2.2.14

Gramsci disabile ( di Alain Goussot)

Antonia Gramsci a 15 anni
Antonio Gramsci è noto come fondatore del partito comunista italiano, antifascista che pagò con la vita la sua lotta contro la dittatura, intellettuale critico e marxista creativo. Quello che si sa meno è che Gramsci era gobbo, camminava a malapena e non superava il metro e cinquanta; era quello che oggi verrebbe chiamato un disabile fisico e motorio. Eppure quel piccolo gobbo, affetto da nanismo, fu un uomo di una grande tenacia e una figura morale ed intellettuale esemplare per tutto il movimento progressista in Europa e in Italia. Scrittori come Romain Rolland e André Gide presero le sue difese durante i suoi anni di detenzione nelle carceri fasciste. Ma chi era il piccolo disabile di Ghilarza?

Fin da piccolo
Racconta Nennetta Cuba, coetanea e vicina di Antonio a Ghilarza:”Nino non è stato sempre ...diciamo gobbo. Anzi, era un bel bambino, da piccolo. Delicatissimo, magari.(...) Poi, non so la causa, era cominciata a venirgli sulla schiena una specie di noce, e lui non cresceva, se ne stava bassettino, piccoletto. Tia Peppina, poveretta, le provava tutte, per combattere il male. Era confusa, e sempre con quest'aria di spavento. Lo metteva sdraiato per fargli lunghi massaggi con tintura di jodio, e nulla. La noce ingrandiva ogni giorno di più. Così decisero di andarlo a far vedere a Oristano. Lo fecero vedere anche a Caserta: tiu Gramsci lo aveva portato da uno specialista. Al ritorno, la cura consigliata era di tenerlo appeso a un trave del soffitto. Gli avevano combinato un busto con anelle. Nino indossava il busto, e tiu Gramsci e Gennaro lo mettevano agganciato al soffitto lasciandolo sospeso in aria. Si pensava che fosse questo il modo giusto per raddrizzarlo. Ma l'ingrossamento sulla schiena e poi anche davanti aumentò, e mai c'é stato rimedio. Sempre Nino ha continuato ad essere piccoletto. Anche da grande non passava il metro e cinquanta”.
Il piccolo Antonio conobbe subito la sofferenza di chi ha un deficit; non si seppe mai esattamente quale fosse la causa della malformazione: la madre affermava che la domestica lo aveva lasciato cadere neonato mentre lo stesso Antonio Gramsci ci spiega qualcosa di diverso: “Da bambino, a quattro anni ho avuto delle emorragie per tre giorni di seguito che mi avevano completamente dissanguato, accompagnate da convulsioni. I medici mi avevano dato per morte, e mia madre ha conservato fino al 1914 circa una piccola bara ed il vestitino speciale che dovevano servire a seppellirmi”.
Il piccolo Gramsci conosce il dolore fisico, ma anche la solitudine, nonostante l'affetto materno e la solidarietà dei fratelli e delle sorelle. La malformazione rispetto agli altri bambini lo aveva reso più chiuso; faceva fatica a partecipare ad alcuni giochi nei campi anche se si fece degli amici con i quali andava ad osservare la vita degli animali: in particolare dei ricci e della volpe. A questa situazione occorre aggiungere l'assenza del padre, impiegato al catasto, che fu incarcerato e per anni fu assente facendo precipitare la famiglia nella miseria. La madre Peppina si ritrovò ad occuparsi da sola dei sette figli; dimostrò molto coraggio e questo aiutò il piccolo Antonio. Non impedì mai ad Antonio di uscire e di andare a scuola, anzi lo spinse a frequentare la scuola elementare. Questo atto di fiducia nei suoi confronti fu molto importante e lo spinse a sviluppare le sue capacità di resistenza al dolore fisico e psichico; Antonio si sentiva tuttavia tagliato fuori da alcuni giochi all'aria aperta, giochi movimentati che amavano fare i ragazzi e i suoi compagni di classe.
Un suo compagno di scuola elementare, Chicchinu Mameli ricorda: “Era della corporatura che lei sa, e naturalmente la deformità gli impediva di partecipare a certi nostri giochi. I ragazzi ora e sempre, lottano , si sfiatano: i nostri giochi preferiti erano prove di valentia fisica e di resistenza, e lui, Nino, al più poteva starsene a guardare. Veniva di rado, per questo, con noi. In genere rimaneva in casa, occupato a leggere, a disegnare figure colorate, a metter su costruzioni di legno, e giocherellare in cortile. Oppure se ne andava a girare in campagna”.
Girava spesso da solo, talvolta accompagnato da un amichetto; si era appassionato alla lettura di Robinson Crusoe: “Non uscivo - scrive Gramsci - di casa senza avere in tasca dei chicchi di grano e dei fiammiferi avvolti in pezzettini di tela cerata, per il caso che potessi essere sbattuto in un'isola deserta e abbandonato ai miei soli mezzi”. La sua sorellina preferita dichiarava: ”Certo anche quel suo essere così, fisicamente infelice, può aver influito sulla formazione del carattere di Nino. Era un po' chiuso, s'appartava. Ma anche senz'essere espansivo, perché espansivo proprio non era, aveva tuttavia per noi tante manifestazioni di tenerezza: io che ero la sorellina di quattro anni più piccola, mi viziava, spendeva i suoi pochi soldi per comprarmi i giornali”.
Ma Antonio soffriva di non essere come gli altri e di essere spesso messo ai margini nei momenti di gioco dove si correva e saltava; per di più provava spesso dolore fisico; tutto questo lo chiudeva in se stesso; lo faceva sentire diverso dagli altri:”Sono da molti, da molti anni abituato a pensare - egli scriveva in carcere - che esiste una impossibilità assoluta, quasi fatale, a che io possa essere amato... Da ragazzo, a dieci anni, ho incominciato a pensare così dei miei genitori. Ero costretto a fare troppi sacrifici e la mia salute era così debole che mi ero persuaso di essere un sopportato, un intruso nella mia stessa famiglia. Sono cose che non si dimenticano facilmente, che lasciano tracce molto più profonde di quanto non si possa pensare”.

