8.11.13

I segreti degli archivi del Vaticano (Marco Malvaldi)

Quel che segue è il resoconto della visita agli archivi segreti del Vaticano del giallista Marco Malvaldi  e, in particolare, della scoperta di una sorprendente lettera di Giuseppe Garibaldi. (S.L.L.)


Devo essere sincero: l’idea di entrare in un qualcosa che si chiama Archivio Segreto Vaticano mi emoziona non poco. Nella mia mente, mentre il pullman necessario per coprire i 750 metri che separano l’albergo dall’entrata dello Stato pontificio porta me e altri pochi fortunati verso i misteriosi scaffali, si affastellano immagini di ogni sorta.
La realtà, come spesso accade, non è stata adeguata alla mia fantasia.
E l’emozione ha lasciato il passo a una educata curiosità, una volta resomi conto che quello in cui mi trovo ha molto poco a che fare con il labirinto de Il nome della rosa, e molto di più con la biblioteca del Dipartimento di Fisica nella quale ho passato molti frustranti pomeriggi. A provvedere all’anestesia è responsabile, in gran parte, il cortese e competentissimo archivista, che ci spiega in ottimo inglese che cosa realmente sia e cosa contenga il luogo in cui ci troviamo.
L’Archivio Segreto Vaticano, fondato nel 1612 ed assegnato alle cure del primo archivista Baldassarre Ansidei, venne istituito per custodire i documenti del precedente archivio vaticano (aveva sede a Castel Sant’Angelo sin dal 1500), che non potevano venire conservati in modo efficace a causa delle muffe e dei microrganismi che prosperavano nell’edificio. E, siccome i nomi sono importanti, partiamo dalla parola «segreto»: il nome dell’istituzione viene infatti dal latino secretum, ovvero «appartato, privato», per cui la traduzione «segreto» è, come viene spiegato, piuttosto maccheronica.
L’archivio, in effetti, è dedicato agli affari privati del pontefice: la corrispondenza ricevuta, costituita per lo più da suppliche e da richieste di benefici e prebende. In realtà, ci sono anche i documenti amministrativi, le sentenze della Sacra Rota e varie altre eccezioni, che vanno a costituire un corpo piuttosto voluminoso: gli scaffali dell’archivio si srotolano per oltre 85 chilometri nei sotterranei del Vaticano e, secondo un conto della serva piuttosto approssimativo, questo significa che vi sono conservate svariate decine di milioni di documenti, di importanza variabile. La natura di un archivio è quella di contenere di tutto, e qui di tutto si può trovare; dalla vastità autostradale dell’archivio i miei occhi hanno potuto cogliere solo alcuni particolari, dal curioso al misterioso passando per l’assolutamente inutile. Si passa infatti alle liste di pagamento del cardinale Borghese agli artisti sotto la sua tutela alle rendite delle tenute pontificie, dal Liber Diurnus (ottavo secolo; una specie di vademecum su come scrivere lettere ufficiali al Papa o all'imperatore) alle richieste speciali giunte a Sua Santità da parte di vari potenti della Terra.
La storia dell’archivio si incrocia piuttosto spesso con quella della dominazione francese (a volte in termini piuttosto curiosi, come vedremo alla fine); come quando i contenuti dell'archivio precedente (Archivium Archis) vennero spostati dalla vecchia sede di Castel Sant'Angelo, per non farli cadere in mano ai francesi, nei sotterranei dei Musei vaticani nel giro di una sola notte. Alla fine, i francesi riuscirono ad impadronirsi degli archivi, e Napoleone dette ordine di trasferirne l’intero contenuto a Parigi, dove vennero effettivamente spostati. La gita parigina dei documenti, però, durerà poco; nel 1814, in seguito alla prima deportazione dell’Empereur, i faldoni tornarono nella loro sede. Non tutti i faldoni, ad essere sinceri: alcuni documenti, infatti, andarono persi (circa un quarto dell’intero contenuto, secondo alcune stime) mentre altri vennero trattenuti dai francesi a causa della loro importanza storica, come gli atti del processo a Galileo Galilei, che verranno restituiti solo trent’anni dopo.
A prima vista, dicevamo, il termine «segreto» sembrerebbe fuori luogo. Se però una persona particolarmente curiosa chiedesse a quali documenti si può avere accesso avrebbe forse qualche sorpresa, e riconsidererebbe la traduzione maccheronica con maggiore stima nello scoprire che non esattamente tutto è consultabile. Ogni pontefice, infatti, stabilisce la data oltre la quale non si possono consultare i documenti dell’archivio: al momento, per esempio, per volontà di Benedetto XVI si può accedere solo ai documenti anteriori al 1939. Siamo già un bel passo avanti, visto che la precedente disposizione di Giovanni Paolo II era di non consentire di andare oltre il 1922. Sempre a Giovanni Paolo II si deve la cosiddetta Cura Vigilantissima, ovvero una serie di disposizioni atte ad impedire la consultazione o la divulgazione di documenti di nessun interesse pubblico, come i documenti riguardanti la vita privata del pontefice o quelli riguardanti i processi canonici. (Su questo punto, l’archivista vaticano si è tenuto piuttosto sul vago). Però, anche non contando questi documenti, l’archivio può offrire delle autentiche perle, come l’ultimo documento che ci è stato mostrato, e che ancora una volta mostra come la storia si ripeta, e come l’influenza della Francia abbia guidato le azioni e le parole della nostra sinistra sin dall’800, anche se in modi diversi.
Il documento è una lettera autografa di Giuseppe Garibaldi, indirizzata al nunzio apostolico di Montevideo e datata 12 ottobre 1847; data in cui il Pontefice in carica, Pio IX, è visto come una speranza per l’Italia. Un liberale, che ha concesso l’amnistia per i reati politici ad appena un mese dall’inizio del pontificato, ed ha dato inizio alle grandi riforme liberali vaticane. Guidato da questa speranza, Garibaldi gli scrive, offrendogli il proprio braccio armato e quello dei suoi compagni a difesa della Patria e del sacro suolo di Roma dall’invasore d’Oltralpe.
In seguito, come sappiamo, gli scenari cambieranno, Pio IX rivedrà le sue posizioni liberali e Garibaldi lo bollerà come «quel metro cubo di letame al di là del Tevere». Sono passati ventidue anni: una vita, secondo i canoni della politica, un’inezia secondo i canoni del Vaticano.

“La Stampa” 1/03/2012


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