15.1.14

Giansenio e l’uomo interiore (di Marco Pacioni)

Il giansenismo è uno di quei casi nella storia della cultura in cui l’opera e soprattutto i personaggi che da questa vengono toccati sono più conosciuti dell’autore. Ancora oggi gli studi sul giansenismo e in particolare sul luogo in cui la dottrina giansenista costituì il suo centro spirituale, Port-Royal, e su una delle figure più importanti che ebbe relazioni con quel luogo, Blaise Pascal (1623-1662), sono di gran lunga maggiori rispetto a quelli sul padre del giansenismo, il teologo olandese Cornelis Jansen (1585-1638).
La sua opera più importante, e cioè l’Augustinus, fu pubblicata nel 1640, poco dopo la morte per peste dell’autore, e subito anch’essa condannata dalla chiesa cattolica. A parte l’Augustinus, monumentale meditazione sul pensiero di Sant’Agostino e in particolare sulla questione affrontata dal padre della chiesa riguardo la dottrina eretica di Pelagio e le connesse questioni della grazia, del libero arbitrio e della predestinazione, Giansenio è autore di altri scritti che insieme alle lettere e alle lezioni tenute all’università di Lovanio furono in gran parte responsabili della prima ricezione del suo pensiero, tradotto dal latino al francese e diffuso da intellettuali come Saint-Cyran, Arnauld e d’Andilly.
Quest’ultimo è l’autore della versione francese del Discorso sulla riforma dell’uomo interiore (Aragno) testo che Giansenio aveva scritto per la riforma di un monastero benedettino e sul quale hameditato, fra gli altri, anche il critico letterario francese Sainte-Beuve nel suo famoso libro Port-Royal (appena ri-tradotto da Einaudi nei «Millenni»). Sainte-Beuve, ripreso anche a mo’ di introduzione nel libro Aragno, racconta l’episodio della vita di Pascal nel quale il padre del filosofo è visitato da due medici in seguito a una caduta che gli aveva causato la frattura di una gamba. I due, imbevuti di cultura scientifica ma anche di giansenismo, hanno modo di prendersi cura pure del figlio, sempre più afflitto dai molti mali che lo accompagneranno con sempre maggiore intensità fino alla morte. L’episodio menzionato da Sainte-Beuve è ripreso anche da Rossellini nel suo film per la televisionedell’inizio degli anni settanta, Pascal, nel quale si vedono i due medici consegnare alla sorella di Pascal un fascio di fogli scritti che lei fa scivolare segretamente sotto il cuscino del letto del fratello. È questo appunto il testo della versione francese del Discorso sulla riforma dell’uomo interiore la cui influenza sul filosofo sarà decisiva per il suo percorso spirituale e per la sua opera scientifica e di pensiero.
Il Discorso affronta le tre principali «passioni» che impediscono al cristiano il controllo di sé: la concupiscenza della carne, la curiosità di sapere e, in crescendo, l’orgoglio. Giansenio scrive che «Dio ha preferito rifare il vaso che era caduto dalle sue mani, e ridargli la prima forma che gli aveva impresso». In altre parole, per il teologo, l’uomo deve essere creato due volte, un po’ come anche Pascal si converte due volte. Ciò vuol dire che anche la caduta raddoppia. La seconda, quella più pericolosa, è quella che ci minaccia quando, avendo vinto la tentazione della carne e la curiosità di sapere e fatto progressi nel controllo di noi stessi, crediamo di aver raggiunto la meta per nostro merito. Questa situazione psicologica è per Giansenio, però, la via del trionfo dell’orgoglio, dell’amore di sé: il più diabolico dei tre pericoli per la perdizione dell’animo umano. È soprattutto per questo motivo, per vincere la seconda caduta, che il dono e cioè la grazia hanno per Giansenio un ruolo fondamentale. Considerare grazia ciò che si è tentati di considerare merito salva dal rischio
del diventare pieni di sé cioè dalla tentazione di mettersi al posto di Dio come ha fatto il diavolo. È proprio in questa dimensione psicologica che va colta la specificità della dottrina della grazia che salva in Giansenio. Specificità che marca la differenza dalle altre concezioni della grazia, come ad esempio quella di un altro interprete di Sant’Agostino come Lutero.
Al di là della implicata questione del libero arbitrio, è tale aspetto delle passioni dell’animo in relazione alla grazia di Giansenio che interessa a Pascal. Per il filosofo, come già per il teologo, non sono tanto la conoscenza e la scienza in stesse a dover essere considerate negativamente, ma l’effetto psicologico e spirituale che esse producono e cioè quello di generare quell’amore di noi stessi che ci fa mettere in secondo piano, fino a ignorare, Dio. Credere, per Pascal, per l’uomo di cultura e lo scienziato, è soprattutto non credere all’illusione della considerazione di sé che si genera nella ricerca scientifica, nella speculazione filosofica, nella creazione artistica. Di qui il paradosso per cui proprio chi potrebbe essere più vicino a Dio grazie alla scienza, alla filosofia, all’arte può invece allontanarsene per sempre.
Alla tara psicologica che si produce nel processo della conoscenza e che può rendere ciechi verso Dio sono rivolte le parole urlate che Pascal pone in esergo all’incompiuta opera apologetica del cristianesimo che conosciamo sotto il titolo di Pensieri. La grazia, l’iper-dono di Dio all’uomo irreparabilmente incline al peccato dopo la caduta dei suoi progenitori, è una seconda creazione: quella psicologica che rende cosciente l’uomo stesso di vigilare costantemente sulle proprie passioni, specie quando queste sembrano innocue come la curiosità o addirittura positive come il controllo di sé. La seconda creazione operata dalla grazia agisce come un esercizio spirituale permanente che può farsi carico anche di decisioni prese con criteri pragmatici – come è in un certo modo pragmatica la scommessa con la quale Pascal indica di puntare su Dio. In tale work in progress senza fine, sempre sospettoso di giungere a un risultato che appaia definitivo, è essenziale sentirsi costantemente in debito rispetto agli obiettivi spirituali che si vogliono raggiungere. In tale disciplina dell’indebitamento, va visto uno degli aspetti più attuali dello scritto di Giansenio.
In tale sentirsi in debito come più efficace disciplinamento degli uomini, da Weber a Foucault, fino ad Agamben e oltre, si è visto un elemento fondamentale del paradigma che sta dietro il funzionamento della sempre crescente dimensione bio-politica delle nostre società, nonché dei dispositivi più potenti della finanziarizzazione dell’economia capitalistica odierna come ha mostrato di recente il libro di Elettra Stimilli, Il debito delvivente. Ascesi e capitalismo (Quodlibet, 2011). La disciplina spirituale di Agostino elaborata da Giansenio e che Pascal vuol far propria è una disciplina dell’indebitamento nella quale bisogna evitare di credere di essere padroni di un capitale e, ancora di più, di vantare un credito spirituale perché proprio qui si annida la possibilità di perdere tutto. Nella scommessa di Pascal, il poco della vita mondana che si rischia è niente rispetto al possibile guadagno del tutto della vita eterna. Come insegna questo scritto di Giansenio e come confermano le vicende dell’economia odierna, il male e il rimedio al male si intrecciano, si rendono reciprocamente necessari, si avvolgono come un congegno barocco, e diventa difficile discernere attraverso i soli mezzi della conoscenza astratta il punto in cui la cura e la malattia si separano o almeno si tengono temporaneamente a distanza.


“alias talpa – il manifesto”, 10 giugno 2012

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