17.2.14

Miller e il cinema. Il più saccheggiato da Hollywood (Alberto Crespi)

Arthur Miller e il cinema: un tema che può essere svolto in due modi. Il primo: Arthur Miller e Marilyn Monroe, quindi il coinvolgimento diretto del drammaturgo nella «macchina» hollywoodiana, prima con la collaborazione (non accreditata nei titoli) al copione di Facciamo l’amore (George Cukor, 1960) e poi con la scrittura in prima persona di Gli spostati (John Huston, 1961). Il secondo: Arthur Miller e i numerosi film (una cinquantina) ispirati ai suoi drammi, da Erano tutti miei figli (Irving Reis, 1948, con Edward G. Robinson e Burt Lancaster) a La seduzione del male (Nicholas Hytner, 1996, tratto dal Crogiuolo, con Daniel Day Lewis).
Due storie affascinanti, due facce di una stessa medaglia: la soddisfazione di essere il drammaturgo americano più «saccheggiato» da Hollywood assieme a Tennessee Williams, il matrimonio ultra-mediatico con la grande star, la dolorosa lavorazione degli Spostati, il crudele destino che nel giro di pochi mesi si portò via tutte e tre i divi del film (oltre a Marilyn, Clark Gable e Montgomery Clift), il curioso risvolto autobiografico (Miller ideò e scrisse il racconto breve al quale Gli spostati si ispira durante un soggiorno di 6 settimane a Reno, Nevada: era andato lassù per divorziare dalla sua prima moglie, Mary Slattery).
Eppure, due storie che non esauriscono il rapporto fra Miller e il cinema. Infatti, la domanda da farsi non è quanto il teatro di Miller sia cinematografico; la domanda giusta è: quanto il cinema americano è «milleriano»? La risposta è semplice: tantissimo. Senza Miller, a nostro parere, non ci sarebbero i fratelli Coen, o almeno alcuni film dei Coen. Se Morte di un commesso viaggiatore è l’epitome della solitudine di un Piccolo Uomo di fronte al mondo, alle istituzioni e al destino, e se questo tema è ovviamente quanto di più kafkiano esista in letteratura, ebbene, Miller è il filtro attraverso il quale Kafka arriva a Hollywood.
Pensate a Fargo, il film più popolare dei Coen: l’impiegatuccio che tenta la fortuna, e si dà al crimine senza sapere né come né perché, non è forse uno dei tanti Willy Loman che popolano il cinema americano sotto mentite spoglie? E se il tema dei primi drammi di Miller, da Uno sguardo dal ponte al citato Erano tutti miei figli, è la crisi della famiglia, non è forse vero che tale tema percorre tutto il cinema hollywoodiano dal dopoguerra ad oggi?
C’è un altro legame, più tecnico: quando il cinema diventa sonoro, dagli anni ’30 in poi, Hollywood
comincia a far la spesa a Broadway, e non acquista solo testi, acquista anche e soprattutto attori. E i
grandi interpreti di Miller e di Williams sono i divi che prendono il potere a Hollywood negli anni ’50: Marlon Brando, Paul Newman, Monty Clift…
Il matrimonio con Marilyn è una specie di contrappasso: Miller «ruba» al cinema la sua diva più proverbiale, cercando in lei la gioventù, e dandole la nobiltà intellettuale. Rimarranno delusi, in fondo, entrambi, e ripensando agli Spostati viene il sospetto che lui capiva lei meno di quanto lei capisse lui. Marilyn era una grande attrice nel brillante e nel tragico, Miller non era probabilmente uno scrittore sufficientemente duttile e umile per «sporcarsi» le mani con il cinema. Gli spostati, a quasi 45 anni di distanza, resta nella memoria più per le stupende immagini fotografate nel deserto del Nevada, che per i dialoghi spesso troppo «scritti» ai quali i divi suddetti erano costretti ad adeguarsi. Per apprezzare Miller al cinema, meglio alcuni film a lui ispirati: i migliori Willy Loman restano Fredric March (nel film diretto da Laszlo Benedek nel 1951) e Dustin Hoffman (nella riduzione televisiva, uscita anche al cinema, diretta dal tedesco Volker Schlondorff nel 1985).
Andranno citati anche un adattamento francese del Crogiuolo (Le vergini di Salem di Raymond Rouleau, 1957, con Simone Signoret e Yves Montand) e il famoso Sguardo dal ponte diretto da Sidney Lumet 1961 e interpretato da Raf Vallone, che aveva in questo testo il proprio cavallo di battaglia. Ed è giusto chiudere ricordando che a 85 anni suonati Miller aveva anche esordito come attore, con una piccola parte nel film israeliano Eden (Amos Gitai, 2001) tratto dal suo romanzo Homely Girl.


l’Unità, 12 febbraio 2005

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