1.2.14

Camorra. Cervantes e l’onorevole Confraternita (Hans Magnus Enzensberger)

Anni 50 del Novecento. Arresto di un camorrista
Il brano che segue è tratto da una relazione che Enzensberger lesse per due emittenti radio della Germania meridionale nel 1960 e pubblicò nel 1961 sulla rivista “Merker” di Stoccarda. La relazione, dal titolo Pupetta o la fine della nuova Camorra, ha al suo centro una donna campana, Pupetta Maresca che aveva vendicato, lei donna, l’assassinio del proprio marito, Pasquale Simonetti detto “Pascalone ‘e Nola”, appena 11 settimane dopo il matrimonio. Pupetta partorì in carcere e il processo, sui cui atti si fonda il lavoro dello scrittore tedesco, al tempo assai giovane, ebbe una enorme risonanza. Il saggio poi entrò a far parte della raccolta Politik und Verbrechen (1964), tradotta e pubblicata in Italia con il titolo Politica e gangsterismo nel 1979. La parte qui postata è una sorta di digressione sull’origine ispanica della camorra. (S.L.L.)
 
Miguel Cervantes
La parola Camorra deriva dallo spagnolo, lingua in cui significa sia contesa che rissa, ed è anche dalla Spagna che viene la prima testimonianza letteraria della criminalità moderna provvista di una organizzazione centrale. Ce la dà un maestro, Miguel de Cervantes. Nel romanzo Rinconete e Cortadillo, un futuro ladro riceve il seguente insegnamento: « Se vossignoria è un furfante, perché non ha pagato il suo diritto d'entrata? Consiglio a vossignoria di venire con me dal Gran Maestro della nostra onorevole confraternita e di non permettersi di rubare senza il suo consenso: ciò le costerebbe troppo caro, immagina forse che il furto è un'arte che si pra­tica liberamente, senza imposte e canoni? »
L'«onorevole confraternita» che descrive Cervantes è una associazione ben regolata, un'impresa che dispone di un'esatta contabilità, dove si può comprare tanto l'omicidio e l'assas­sinio dei propri nemici quanto la propria sicurezza. Una col­tellata costa cinquanta talleri, delle bastonate dodici talleri la dozzina, il barare ai giuoco e gli incendi dolosi sono egual­mente organizzati; i salari sono distribuiti secondo regole fisse. La satira di Cervantes non era affatto campata in aria: si basava su dei fatti concreti. Fin dal XV secolo si sapeva in Spagna dell'esistenza della Confraternitad de la Garduna. Questa «onorevole Confraternita» era stata organizzata sul modello degli ordini monastici e, come questi, anticipava certi elementi strutturali della società capitalistica. La Confraternita poggiava su basi strettamente gerarchiche. Il suo gran mae­stro, il «Gran Fratello», veniva eletto dall'assemblea dei guappi: un elemento progressista, si sarebbe tentati di dire, democratico, della costituzione che la banda si era. data. La sua struttura razionale, la rigidità della sua direzione, i suoi severi principi professionali le avevano procurato un enorme vantaggio sulle vecchie bande di ladri, che la mancanza di strategia, una composizione casuale e delle concezioni professionali anarchiche destinavano a un rapido tramonto L’«onorevole Confraternita» acquistava invece senza sosta più stima e più popolarità nel corso del XVI e XVII secolo. Al riguardo lo storico spagnolo Manuel de Cuendias ha scritto: « La Confraternita accettava da tutti e a prezzi ragionevoli degli ordini per la cui esecuzione offriva ogni garanzia. Die­tro ordinazione distribuiva percosse e bastonature, eseguiva omicidi, provocava annegamenti. Un omicidio costava certa­mente caro ed era accettato, solo su richiesta di personalità ben note. Una volta concluso l'affare, si poteva star sicuri che sarebbe stato condotto a buon fine...
«Il Gran Maestro della Confraternita viveva a Corte e occupava spesso una carica importante. Al tempo di Filippo III era addirittura segretario privato del monarca, intimo del confessore reale e inquisitore generale Padre Francisco de Aliaga, un gesuita... La Confraternita aveva una sua propria giustizia e disponeva di spie, agenti, scrivani, di monaci e di dame che si chiamavano sirenas, che la aiutavano a raggiun­gere i suoi scopi... Gli incassi erano distribuiti nel modo seguente: al confratello incaricato dell'esecuzione toccava un terzo della somma riscossa, un altro terzo spettava alla cassa della Confraternita, amministrata dal Gran Maestro, l'ultimo terzo veniva destinato alle "spese per la giustizia", ovvero serviva a comprare la polizia, i funzionari e i giudici. Questo fondo contribuiva anche a pagare le messe che la Confrater­nita faceva celebrare per i propri defunti» (Citato da Alberto Consiglio, La Camorra, Milano, 1969).
