Anni 50 del Novecento. Arresto di un camorrista |
Il brano che segue è tratto da
una relazione che Enzensberger lesse per due emittenti radio della Germania
meridionale nel 1960 e pubblicò nel 1961 sulla rivista “Merker” di Stoccarda.
La relazione, dal titolo Pupetta o la
fine della nuova Camorra, ha al suo centro una donna campana, Pupetta
Maresca che aveva vendicato, lei donna, l’assassinio del proprio marito,
Pasquale Simonetti detto “Pascalone ‘e Nola”, appena 11 settimane dopo il
matrimonio. Pupetta partorì in carcere e il processo, sui cui atti si fonda il
lavoro dello scrittore tedesco, al tempo assai giovane, ebbe una enorme
risonanza. Il saggio poi entrò a far parte della raccolta Politik und Verbrechen (1964), tradotta e pubblicata in Italia con
il titolo Politica e gangsterismo nel
1979. La parte qui postata è una sorta di digressione sull’origine ispanica
della camorra. (S.L.L.)
La parola Camorra deriva dallo spagnolo, lingua in cui significa sia contesa
che rissa, ed è anche dalla Spagna che viene la prima testimonianza letteraria
della criminalità moderna provvista di una organizzazione centrale. Ce la dà un
maestro, Miguel de Cervantes. Nel romanzo Rinconete e Cortadillo, un futuro ladro riceve il
seguente insegnamento: « Se vossignoria è un furfante, perché non ha pagato il
suo diritto d'entrata? Consiglio a vossignoria di venire con me dal Gran
Maestro della nostra onorevole confraternita e di non permettersi di rubare
senza il suo consenso: ciò le costerebbe troppo caro, immagina forse che il
furto è un'arte che si pratica liberamente, senza imposte e canoni? »
L'«onorevole confraternita» che
descrive Cervantes è una associazione ben regolata, un'impresa che dispone di
un'esatta contabilità, dove si può comprare tanto l'omicidio e l'assassinio
dei propri nemici quanto la propria sicurezza. Una coltellata costa cinquanta
talleri, delle bastonate dodici talleri la dozzina, il barare ai giuoco e gli
incendi dolosi sono egualmente organizzati; i salari sono distribuiti secondo
regole fisse. La satira di Cervantes non era affatto campata in aria: si basava
su dei fatti concreti. Fin dal XV secolo si sapeva in Spagna dell'esistenza
della Confraternitad de la Garduna. Questa «onorevole Confraternita» era stata
organizzata sul modello degli ordini monastici e, come questi, anticipava certi
elementi strutturali della società capitalistica. La Confraternita poggiava su
basi strettamente gerarchiche. Il suo gran maestro, il «Gran Fratello», veniva
eletto dall'assemblea dei guappi: un elemento progressista, si sarebbe tentati
di dire, democratico, della costituzione che la banda si era. data. La sua
struttura razionale, la rigidità della sua direzione, i suoi severi principi
professionali le avevano procurato un enorme vantaggio sulle vecchie bande di
ladri, che la mancanza di strategia, una composizione casuale e delle
concezioni professionali anarchiche destinavano a un rapido tramonto L’«onorevole
Confraternita» acquistava invece senza sosta più stima e più popolarità nel
corso del XVI e XVII secolo. Al riguardo lo storico spagnolo Manuel de Cuendias
ha scritto: « La Confraternita accettava da tutti e a prezzi ragionevoli degli
ordini per la cui esecuzione offriva ogni garanzia. Dietro ordinazione
distribuiva percosse e bastonature, eseguiva omicidi, provocava annegamenti. Un
omicidio costava certamente caro ed era accettato, solo su richiesta di
personalità ben note. Una volta concluso l'affare, si poteva star sicuri che
sarebbe stato condotto a buon fine...
«Il Gran Maestro della
Confraternita viveva a Corte e occupava spesso una carica importante. Al tempo
di Filippo III era addirittura segretario privato del monarca, intimo del
confessore reale e inquisitore generale Padre Francisco de Aliaga, un
gesuita... La Confraternita aveva una sua propria giustizia e disponeva di
spie, agenti, scrivani, di monaci e di dame che si chiamavano sirenas, che
la aiutavano a raggiungere i suoi scopi... Gli incassi erano distribuiti nel
modo seguente: al confratello incaricato dell'esecuzione toccava un terzo della
somma riscossa, un altro terzo spettava alla cassa della Confraternita,
amministrata dal Gran Maestro, l'ultimo terzo veniva destinato alle "spese
per la giustizia", ovvero serviva a comprare la polizia, i funzionari e i
giudici. Questo fondo contribuiva anche a pagare le messe che la Confraternita
faceva celebrare per i propri defunti» (Citato
da Alberto Consiglio, La Camorra,
Milano, 1969).
