25.1.14

L’automobile e il petrolio (Guglielmo Ragozzino)

1.
L’auto e il petrolio sono cresciuti insieme. Il XX secolo infatti è stato, dall’inizio alla fine, segnato dall’auto, o meglio dal trasporto di persone e merci su ruote gommate, azionate a loro volta da un motore che ricavava, come ricava ancora, energia motrice dal petrolio. La loro formidabile alleanza ha caratterizzato il secolo scorso almeno quanto le due guerre mondiali che comunque sono servite ai due signori e padroni dei trasporti per testare i carri armati e gli aerei bombardieri.
Poi, con l’avvento di personal computer e internet, il fuoco del progresso si è spostato sull’immateriale.
Sembrava un matrimonio indissolubile quello tra auto e petrolio, in cui, come talvolta avviene nei matrimoni riusciti, una parte, la più forte, in questo caso il petrolio, dettava legge. Aveva maggiori libertà di divagare, in altre famiglie di attività, se così si può dire: il petrolio è stato infatti fortemente presente vuoi nell’energia elettrica delle centrali termiche, vuoi nella chimica delle plastiche, in agricoltura, in mille soluzioni nella vita di ogni giorno. “Tutto dal petrolio”, era lo slogan dell’epoca d’oro.

2.
L’auto, al contrario, era una controparte che non aveva in pratica varianti di scelta apprezzabili. La possibilità di percorsi molteplici e tempi liberi, nella velocità, che ne faceva uno strumento di lavoro e di servizio pubblico, di svago e di viaggio e insomma di libertà e sicurezza senza precedenti, era strettamente legata, senza alternative, al petrolio (e lo stesso valeva per motocicli, camion, navi e aerei). Ogni possibile variante per muovere l’auto era stata eliminata sul nascere, con
estrema durezza. “Né un uomo, né un soldo”, se si può riprendere quel famoso slogan, doveva essere usato per scoprire o inventare qualche alternativa al binomio motore termico-petrolio. Le batterie erano troppo pesanti, troppo ingombranti, il gas troppo aleatorio… niente andava bene, niente era studiato abbastanza a fondo, finanziato, sperimentato a lungo. O forse era il petrolio a vegliare sulla continuità del patto, a proteggersi dagli eventuali tradimenti della controparte, con atti di sabotaggio e di disinformazione. Ma la storia è abbastanza complicata senza cercare sempre complotti e senza perdere tempo nelle stanze segrete

3.
E per un secolo è andata avanti così. Oggi i mezzi automobili su gomma esistenti sono forse un miliardo e crescono a tassi cinesi. Così gira il mondo su se stesso, freneticamente.
Ma il patto si è sciolto.

4.
Non c’è stata una dichiarazione ufficiale, un divorzio davanti al giudice, ma tutti sanno che il patto non c’è più. Per anni, forse per decenni, si proseguirà apparentemente nel modo abituale, ma l’auto d’ora in avanti cercherà sempre altre soluzioni che la liberino dall’abbraccio troppo stretto e le consentano di sopravvivere quando il petrolio sarà fuori gioco. Non sarà per quest’anno, ma tra agro-carburanti, gas, idrogeno, batterie elettriche è certo che nel mondo dell’auto le prospettive stanno cambiando e non ci si fermerà prima di avere raggiunto l’obiettivo di lasciarsi il petrolio dietro le spalle.

5.
Quel petrolio che è diventato raro e carissimo. Quel petrolio che è all’origine di gran parte dell’inquinamento. Da contraente forte, libero di scegliere, il petrolio si è ridotto nella situazione opposta. L’auto e più in generale i trasporti sono ormai il solo campo nel quale, oggi, a tecniche invariate, il petrolio non è sostituibile. Elettricità, chimica, agricoltura: in ogni altro campo sono presenti, attualmente o in prospettiva ravvicinata, alternative praticabili. E pertanto i petrolieri: multinazionali, paesi produttori, raffinatori, commercianti, speculatori si preparano a un tempo in cui lavoreranno soltanto per i trasporti e intanto elaborano entrate in settori laterali, promettenti e al riparo dalle accuse che vedono addensarsi all’orizzonte: di essere cioè inquinatori assoluti e nemici dell’umanità. Più in grande, ma è la stessa via percorsa dai produttori di tabacco, costretti a cambiare nome e a entrare in settori laterali come l’alimentazione e altri ancora.