Un ricercatore permanente e disinteressato
Ma come reagì Antonio a questa situazione? Come riuscì a superare queste difficoltà? Intanto il piccolo Antonio ha una madre che lo spinge ad andare a scuola; di questo gliene sarà grato per tutta la sua vita: ”Mi è riapparso - scriverà dal carcere - chiaramente il ricordo di quando ero in prima o in seconda elementare e tu mi correggevi i compiti: ricordo perfettamente che non riuscivo mai a ricordare che “uccello” si scrive con due C e questo errore tu me lo hai corretto almeno dieci volte... Prima ci avevi insegnato molte poesie a memoria; io ricordo ancora Rataplan e l’altra “Lungo i clivi della Loira/ che qual nastro argentato/ corre via per cento miglia/ un bel suolo avventurato”. Ricordo anche quanto ammirassi , dovevo avere quattro o cinque anni, la tua abilità nell’imitare sul tavolo il rullo del tamburo quando declamavi Rataplan”.
Questa spinta lo porterà a divorare libri e ad osservare con grande attenzione tutti i fenomeni della natura e della campagna che circondava Ghilarza; Gramsci imparò ad osservare le cose della natura, se stesso e i comportamenti umani; divenne un ricercatore permanente e disinteressato - ecco questa parola torna come una ossessione in tutti i suoi scritti della maturità - sul piano intellettuale. Il piccolo Gramsci voleva comprendere: comprendere quello che gli stava succedendo, comprendere il mondo degli uomini e comprendere il perché di tante cose che gli sembravano ingiuste. Un suo compagno di gioco racconta:”Stava settimane senza farsi vedere e quando gli chiedevo il motivo, rispondeva d’aver passato tutti quei giorni a leggere”. Ma Antonio non si arrendeva ed era molto abile sul piano pratico; anzi la sua curiosità, il suo spirito di ricerca e di osservatore acuto lo portava ad essere un inventore; inventava quello che oggi si potrebbero chiamare degli “ausili poveri” per migliorare le sue condizioni fisiche, esercitare le sue abilità fisiche e sviluppare le sue capacità di concentrazione ed attenzione; costruiva da sé, con l’aiuto dei fratelli, i suoi giocattoli: aveva fatto una vasca dove faceva galleggiare delle navi di legno costruite da lui; aveva anche fabbricato un carretto che si divertiva a portare in giro per il paese. Ma la cosa più interessante è che il piccolo Gramsci, spinto dal desiderio di non essere troppo diverso dagli altri, esercitava la sua forza di volontà per compensare il deficit fisico; si era costruito degli attrezzi per fare ginnastica.
La sorella Teresina racconta come avesse fabbricato, con i suoi fratelli, sei sfere di pietra per tre manubri di peso diverso: “le coppie di sfere - racconta la sorella - erano unite da bastoni, manici di scopa. Il ferro costava molto allora, e metterci l’asta metallica non si poteva. Del resto, anche con l’asta di legno il manubrio serviva bene allo scopo. Con regolarità, tutte le mattine, Nino faceva gli esercizi. Desiderava irrobustirsi, avere più muscoli nelle braccia, e impegnandosi al massimo tirava su i pesi fino a quando le energie non lo abbandonavano. Ricordo che una volta arrivò sino alle sedici flessioni di seguito”. Quindi Antonio si esercitava in continuazione con la consapevolezza che questo gli avrebbe consentito di vivere in mezzo agli altri e di esprimere tutto quello che sentiva: non vi erano né psicomotricisti né operatori della riabilitazione ma un contesto familiare e sociale inclusivo e accogliente che lo supportava moralmente; inoltre i suoi fratelli si dimostravano disponibili ad aiutarlo in una ottica di partecipazione ai suoi giochi.


