14.2.14

Fromm: perché operai e impiegati divennero nazisti (Aldo Natoli)

L’articolo che qui propongo, del nostro caro Aldo Natoli, proviene da un ritaglio senza data, ma certamente del 1981. Vi si racconta di uno studio condotto da Eric Fromm tra il 1929 e il 1930 per l’Istituto di Studi Sociali di Francoforte, la celebre “scuola” di Horkheimer e Adorno.
Fromm, psicologo e psichiatra freudiano e marxista, somministra a un campione di lavoratori, operai e impiegati, in gran parte elettori della sinistra, un questionario. Ne viene fuori, su temi relativi alla sessualità, alla famiglia, all’organizzazione sociale, un insieme di convinzioni che non coincide con le opzioni politiche. Le conclusioni dello studio risultano così un utile complemento del capolavoro di Allen, Come si diventa nazisti, documentata verifica di come una comunità a base operaia orientata a sinistra, nel quinquennio dal 1930 al 1935, si converta al nazionalsocialismo. L’inchiesta condotta a Francoforte svela come la tattica e la propaganda naziste, atte a canalizzare le inquietudini della crisi, agiscano su un terreno fertile, in cui nelle classi lavoratrici alle dichiarate convinzioni socialiste corrispondono spesso conservatorismo e pulsioni autoritarie. Insomma, se il libro di Allen mostrava il “come”, da questa inchiesta si può intuire che si diventa nazisti perché un po’ lo si è già.
Interessante è anche la storia della mancata pubblicazione dell’inchiesta.
Un articolo da leggere. (S.L.L.)
Erich Fromm
Erich Fromm è morto nel marzo dell'anno scorso. Postuma è comparsa dunque in Germania un'inchiesta da lui condotta ben 50 anni fa su «Operai e impiegati» nel crepuscolo della repubblica di Weimar (titolo attuale: Operai e impiegati alla vigilia del Terzo Reich - Arbeiter und Angestettte am Vorabend des Dritten Reichs, ed. Dva). L'inchiesta era stata organizzata sulla base di un questionario assai elaborato (271 domande), cui aveva collaborato Hilde Weiss, e faceva parte delle sperimentazioni allora promosse da Fromm per l'applicazione dei metodi della psicoanalisi al campo della sociologia, nella prospettiva di una problematica integrazione della metodologia di Freud con le teorie sociali di Marx.
L'inchiesta, la cui pubblicazione è stata curata da Wolfgang Bonss, che vi ha premesso una assai utile introduzione, si prefiggeva di compiere una prima esplorazione sulla «struttura psichica di operai e impiegati», raccogliendo «informazioni sulla relazione sistematica fra "apparato mentale" e sviluppo sociale». Essa ebbe in realtà una sorte assai contrastata, ancor oggi non del tutto chiarita. Era stata progettata fra i programmi di lavoro del famoso «Institut fur Sozialforschung» di Francoforte e la pubblicazione di tutto il materiale sulla Zeitschrift era stata annunciata per il 1936. Però le cose andarono altrimenti. La vittoria di Hitler all'inizio del 1933 costrinse all' emigrazione lo staff dell'Istituto, a cominciare dal suo direttore Max Horkheimer; la rivista fu pubblicata a Parigi presso Alcan fino al 1938, per trasferirsi poi definitivamente negli Stati Uniti.
Queste vicissitudini furono certamente tali da rivoluzionare i programmi ed ostacolare l'elaborazione finale delle 1.100 schede raccolte durante l'inchiesta (circa la metà di esse andarono perdute); pare certo, però, che la pubblicazione del materiale fu resa impossibile soprattutto da forti differenze di valutazione che si manifestarono all'interno del gruppo di lavoro. I contrasti continuarono anche dopo il trasferimento in America; lo stesso Horkheimer manifestò insistentemente le sue riserve, fino a quando, sopraggiunto dall'Europa anche Adorno, le tensioni all'interno del gruppo avrebbero acquistato un carattere personalistico che, nel 1939, portò alla separazione di Fromm dall'Istituto. L inchiesta finì quindi in fondo a qualche cassetto, mentre il solo questionario veniva pubblicato fra gli studi su Autoritat und Familie (ed è disponibile anche in italiano nella traduzione di quell' opera curata da Franco Ferrarrotti e pubblicata dalla Utet).
L'inchiesta si inseriva in un filone di studi sulla realtà sociale che aveva in Germania una solida tradizione, risalente almeno all'epoca bismarckiana. La sua novità consisteva, come si è accennato, nell'approccio critico e interdisciplinare, tipico della Scuola di Francoforte; nel tentativo di intrecciare psicoanalisi e sociologia, di cui era portatore Fromm; nel suo rispecchiare (almeno fino a un certo punto) l'angosciata ricerca, allora già iniziata, dei mutamenti sociali che sottostavano alla crisi del regime weimariano. Fra i documenti di quella ricerca più facilmente accessibili al lettore italiano, ricordo qui le riflessioni dello stesso Horkheimer pubblicate qualche anno dopo in Svizzera sotto uno pseudonimo, e intitolate Dammerung — «Crepuscolo» — e l'inchiesta di Siegfried Kracauer su Gli impiegati (l'uno e l'altro volume pubblicati in Italia da Einaudi).
