2.3.14

Filinnio, una vampira nella Grecia antica. Intervista a Tommaso Braccini

Una trasposizione filmica di Lucy Westenra
Fantasmi, vampiri e altri mostri nella Roma antica, grazie a Flegonte di Tralle, «ripescato» dal filologo classico Tommaso Braccini, docente all'Università di Torino che ha curato (insieme a Massimo Scorsone) Il libro delle meraviglie e tutti i frammenti (pp. 115, 25 euro, Einaudi). Ne parliamo con il curatore.

Come e dove ha incontrato Flegonte?
«Il mio incontro con Flegonte risale a quando studiavo all'università di Firenze: approfittando di un certo margine di tempo libero che era concesso a noi studenti del vecchio ordinamento (gli ordinamenti successivi hanno prodotto un'irreggimentazione non sempre positiva da questo punto di vista...), mi divertivo a scovare in biblioteca testi curiosi e poco noti che magari avevo trovato indicati in una noticina del manuale di letteratura greca o latina. Mi ricordo che iniziai a sfogliare il testo con curiosità, trovandomi subito catapultato nel bel mezzo della storia di Filinnio, la morta innamorata. Rimasi subito molto colpito e affascinato, anche perché quella che emergeva era un'antichità davvero poco convenzionale, e da allora ho sempre continuato a frequentare Flegonte, fino ad arrivare a curare quest'edizione insieme a Massimo Scorsone».

Chi sono e cosa hanno in comune Filinnio e Lucy Westenra?
«Filinnio, nel racconto di Flegonte, è una fanciulla greca che muore giovanissima, subito dopo il matrimonio. Questa scomparsa prematura la lascia per così dire affamata d'amore, e per questo sei mesi dopo la sepoltura ottiene dagli dei degli Inferi il permesso di tornare tre notti sulla terra per amare un giovane uomo, Macate, che nel frattempo è giunto come ospite in casa dei suoi genitori. Saranno proprio questi ultimi, accortisi che stava accadendo qualcosa di strano, a fare irruzione nella stanza del giovane nel corso della terza notte, rompendo questa sorta di incantesimo. Filinnio cade di nuovo morta, questa volta definitivamente; Macate, sconvolto, si suicida. Anche Lucy Westenra, uno dei personaggi più memorabili del Dracula di Stoker, muore giovanissima, alla vigilia del matrimonio: tornerà come una voluttuosa e feroce vampira, che prima di finire impalata dal vampirologo Van Helsing cercherà di sedurre e uccidere il fidanzato Arthur. Entrambe queste figure sono revenantes, morte che ritornano, per quanto Lucy sia sicuramente più minacciosa. Ma tra le due molto probabilmente c'è un legame: la più mite Filinnio, infatti, in età moderna era stata spesso citata come esempio di inquietante cadavere posseduto dal demonio in vari manuali per inquisitori e raccolte di storie di spettri, e da lì il personaggio era stato recuperato da Goethe, che l'aveva rielaborato nella sua Sposa di Corinto facendolo diventare il prototipo della perfetta vampira, che poi ispirò tutta la produzione letteraria successiva, compreso il Dracula di Stoker».

Anais Nin osservava: «Non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo noi», che cosa hanno visto dunque nel Libro delle meraviglie autori come Goethe o Le Fanu o Leopardi?
«Autori come Goethe o Le Fanu probabilmente vi videro una sorta di proprio precursore, un anello di congiunzione che univa l'antichità classica, che per entrambi costituiva un punto di partenza irrinunciabile, al gusto moderno del romanticismo e della nascente letteratura dell'orrore. L'approccio di Leopardi è più indiretto: lui arriva ad emendare e cesellare filologicamente il testo di Flegonte perché incuriosito da quelli che riteneva gli errori popolari degli antichi ».

E che cosa ci ha visto lei?
«Io ho visto nel Libro delle meraviglie un prezioso e affascinante frammento sopravvissuto quasi miracolosamente (in un solo codice medievale, per giunta assai malconcio) al naufragio di tanta parte della letteratura antica, soprattutto quella meno canonica».

Se dovesse aggiungere un frammento alle meraviglie elencate da Flegonte, quale «meraviglia» contemporanea sceglierebbe?
«Nel Libro delle meraviglie c'è una continua tensione tra l'umano e il non-umano: non solo vengono ricordati revenants che tornano misteriosamente dall'aldilà, ma anche il rinvenimento di fossili di giganti, e la nascita o la cattura di creature mostruose... Forse una meraviglia contemporanea, se posso sconfinare nella fantasia, potrebbe essere la notizia del rinvenimento di un alieno, magari ibernato nei ghiacci dell'Antartide, e trasferito in qualche deposito segreto governativo: non sarebbe troppo distante dal paragrafo in cui Flegonte riferisce della cattura di un centauro in una remota località dell'Arabia, dalla quale poi i resti dell'essere, appositamente imbalsamati, erano stati inviati a Roma dov'erano custoditi nei depositi imperiali».

‘Se l'ho scritto esiste’, questa pare l'idea ontologica chiusa in molti frammenti del libro di Flegonte. Lei, come filologo, si sente abbastanza creatore?
«Il vero creatore, da questo punto di vista, è il narratore: il lavoro del filologo è più simile a quello di un critico d'arte o di un restauratore di quadri. Però, per parafrasare una celebre massima latina, proprio in quanto studioso di testi il filologo sa che quod non est in scriptis non est in mundo: ciò che non è scritto, non esiste».
Chiara Valerio


l’Unità, 12 Dicembre 2013

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