7.12.13

Charlie Brown tra boogie-woogie e brillantina (Chris Cimino)

Nel trentennale dei Peanuts, “la Repubblica” in un suo speciale pubblicò – tra gli altri – l’articolo qui postato che delle celebri strisce racconta le origini e spiega il duraturo successo. (S.L.L.)

Charles Schulz, nonostante quello che dice, è uno dei più formidabili osservatori della realtà quotidiana, specialmente di quella nascosta. Quando, 32 anni fa, appena venticinquenne, si presentò a un giornale con una serie di vignette di Charlie Brown, gli dissero: «Questo ragazzo vede tutto nero, come può piacere ai bambini?».
Ma Schulz sapeva bene che Charlie Brown esisteva: immusonito, ingenuo, buono come la pasta, sempre all'inseguimento di trionfi sognati che non si traducevano mai in realtà. Sapeva anzi che parlava proprio così e che piaceva ai suoi coetanei. «Sono un uomo finito», diceva Charlie Brown. «la vita è più forte di me». E se qualcuno, spinto a compassione, gli domandava: «Ma insomma, si può sapere cosa ti piacerebbe fare?», lui. pronto, rispondeva: «Vincerne due su tre».
Che fosse l'immediato dopoguerra, esattamente il 1948, può non voler dire nulla, però anche l'America come Charlie Brown era frustrata, chiusa nella trappola della guerra fredda, che non riusciva a vincere. Coincidenza? Forse. Ma come si spiega, allora, che Schulz sfondò due anni dopo quando, accanto a Charlie Brown, mise l'allegra brigata degli altri Peanuts, proprio nel momento in cui sui campus universitari — accanto a gonne scozzesi, calzini bianchi arrotolati e pullover aderenti nelle ragazze, e tanta brillantina nei capelli a coda di rondine dei ragazzi — comparve l'esuberanza sfrenata del boogie-woogie?
Intendiamoci: non che i Peanuts riflettessero tutte quelle cose. Tutt'altro. Ma, con la loro assennatezza quasi patriarcale, l'ironia delle loro voci stridule, e il buon senso che trasudava odore di casa anche nei loro sospiri, non costituivano forse il rovescio di una medaglia dove la nuova generazione sembrava avviata all'impazzimento?
Laddove languiva il sassofono di Gerry Mulligan, i Peanuts opponevano il pianoforte di Schoroeder. Le ragazze scoprivano le beatitudini della rinuncia alla verginità leggendo J. D. Salinger e Dylan Thomas? Lucy rimproverava l'ingenuità di Charlie Brown con un piglio da zia. E di sesso, nemmeno a parlarne. I Peanuts erano arroccati in una provincia (americana) che non voleva essere travolta.
Per Schulz, a quell'epoca, il successo arrivò da un giorno all'altro. Improvvisamente, da ogni parte del paese si chiedevano le sue strips. Charlie Brown era diventato un eroe. Che piacesse anche ai giovani che stavano per passare dalle cantine affumicate dei beatniks alle luci psichedeliche del rock'n'roll.
Quel bambino con la testa rotonda lo notarono pochi. Il più grande umorista del “New York Times”, Russell Baker, ve¬niva capito solo dagli adulti quando af¬fermava: «La saggezza di tutti i tempi è racchiusa nelle parole di Mose e di Char¬lie Brown».
C'era, si capisce, un bell'involucro di snobismo, nell'ostentare la passione quotidiana per i Peanuts. Ma, come lo stesso Schulz ha detto più volte, c'era anche un mondo in cui la realtà veniva superata dal fantastico. In qualche modo l'America presentiva la bufera, e si premuniva rifugiandosi nella tradizione.
Nel decennio che segue, e poi più avanti negli anni sessanta, con la guerra e i campus incendiati, ai Peanuts accade un fatto passato quasi inosservato: Charlie Brown esce di scena o quasi Imperversano gli altri, per mesi interi. Schulz gli preferisce Lucy. Ma se Lucy riflette una rabbia collettiva, e Charlie Brown farà bene a tenersi da parte, per non soffiare sul fuoco del pessimismo generale, il vero protagonista rimane lui. sempre, anche quando non c'è: o perché di lui si parla, o perchè si intuisce come lui risolverebbe, da vero Candide voltairiano, qualsiasi tenzone.
Non è virtù da poco, questo aver resistito all'usura del tempo ed essere passato illeso attraverso le tempeste che hanno sconvolto la società americana negli ultimi trent'anni. Ma Charlie Brown ci è riuscito... Dopo il «decennio di fuoco», affiancato dai soliti amici, comparve in un film. Cinque anni prima i Peanuts avevano fatto il loro ingresso alla televisione.
E non a caso. Fu intorno la 1965. infatti che la telecamera si soffermò con più insistenza sulle esplosioni della realtà rivoluzionaria: il contraltare della violenza era il mondo asciutto e immutabile dei Peanuts. Un rifugio nel caos.
Poi raggiunsero lo schermo grande, e nel 75 entrarono nella United Features, l'organizzazione che li vende in tutto il mondo. Schulz intende trasferire le loro vicende, almeno per un po’, sui campi da tennis di Wimbledon (che Charlie Brown ce la faccia, questa volta, a «vincerne due su tre»?); poi al Grand Prix automobilistico di Montecarlo, poi in lunghi viaggi intorno al globo. Vivranno in eterno, ma come, se non ponendosi sempre mezzo metro al di sotto della realtà spicciola? Schultz mente, definendoli «fantastici». E. naturalmente, sa di mentire, altrimenti, come potrebbe essere il padre di Charlie Brown?

“la Repubblica”, 1° novembre 1980

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