Lo storico spagnolo si basa, tra l'altro, su un documento del 1420, dove sono raccolti gli statuti dell'«onorevole Con­fraternita». Quattrocento anni dopo, il 12 settembre 1824, la Camorra di Napoli si dette una costituzione che riproduce, fino al minimo dettaglio, il modello medievale spagnolo. Ecco qualcuno dei suoi principali paragrafi:
« Art. 1 - L'onorevole Società del Silenzio, sotto altro no­me la Bella Società Riformata della Camorra, raccoglie tutti gli uomini di coraggio perché possano, in determinate cir­costanze, venirsi reciprocamente in aiuto sia dal punto di vista morale che materiale.
« Art. 10 - Al di fuori di Dio, dei santi e dei loro superiori i membri della società non riconoscono nessuna autorità laica o ecclesiastica.
« Art. 24 - Le somme raccolte saranno versate ai capi della società. Un quarto dell'ammontare spetta al Gran Maestro, il resto va alla cassa della società e sarà ripartito il più co­scienziosamente possibile tra i membri attivi inabili al lavoro e tra quelli che i capricci del governo avranno mandato in prigione »  (Ibidem)
Pupetta Maresca
La straordinaria stabilità di società criminali come la Gar­duna, la Mafia e la Camorra non è difficile da spiegare. Ave­vano interesse alla loro esistenza tanto le corti reali quanto la Chiesa. Si aveva certamente a che fare con dei volgari ladri e assassini, ma questi criminali erano organizzati, su di essi si poteva contare e con essi era possibile trattare. C'erano ogni sorta di ragioni per far affidamento sull'associazione: anzi, poteva essere usata come un'alleata politica, persino come una seconda polizia che funzionava spesso meglio di quella ufficiale. Nel XVIII secolo Napoli aveva 600.000 abitanti. Una popolazione miserabile, affamata dalle sue stesse di­mensioni, serrata nell'angusto spazio di una sola città, era quasi impossibile da disciplinare con i mezzi di cui disponeva il viceré, sia sul piano amministrativo che su quello polizie­sco. La Camorra, essa stessa formazione anarchica, rappre­sentava l'unica forza su cui potevano appoggiarsi le autorità. L'anarchia non poteva essere combattuta che con l'anarchia, la criminalità non poteva essere repressa che con l'aiuto della criminalità. Così a Napoli la Camorra era divenuto uno dei principali pilastri su cui poggiava e si manteneva lo Stato. Essa era uno Stato nello Stato, riscuoteva le imposte e i dirit­ti doganali, aveva i suoi tribunali e assicurava a chi era in­difeso una protezione che peraltro estorceva. Il popolo di Napoli riconosceva la sua autorità: anzi, la preferiva all'auto­rità di un regime impotente e corrotto, che anch'esso non era altro che una banda di ladri vestiti di ermellino. La Camorra diede a Napoli un ordine in cui la città si riconosceva. I guap­pi parlavano il linguaggio delle strade, il loro codice d'onore era quello del volgo dei bassifondi; si poteva contare su di loro più che sui re, i principi della Chiesa, i funzionari e i giudici. Ecco perché ha prosperato per secoli, stimata dai go­verni, ammirata dal popolo, trasfigurata dalla leggenda, la Bella Società Riformata, una povera caricatura della cosa pubblica, della res publica, della legittima società libera che non era mai esistita a Napoli, fiore parassita di una città parassita, in cui i due terzi della popolazione vivono senza edu­cazione, senza mestiere, senza lavoro, alla giornata, oggi come cento, duecento anni fa.
— Ancora oggi? In pieno XX se­colo, dopo due guerre mondiali, dopo il fascismo, nell'Italia democristiana? La vecchia Camorra, con i suoi pittoreschi riti d'iniziazione, il suo gergo fiorito, le sue curiose concezioni dell'onore? L'Italia intera si pose con incredulità questa do­manda quando Pupetta Maresca, la graziosa sposa, uccise a Napoli l'assassino di suo marito…


da Politica e gangsterismo, Samonà e Savelli, 1979

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