8.1.14

Casa. Tra bisogno e valore, tra materiale e simbolico (di Ida Magli)

Un articoletto ch’è (o, almeno, mi pare) un capolavoro di sintesi e di efficacia esemplificativa ed argomentativa. Sul ritaglio non c’è la data, ma una vignetta di Giuliano, nel retro della pagina è datata 81. (S.L.L.)
Ogni anno, all'arrivo dell'estate, vengono fuori puntualmente i fautori del nudismo, i quali ci invitano a riscoprire il mirabile significato di un corpo liberato dalla intollerabile, «innaturale» coercizione dei vestiti: Poi l’estate passa, il termometro scende e i maglioni tornano ad essere «naturali». E sono «naturali»: se l'uomo non avesse inventato un sistema per difendersi dal freddo, la nostra specie sarebbe estinta da tempo.
A volte mi vien fatto di paragonare l'astrattezza dei «filonudisti» a quella della classe politica, che troppo spesso è occupata a discettare sulle teorie «dei bisogni», e si dimentica di affrontare i bisogni in sé. Esempio clamoroso quello della cosiddetta «politica per la casa»; una politica che dalla fine della guerra ad oggi ha registrato una sequela di grossolani errori, col risultato che tutti conosciamo. Ciò dipende dal fatto che nessuno, mi pare, si è mai posto l'interrogativo fondamentale: che cosa è la casa?
Una domanda assurda, direte, tanto ovvia appare la risposta. Eppure io credo che sia necessario ripartire proprio da questa risposta, se vogliamo misurare fino in fondo (e quindi porvi rimedio) l'incapacità culturale di chi avrebbe dovuto occuparsi del problema. La casa è molte cose insieme: è un riparo per il freddo o per l'eccessivo caldo, è un luogo di sicurezza personale, è un «territorio» potente perché partecipa della stessa potenza di chi in essa dimora, «contagiato» dalla sacralità del contatto con tutto ciò che dall'uomo «emana» (sessualità, procreazione, ingestione di cibo, defecazione, morte), ma anche da tutto ciò che l'uomo «sente» (amore, dolore, angoscia, paura, speranza).
E' chiaro che non possiamo materialmente sopravvivere senza un rifugio — paravento, capanna, appartamento che sia; ma proprio perché ci è indispensabile, questo rifugio diventa luogo privilegiato di tutti i valori, e di tutti i simboli che si collegano ai valori. Nello stretto legame che passa tra bisogno, valore e simbolo, la casa è talmente bisogno dei bisogni, valore dei valori, simbolo dei simboli, che ci accorgiamo della sua essenzialità solo quando ci viene a mancare: così come avviene per l'aria che respiriamo. Senza casa, la vita dell'uomo è impensabile. Proprio per questo la casa — o un qualche simbolo della casa — accompagna così spesso il morto, nei più vari costumi e rituali funerari.
Si dice, di solito, che queste usanze testimoniano la credenza che il morto avrà un'altra vita nell'aldilà. Ma si tratta, a mio avviso, di un significato secondario; quello fondamentale è un altro: dove è la casa, è anche la vera vita nell'aldiquà; ci siamo noi, c'è la nostra «potenza», c'è la nostra «presenza», quella unica e indivisibile del nostro corpo, senza il quale ci è impossibile riconoscerci come realtà individuale.
E' per questo che l'ebreo chiama «casa» la propria moglie; è infatti lì, nel corpo della moglie, che egli deposita il suo seme, vale a dire la «potenza» della sua vita. Analogo significato hanno l'urna cineraria plasmata a forma di casa del Lazio preistorico o la «casa dell'anima» deposta accanto alle salme degli antichi Egizi, o ancora la tomba etrusca che contiene ogni sorta di oggetti domestici. E si possono ricordare anche gli innumerevoli giocattoli che richiamano la casa, messi in mano ai bambini in tutte le società che conosciamo: giocattoli che trasmettono di generazione in generazione quello che è uno dei valori essenziali della cultura.
Né è casuale il fatto che nessuna altra proprietà, come quella della casa, dà luogo a tante controversie, a disquisizioni altrettanto sottili, a così violenti conflitti. A parte le feroci dispute condominiali, come non ricordare il sentimento intenso e ambivalente che lega l'inquilino a una casa che non è sua, una casa dove egli vive, e che quindi fa partecipe della propria «potenza», ma che non riesce a possedere, e che perciò suscita in lui odio e gelosia, quasi si trattasse di una donna?
In fondo, è per lo stesso motivo che gli italiani hanno riversato sull'automobile una passione spasmodica, facendone spesso un sostituto simbolico della casa che non possiedono: qui la carica affettiva supera di gran lunga l'oggetto-automobile (ed è anche per questo che la politica delle autostrade, malgrado i tanti guasti prodotti, ha trovato facili consensi). Tutti i bisogni che la casa dovrebbe soddisfare, e tutti i significati di «potenza» personale che, in base a questi bisogni, essa assume, si ritrovano nel rapporto tra il proprietario di un'automobile, e la macchina stessa. Luogo dove si realizza anche la sessualità — dal primo corteggiamento al rapporto vero e proprio — l'automobile viene ornata con tutti i possibili simboli della casa: dai cuscini ai tappetini, dalle tendine ai plaids coloratissimi, dai bambolotti alle foto di famiglia, dalle immagini sacre ai «segnali di potenza» quali il ferro di cavallo o il corno. Ma l'automobile è anche diventata il luogo di morte per eccellenza. Lo scontro improvviso, il sequestratore, il terrorista, ti aggrediscono oggi accanto alla macchina così come un tempo il nemico sferrava 1'attacco contro la tua casa (e il corpo di Moro giacente nel portabagagli di un'automobile rimane, credo, l'immagine più crudelmente espressiva di ciò che è una tomba-casa).
La casa, dunque, è, per gli uomini vita e morte nello stesso tempo: lo è nel concreto come nel simbolico. Se ci si fosse resi conto di questo, molte più energie e molte più risorse sarebbero state indirizzate, probabilmente, alla soluzione del problema.


“la Repubblica”, estate 1981

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