Autoeducazione e verità
Antonio voleva fare da sé, non accettava la compassione di nessuno, voleva essere considerato per se stesso e per quello che era. Questo tratto del carattere di Gramsci è importante per comprendere il coraggio con il quale affrontò il carcere fascista e come seppe resistervi, ma spiega anche le sue concezioni pedagogiche: era convinto che i ragazzi andassero trattati con serietà e responsabilità e non condivideva gli accenti infantilizzanti di certe correnti della cosiddetta “scuola nuova”. L’educazione della volontà attraverso l’autoapprendimento e l’autodisciplina era alla base della sua visione dell’educazione ma anche dell’azione politica. Antonio aveva anche condiviso con grande serietà la miseria nella quale si era trovata la famiglia dopo l’arresto del padre; ma non accettò mai il fatto che la madre e i parenti gli avessero nascosto la verità sulla detenzione del padre; venne a conoscenza della verità per vie traverse e questo lo fece molto soffrire; da quel momento Gramsci fu un accanito sostenitore della dimensione etica dell’azione politica: per lui solo la verità era rivoluzionaria.
Spiega bene questa sua concezione del rapporto tra etica e educazione in una lettera alla cognata Tatiana che li aveva raccontato come la sua detenzione era stata nascosta al figlio Delio a Mosca: “Io penso – scrive - che sia bene trattare i bambini come esseri già ragionevoli e coi quali si parla seriamente anche delle cose più serie; ciò fa in loro una impressione molto profonda, rafforza il carattere, ma specialmente evita che la formazione del bambino sia lasciata al caso delle impressioni dell’ambiente e alla meccanicità degli incontri fortuiti. E’ proprio strano che i grandi dimentichino di essere stati bambini e non tengono conto delle proprie esperienze: io, per conto mio, ricordo come mi offendesse e mi inducesse a rinchiudermi in me stesso e a fare vita a parte ogni scoperta di sotterfugio usato per nascondermi anche le cose che potevano addolorarmi; ero diventato verso i dieci anni, un vero tormento per mia madre, e mi ero talmente infanatichito per la franchezza e la verità nei rapporti reciproci da fare delle scenate e provocare scandalo”.
Gramsci pensava che l’azione educativa era necessariamente intenzionale e direttiva; che questo era la condizione per fornire gli strumenti interiori di auto-controllo e auto-disciplina nonché per sviluppare la ragione critica, la coscienza per affrontare la vita come un uomo o una donna libero/a cioè consapevole delle proprie responsabilità verso gli altri prima che verso se stesso. Questo rigore non significava assenza di sensibilità, anzi Antonio imparò ad esprimere i suoi sentimenti e ad ammirare la bellezza delle cose della vita; imparò il senso profondo della vita; il suo sacrificio, il suo impegno intellettuale disinteressato, la sua ricerca costante della verità, il suo amore per i più deboli e gli oppressi ne fece una delle figure più belle della storia politico-culturale del Novecento. Il piccolo disabile di Ghilarza avrebbe insegnato a generazioni di militanti democratici e progressisti in giro per il mondo cosa significava vivere con dignità; lui che pensava che ogni uomo era potenzialmente un filosofo e un poeta.


da laletteraturaenoi.it - 27 Novembre 2013

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