6.
Comincia dunque, o è cominciata da un po’, la guerra di liberazione dell’auto. E’ come se tutte le automobili, tutte insieme, si fossero rese conto che la questione ambientale e quella della crescente scarsità (e del relativo costo) dei carburanti sono esiziali per loro. Per sopravvivere, esse devono affrontare, subito, il petrolio, divenuto un problema, o un grumo di problemi, da quella risorsa indispensabile che era.
Si libera la possibilità di vedere la rottura tra petrolieri e automobilisti. La soluzione cui molti pensano è una di quelle che aveva accompagnato la storia dell’auto fin dall’inizio: l’auto mossa da un motore elettrico. Va notato che da quasi cento anni ogni auto ha a bordo una batteria che mette in moto un motore elettrico che agisce sul motore principale, per esempio a scoppio, che a sua volta svolge il lavoro di muovere le ruote. Si poteva fare di più? Non era possibile un’auto soltanto elettrica?

7.
Tempo e spazio ostacolavano e ostacolano l’auto elettrica: il tempo è quello di ricarica e lo spazio è quello occupato dalle batterie che forniscono energia al motore elettrico che a sua volta muove le ruote. Ma tempo e spazio sono inoltre la durata di una carica e la distanza tra i punti di una possibile
rete di rifornimento; e sono ancora il peso esorbitante delle batterie e lo spazio negato dalla loro presenza al concorrente trasporto di persone e di cose sul veicolo elettrico. Insomma: il progettare un veicolo tutto elettrico impone di fare i conti con scelte diverse e spesso in contrasto insanabile tra loro: molte batterie per allungare i percorsi (o ritardare la ricarica) oppure un mezzo più agile e capace di carico, ma con un’autonomia molto più limitata? Così i veicoli a trazione elettrica cui siamo abituati agiscono in un territorio estremamente limitato, per esempio all’interno di una stazione ferroviaria o nei lunghi capannoni di uno stabilimento; e si tratta di veicoli che agiscono sempre nei pressi di una presa elettrica alla quale possono rifornirsi.
Ne è risultata la limitazione più forte alla variante auto elettrica: l’impossibilità di scopo multiplo, la rigidità assoluta nelle prestazioni, ciò che contravveniva alla convenienza principale delle auto che hanno accompagnato la nostra vita, la storia del secolo.

8.
Un tentativo di riassumere l’auto elettrica ha sempre accompagnato il percorso della coppia fissa. L’auto doveva sia rassicurare l’alleato sia tenerlo sul chi vive in modo che garantisse, nei limiti del possibile, quantità adeguate per il rifornimento e quindi raffinerie, reti di vendita, prezzi contenuti e inoltre qualità del prodotto almeno pari alle richieste dei poteri pubblici. Vi era dunque un continuo confronto e una divisione dei ruoli e dell’impegno in tema di lobby auto-petrolifera.
L’elettricità come mezzo propulsivo era però continuamente riproposta, forse per tenere a freno prezzi e altri eccessi. Qualcuno afferma che lo scopo principale di tale sperimentazione era soltanto nel consentire al partito dell’auto tradizionale di poter dire: è impossibile; “il calabrone non volerà mai”; e mettersi il cuore in pace.

9.
Il tentativo principale ebbe luogo una decina di anni fa, nel cuore degli anni ’90. Le case americane fecero tentativi, senza troppa convinzione, ma guardando finalmente a quello che stavano architettando nelle case rivali, per evitare che si stabilissero differenze eccessive. C’è anche chi accusa la General Motors (Gm) di avere scientemente “ucciso” l’auto elettrica. A parlare di complotto nel caso di un’auto più che sperimentale della General Motors, la Ev1 c’è una serie di pubblicazioni. Scritti simili sono assai frequenti dai tempi del primo libro di Ralph Nader, dedicato all’auto Unsafe at any speed, del 1965, “Insicura a ogni velocità”. Nel caso in esame c’è soprattutto un documentario di Chris Paine Who killed the electric car. Al di là dell’appassionante ricostruzione vi è la convinzione diffusa che la Gm abbia preferito puntare il suo futuro sulla Hummer capofila dei Suv, piuttosto che sulla EV1.

