8.3.14

La riscossa dei «selvaggi» (di Giuseppina Ciuffreda)

L’articolo segnala con efficace concitazione le tappe di un processo in pieno svolgimento. (S.L.L.)

Quando i Conquistadores, ignoranti avventurieri della poverissima Estremadura spagnola, entrarono nell’Impero inca, videro con meraviglia abbondanza e pulizia, città ricche e buone condizioni della popolazione rurale ma, avidi e fanatici, distrussero senza problemi quel mirabile «modo di produzione andino» (John V. Murra) e la sua memoria. Per gli europei che da allora approdarono in America, il Nuovo Mondo sarà terra di cattivi selvaggi, poi apprezzati da Rousseau e dai romantici, e gli ultimi sopravvissuti nell’Ottocento verranno ritenuti natura brada dai colti esploratori-scienziati.
Poche le eccezioni: il naturalista Karl F. P. von Martius, in Amazzonia dal 1817 al 1820, scrive il romanzo Frey Apolonio dalla parte degli Incas e George Catlin dipinge affascinato la vita nelle comunità pellerossa.
Lo sguardo occidentale cambia nel XX secolo grazie agli artisti e agli antropologi, da Levi Strauss a Berta e Darcy Ribeiro. Nel secondo dopoguerra, Hollywood cambia rotta e svela il genocidio dei pellerossa, peccato originale degli Stati Uniti, ma l’inversione netta è con l’ambientalismo e la nuova spiritualità, movimenti che danno valore alla conoscenza indigena. «Le culture più primitive da un punto di vista tecnologico…influenzeranno e civilizzeranno i loro conquistatori europei» (Lewis Mumford). Il governo australiano si scusa con gli aborigeni, custodi di sogni e di antichi saperi narrati da Bruce Chatwin (La via dei canti, 1987) e Marlo Morgan (…e la chiamavano due cuori, 1990).
Il risveglio dei discendenti degli antichi popoli che abitavano le terre colonizzate dagli europei è cominciato negli anni Settanta: tribali e indigeni, 300 milioni nel mondo, diventano uno dei soggetti del movimento antagonista mondiale. Difendono acqua, foreste, fiumi e terra - "commons" che garantiscono la loro sopravvivenza – contrastano corporation, governi e organismi economici internazionali, rivendicano il valore della loro storia, saldano un’alleanza con gli ecologisti del Nord.
In India, negli anni Ottanta, inizia la lotta per salvare il fiume Narmada da migliaia di dighe e ancora oggi i tribali lottano contro il furto di terra, le estrazioni minerarie, la deforestazione. In America latina, Eduardo Galeano denuncia le ferite storiche inferte dal colonialismo al continente e Gioconda Belli scrive La donna abitata.
Nel 1992 l’anniversario della scoperta dell’America diventa contestazione della Conquista. In Messico, nel Chiapas, i maya zapatisti escono allo scoperto. Negli anni duemila la rivolta corre sulle Ande. In Colombia, gli U’wa difendono il loro territorio dalle trivelle della Oxy petroli. In Ecuador e Bolivia, lo scontro politico non è mai staccato dalla venerazione per Madre Terra. La Conaie, coordinamento delle comunità dell’Amazzonia equatoriana, e Accion ecologica di Esperanza Martinez sono insieme nella lotta contro la Texaco e gli oleodotti che devastano le riserve naturali del paese. Il “Levantamiento”, che farà cadere il governo è del gennaio 2001 (Kintto Lucas e Leonela Cucurella, Nada solo para los indios), poi anche il successivo è costretto a lasciare. Rafael Correa diventa presidente, la Pachamama entra nella Costituzione dell’Ecuador. In Bolivia la guerra dell’acqua nel Cochabamba è il primo atto di una rivolta contro la vendita delle risorse naturali del paese e per la cultura india, conclusa con la presidenza dell’aymara Evo Morales.


“il manifesto” 1 giugno 2012

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