29.12.13

“La Liala del nostro tempo”. Il Gruppo 63 contro Cassola (Alfredo Giuliani)

Carlo Cassola
Qualcuno di noi a quel tempo chiamò Carlo Cassola una Liala del 1963. Fu una battuta provocata da qualche osservazione di un giornalista. E ricordo abbastanza bene le circostanze nelle quali fu fatta cadere, se non sbaglio da Edoardo Sanguineti. Eravamo nella platea di un teatro a Palermo, durante le prove di uno spettacolo che sarebbe andato in scena nel corso della Settimana musicale. Proprio la Settimana in cui fece clamorosa apparizione il Gruppo 63. Eravamo lì per questo, e tutte le provocazioni erano buone.
Non ricordo esattamente, invece, se qualcuno tirò fuori il nome di Bassani e se la battuta fu quindi corretta in Cassola e Bassani sono le Liale del 1963. Fatto sta che andarono in giro, da allora in poi, entrambe le versioni. Bassani si adirò, e non aveva tutti i torti. Quanto a Cassola, non ho mai saputo niente di sue reazioni in pubblico. Quello che posso dire è che la poetica di Cassola non interessava minimanente gli scrittori del Gruppo 63. Ciò che infastidiva era, a quel tempo, la critica belante, la quale voleva far passare Cassola a viva forza per grande scrittore e maestro di non so che stile (forse lo stile asciutto e dimesso, parola che ricorre anche nelle enciclopedie, puntualmente, alla voce Cassola Carlo). Di fronte alla critica belante, forzando anche noi i toni, non era male opporre che Cassola era un autore di Romanzi Rosa.
Quella crudele battuta è stata tante volte riesumata, spesso per pura malignità, che si è quasi perduto il senso della verità che conteneva. Ne feci una desolata verifica nel 1976, quando uscì L'antagonista e ne parlai in queste pagine. Cassola avrebbe voluto disinfestare il romanzo, purgarlo di tutto ciò che è bassamente romanzesco: l'intreccio, le idee, le connotazioni sociologiche e storiche, le impurità del linguaggio, le situazioni definibili. Avrebbe voluto scrivere un romanzo puramente poetico. Ma il puramente poetico, se mai è esistito, oggi non lo puoi cercare più. Vagheggiarlo dimessamente colora la scrittura di rosa spento. Vorrei provare a rileggere Il taglio del bosco. Dopo tanti anni, quei racconti saranno svaniti o avranno ancora uno sfuggente bouquet?


la Repubblica, 30 gennaio 1987

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