Lo storico spagnolo si basa, tra
l'altro, su un documento del 1420, dove sono raccolti gli statuti dell'«onorevole
Confraternita». Quattrocento anni dopo, il 12 settembre 1824, la Camorra di
Napoli si dette una costituzione che riproduce, fino al minimo dettaglio, il
modello medievale spagnolo. Ecco qualcuno dei suoi principali paragrafi:
« Art. 1 - L'onorevole
Società del Silenzio, sotto altro nome la Bella Società Riformata della
Camorra, raccoglie tutti gli uomini di coraggio perché possano, in determinate
circostanze, venirsi reciprocamente in aiuto sia dal punto di vista morale che
materiale.
« Art. 10 - Al di fuori di
Dio, dei santi e dei loro superiori i
membri della società non riconoscono nessuna autorità laica o ecclesiastica.
« Art. 24 - Le somme
raccolte saranno versate ai capi della società. Un quarto dell'ammontare spetta
al Gran Maestro, il resto va alla cassa della società e sarà ripartito il più
coscienziosamente possibile tra i membri attivi inabili al lavoro e tra quelli
che i capricci del governo avranno mandato in prigione » (Ibidem)
Pupetta Maresca |
La straordinaria stabilità di
società criminali come la Garduna, la Mafia e la Camorra non è difficile da
spiegare. Avevano interesse alla loro esistenza tanto le corti reali quanto la
Chiesa. Si aveva certamente a che fare con dei volgari ladri e assassini, ma
questi criminali erano organizzati, su di essi si poteva contare e con essi era
possibile trattare. C'erano ogni sorta di ragioni per far affidamento
sull'associazione: anzi, poteva essere usata come un'alleata politica, persino
come una seconda polizia che funzionava spesso meglio di quella ufficiale. Nel
XVIII secolo Napoli aveva 600.000 abitanti. Una popolazione miserabile,
affamata dalle sue stesse dimensioni, serrata nell'angusto spazio di una sola
città, era quasi impossibile da disciplinare con i mezzi di cui disponeva il
viceré, sia sul piano amministrativo che su quello poliziesco. La Camorra,
essa stessa formazione anarchica, rappresentava l'unica forza su cui potevano
appoggiarsi le autorità. L'anarchia non poteva essere combattuta che con
l'anarchia, la criminalità non poteva essere repressa che con l'aiuto della
criminalità. Così a Napoli la Camorra era divenuto uno dei principali pilastri
su cui poggiava e si manteneva lo Stato. Essa era uno Stato nello Stato,
riscuoteva le imposte e i diritti doganali, aveva i suoi tribunali e
assicurava a chi era indifeso una protezione che peraltro estorceva. Il popolo
di Napoli riconosceva la sua autorità: anzi, la preferiva all'autorità di un
regime impotente e corrotto, che anch'esso non era altro che una banda di ladri
vestiti di ermellino. La Camorra diede a Napoli un ordine in cui la città si
riconosceva. I guappi parlavano il linguaggio delle strade, il loro codice
d'onore era quello del volgo dei bassifondi; si poteva contare su di loro più
che sui re, i principi della Chiesa, i funzionari e i giudici. Ecco perché ha
prosperato per secoli, stimata dai governi, ammirata dal popolo, trasfigurata
dalla leggenda, la Bella Società Riformata, una povera caricatura della cosa
pubblica, della res publica, della
legittima società libera che non era mai esistita a Napoli, fiore parassita di
una città parassita, in cui i due terzi della popolazione vivono senza educazione,
senza mestiere, senza lavoro, alla giornata, oggi come cento, duecento anni fa.
— Ancora oggi? In pieno XX secolo,
dopo due guerre mondiali, dopo il fascismo, nell'Italia democristiana? La
vecchia Camorra, con i suoi pittoreschi riti d'iniziazione, il suo gergo
fiorito, le sue curiose concezioni dell'onore? L'Italia intera si pose con
incredulità questa domanda quando Pupetta Maresca, la graziosa sposa, uccise a
Napoli l'assassino di suo marito…
da Politica e gangsterismo, Samonà e Savelli, 1979
Nessun commento:
Posta un commento