10.
Dagli anni ’90 uscì però una doppia linea di sperimentazione: l’auto ibrida da un lato e l’auto a idrogeno dall’altro. A sua volta l’idrogeno avrebbe dovuto sostituire il petrolio in un motore a scoppio, oppure, rimandando i tempi, funzionare con celle a combustibile. Da quegli esperimenti emerse in pratica un solo modello importante e diffuso, la Toyota Prius. Vera e propria capostipite delle auto ibride nelle quali il ruolo della batteria non è soltanto di consentire la partenza, ma le è affidato un compito più complesso e intelligente. Si potrebbe dire che la novità sia quella che il motore a scoppio (o il diesel), pur svolgendo la maggior parte del lavoro in termini di potenza, lascia il lavoro intelligente al piccolo motore elettrico che opera nella parte più intellettuale del complesso.

11.
“Allora si può”, devono essersi detti nelle case automobilistiche, alla Toyota e alle case rivali. Si può sperimentare e provare, senza rischiare troppo, in soldi e in persone, anzi costruendo carriere importanti nell’industria automobilistica, un mondo che spesso non vede di buon occhio gli innovatori spinti, soprattutto quelli senza successo. E la corsa alla rinuncia del petrolio è stata vista come un possibile futuro per l’auto, oltre le difficoltà e le proibizioni ambientali, le ristrettezze dei governi, le preoccupazioni economiche degli automobilisti sempre più spaventati per i corsi dei benzina e gasolio. Una prospettiva diversa, sia pure lontana, avrebbe tenuto gli automobilisti legati e avrebbe anzi consentito di riformare con nuove idee e nuovi miti il grandioso partito internazionale dell’auto. Con un rovesciamento completo di un secolo di collegamenti, abbasso il petrolio, allora, che potrebbe far precipitare, noi dell’auto, in un abisso senza fondo. E tutti, o quasi tutti, si sono messi a ricercare soluzioni per il tempo medio e strategie che rendano il passaggio non troppo traumatico.

12.
C’è dunque una prima scelta sulla quale impegnarsi: auto elettrica tipo fuel cell o tipo plug-in, cioè con celle combustibili o con ricarica per mezzo di una presa di corrente? Non si deve pensare che le soluzioni esistano già, ma che il percorso sarà l’uno, o l’altro. In questo momento è il plug-in, cioè la tanto bistrattata batteria che offre i migliori orizzonti. In primo luogo c’è l’enorme successo delle batterie montate su computer e telefoni mobili. L’evoluzione e la miniaturizzazione sono state formidabili. E l’industria dell’auto, ingorda, ne vuole approfittare. Le nuove batterie agli ioni di litio offrono spazi per ulteriori sviluppi, che ora sono prevedibili, ma che erano impensabili solo pochi anni fa. Si pongono già problemi tecnici che indirizzano le diverse realizzazioni. Tanto per recuperare il terreno perduto, la Gm, divenuta ragionevole, riflette sul fatto che il 70% dei percorsi giornalieri in auto, tra andata e ritorno, è inferiore alle 40 miglia. Ecco il limite dell’auto elettrica, che deve essere sostenuta da un piccolo motore termico di sostegno. Dall’altra parte dello schieramento c’è la fabbrica futuribile Tesla che sta progettando, sotto la guida del progettista Elon Musk e insieme alla Lotus, un’auto sportiva con un’autonomia di 250 miglia e una velocità di 130 (1 miglio vale 1.600 metri). Ma si vuole arrivare all’auto elettrica capace di sfidare Ferrari e Porsche quanto a velocità e scomodità.

13.
Su un altro piano ancora c’è lo straordinario Shai Agassi. Egli non bada tanto al prototipo (roba da ingegneri) ma mette d’accordo molti aspetti: quattrini per il modello, conoscenze scientifiche e industriali, appoggio di un governo, quello di Israele, possibilità di una rete a maglie strette per altrettante prese elettriche. E lungo le sue strade si potrà cambiare la batteria esausta con un’altra alle stazioni di posta. Quanto tempo è passato. Un tempo lo si faceva con i cavalli.


da Autocritica, supplemento a “il manifesto”, marzo 2008

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