L'inchiesta di Fromm appare oggi come un documento assai notevole della storia di quel tempo; e inoltre 1'unico, a parte i contributi biografici, che illumini parzialmente l'aspetto soggettivo degli agenti sociali decisivi nella tragedia che andava svolgendosi. Certo, il campione su cui si lavorò era di dimensioni ridotte; ma, come Fromm non mancò di avvertire, egli non voleva dimostrare nulla, ma solo segnalare tendenze in atto. Si trattava di un tentativo preliminare e, per giunta, sperimentale; poteva indicare dei sintomi, non autorizzare diagnosi. E' solo la prospettiva temporale del mezzo secolo da allora trascorso a far trasalire il lettore di oggi di fronte alla prevalente discrepanza, nei soggetti inquisiti, fra le idee politiche radicali (asserite) e i comportamenti privati, impregnati del più gretto e ottuso conservatorismo.
A mettere in evidenza questa occulta scissione fra pubblico e privato, serviva efficacemente il questionario, che era costruito su un certo numero di domande di chiara natura politica e su una struttura assai articolata di domande destinate a sondare le pieghe intime del carattere, le consuetudini e i riflessi di costume acquisiti dalla pratica familiare e dai rapporti di lavoro, come pure dalla morale sessuale dominante. Così, il 71 per cento degli elettori socialdemocratici e il 51 per cento di quelli comunisti dichiararono che le donne avrebbero dovuto aver cura della casa invece di andare a lavorare in fabbrica o in ufficio; e il 91 per cento del totale deplorò che si fosse diffusa fra le donne la pratica di truccarsi e perfino di profumarsi.
Interrogati sulle grandi personalità della storia, i socialdemocratici mettevano sullo stesso piano Bebel e Bismarck, Engels e Hindenburg, Marx e Napoleone. Ma Bismarck, Napoleone e perfino Mussolini (6 per cento) erano apprezzati anche da elettori comunisti, a distanza, naturalmente, da Marx (46 per cento), Lenin e Stalin. Viceversa gli elettori nazionalsocialisti mettevano quasi sullo stesso piano Bismarck e Mussolini e solo a grande distanza dietro di essi, Hitler (11 per cento). Si era fra il 1929 e il 1930.
Solo nel 15 per cento dei casi esaminati l'indagine dimostrò l'esistenza, negli aderenti ai partiti di sinistra (socialdemocratico, comunista, socialisti di sinistra), di una coerenza fra le opinioni politiche professate e i comportamenti privati: e ciò in misura decrescente dai socialisti di sinistra, ai comunisti, ai socialdemocratici. La contraddizione più frequente era costituita dalla coesistenza di professioni di fede politica radicali e comportamenti privati autoritari (verso la moglie e i figli) o di rispetto e di dipendenza passiva di fronte all'autorità (il potere o il destino).
Si sarebbe detto che i partiti di sinistra avevano la fiducia politica e i voti della grande maggioranza dei lavoratori, ma non erano riusciti a trasformare la struttura della personalità dei loro aderenti in modo tale che questi fossero pienamente «affidabili» in situazioni critiche (come quelle che presto si sarebbero verificate). Del resto, anche gli aderenti «affidabili» non apparivano ardenti; ne risultava che la forza reale dei partiti di sinistra era assai più ridotta di quanto non apparisse a prima vista. Vi era, certo, un nucleo solido di combattenti fedeli che, nei due part'ti di sinistra, coincideva largamente con lo strato dei funzionari; ma il legame fra questi e gli aderenti non attivi e gli elettori era tutt'altro che solido.
Dal punto di vista culturale, solo il 3 per cento degli intervistati aveva sentito parlare della «Neue Sachlickheit» (Nuova Oggettività), l'11 per cento conoscevano L'Opera da tre soldi di Brecht che allora furoreggiava sulle scene berlinesi, il 28 per cento aveva visto il film La corazzata Potemkin.
In sostanza, il radicalismo verbale degli aderenti ai partiti di sinistra dava un'immagine illusoria del reale potenziale antifascista del movimento operaio. La discrepanza constatata fra le opinioni manifestate e i comportamenti privati doveva portare a concludere che l’apparente militanza di sinistra era largamente neutralizzata da tratti profondi della personalità rimasti immutati, così come erano stati plasmati dal senso comune diffuso nella vita quotidiana dalla ideologia della classe dominante.
In una conversazione con il curatore di quest'opera (giugno 1979), Marcuse ebbe a dire che la ragione della non pubblicazione dell'inchiesta fu allora di opportunità politica: Horkheimer esitò a divulgare l'immagine prevalentemente piccolo-borghese e autoritaria nella quale venivano incasellati operai e impiegati tedeschi che già erano oppressi, ovvero aderivano al regime di Hitler. Lo si può comprendere, senza dimenticare però che lo stesso Horkheimer, prima della vittoria di Hitler, nel suo Crepuscolo, aveva amaramente annotato l'esistenza di «una scissione tra l'interesse per il socialismo e le qualità umane necessarie per attuarlo». Era esattamente ciò che l'inchiesta di Fromm aveva dimostrato, almeno come tendenza.


“La Repubblica”, 1981

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