di Lisbona che aveva causato migliaia di vittime e l’operato iniquo dell’Inquisizione.
Candide, l’amata Cunegonda, l’euforico Pangloss e lo scettico Martin, il loro disgraziato seguito, come ectoplasmi non personaggi, trascorrono tra avventure e disavventure dal Vecchio al Nuovo Mondo, fanno una puntata nel felice Eldorado dove non riescono a vivere, muoiono ma risorgono per arrivare a quel finale emblematico, a quel giardino che, ormai rassegnati, dovranno coltivare col duro lavoro delle braccia.
Ma quel giardino non sarà copia di quello edenico, in cui si incontrano malintenzionati serpenti, e mele avvelenate? Voltaire tace.


Da Candide nel Nuovo Mondo, in “alias domenica – il manifesto”, 15.1.2012

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