17.2.14

Sul lettino di Freud. Julia Kristeva legge Colette (Cristina Taglietti)

Sidonie-Gabrielle Colette nacque in Borgogna nel 1873 
e morì a Parigi nel 1954. Tra le sue opere i romanzi 
«Claudine», «Chéri», «Il grano in erba», «La gatta» 
Una lunga dettagliata biografia che assomiglia a una sofferta seduta psicoanalitica, una selvaggia cavalcata nell'opera di una scrittrice che ebbe il merito di «dire l'indicibile e nominare l'innominabile», che celebrò il piacere e inventò un linguaggio per dirlo quando per le donne era un tabù. Nelle oltre quattrocento pagine che le dedica, Julia Kristeva mette Colette sul lettino dell'analista ed esplora in profondità le radici della sua opera intrecciando le vicende biografiche con l'analisi linguistica anche perché, scriveva la stessa Colette in un articolo di “Le Figaro” del 1937, «sono sicura di non aver mai scritto un romanzo, di quelli veri, un'opera di pura immaginazione, libera da qualsivoglia alluvione di ricordi e di egoismo, alleggerito di me stessa, di ciò che di meglio e di peggio c'è in me».
Colette. Vita di una donna (Donzelli), è il terzo volume, dopo quelli dedicati ad Hanna Arendt e Melanie Klein, che la Kristeva - linguista, semiologa e studiosa di psicoanalisi - dedica al genio femminile intendendolo come «la versione più complessa della nostra singolarità, la più seducente, la più profonda». Un volume che in Francia chiude la trilogia e con cui, invece, l'editore italiano Donzelli ha deciso di aprirla, offrendo alla scrittrice scomparsa cinquant'anni fa un tributo per il suo essere pioniera di un processo di affrancamento dalla «condizione femminile». Inventrice di un «alfabeto nuovo», di una scrittura che è il segno della compenetrazione tra la lingua e il mondo, Colette ha celebrato, contro le frustrazioni della sua vita amorosa, contro le prove impostele dalla realtà sociale e soprattutto dalla guerra, il piacere di vivere che è per lei un piacere dei sensi e un piacere delle parole. «Questo inno di cui sono stati lodati gli accenti pagani - scrive la Kristeva - che ha il buon odore delle abbuffate di Rabelais e si riallaccia all' insolenza di Villon, si esprime per la prima volta con la voce e sotto la penna di una donna, di una francese».
Una vera e propria rivoluzione che, sotto l'apparenza di un facile successo commerciale, rivela un'altra immagine dell' erotismo femminile, proponendo il modello di una «sorella solare dell'isterica freudiana», sfidando sia la rimozione sia la rigidità del divieto divino e morale come la stessa norma sociale. Anima più monella che perversa, come la definì Apollinaire, Colette dà voce a una parola femminile disinibita che formula i propri piaceri senza negarne le angosce, «risvegliando il ricordo - scrive la Kristeva - delle contadine sfacciate e delle cortigiane dei re di Francia». Lontana dalle opere delle sorelle europee e americane che dispensano malinconia, da Emily Dickinson a Virginia Woolf passando per la Achmatova, ma lontana anche dalle femministe (che detesta) e dalle «acide leziosità delle conventicole lesbiche» (pur teorizzando, in anticipo su Freud, che la sessualità femminile è fondamentalmente bisessualità in quanto «una donna rimane allo stato di abbozzo se non ha conosciuto l'amore di un'altra donna»), Colette si avvicina, secondo la Kristeva, a quella rivoluzione delle mentalità che darà il via all' emancipazione delle donne. Un'emancipazione anche economica che Colette, avida di guadagno e spendacciona, affronta con caparbietà: «Sono guidata dall' ambizione folle di guadagnarmi la vita da sola sia in teatro sia in letteratura», scrive in una lettera.
La Kristeva ricostruisce minuziosamente le tappe della vita di Sidonie-Gabrielle Colette nata in Borgogna nel 1873, mettendo al centro il rapporto edipico con la madre Sido, sua passione fondamentale e facendo girare attorno ad esso tutto il resto. Come in un continuo giro di valzer, scorrono sulle pagine tutti gli eventi: il primo matrimonio con Henry Gauthier-Villars, detto Willy, scrittore bohémien che la rende complice dei suoi tradimenti spingendola ad accettare, tra le braccia delle sue amanti, la sua bisessualità e con cui scrive la serie dei romanzi di Claudine; il secondo con Henry de Jouvenel (che le porta in casa il figlio, Bertrand, diciassettenne timido e infantile con cui Colette, madre di una bambina, avrà una relazione), il rapporto lesbico con la marchesa di Morny, detta Missy, che le regala una villa in Provenza e nel ' 44, abbandonata e mezzo rovinata, si suicida. Tessendo insieme brani delle opere, citazioni critiche, aneddoti ed episodi, la Kristeva riesce a far rivivere, in un lavoro dall'impianto accademico, un personaggio in carne ed ossa, dalle esibizioni spregiudicate come ballerina nei teatri di Francia (dove si mostrò anche nuda) fino alla morte a Parigi nel 1954, interpretando in chiave psicoanalitica anche la supposta perversione della scrittrice, restituendola a quella che alcuni critici hanno definito una «scandalosa innocenza».
L'autrice de Il grano in erba, secondo la Kristeva, sottopone gli atti perversi a una vera e propria metamorfosi, servendosi di alcuni di essi come occasioni per fare autoanalisi, «vivendoli e meditandoli nella sua scrittura dove finiscono per acquisire la loro definitiva realtà lontana dalla realtà, menzognera e sublime». Per questo, forse, quando muore, la Repubblica francese è pronta per tributarle i funerali di Stato (è la prima donna a riceverli) e anche se l'arcivescovo di Parigi le nega il rito religioso, i francesi l'hanno assolta. Per tutti è ormai semplicemente «la nostra Colette».

Corriere della sera, 29 novembre 2004

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