10.3.14

L’altro Medioevo di Le Goff (di Mario Mancini)

Pour un autre Moyen Age, che è il titolo di una sua raccolta di saggi del 1977, individua meglio di qualsiasi altra formula l'arco della prodigiosa opera storica di Jacques Le Goff: liberare l'età di mezzo da incrostazioni e da facili mitologie - età oscurantista, arretrata, lugubre o, al lato opposto, da Chateaubriand in poi, tutta nobili ideali e dorature - per offrirci l'antropologia storica di un Medioevo «altro», fatto di segni e di gesti, di utopie e di superstizioni, di conflitti e di luminose conquiste. Un Medioevo drammatico, visto sempre in serrato confronto con la Modernità: «Il Medioevo mi ha catturato solo perché aveva il potere quasi magico di trasportarmi altrove, strappandomi alle preoccupazioni e alle mediocrità del presente e, allo stesso tempo, di renderle più acute e più chiare». Nascono così, uno dopo l'altro, i grandi saggi sulla dimensione del vivere (Tempo della Chiesa e tempo del mercante, 1977), sulle fantasie dell'Aldilà (La nascita del Purgatorio, '81), sui miti della regalità (San Luigi, '96), sulle radici medievali dell'Europa (Il cielo sopra la terra, 2003). Le Goff è anche un formidabile organizzatore di cultura, e ama il lavoro di équipe, ci arriva ora, da lui diretto, Uomini e donne del Medioevo (Laterza, pp. 448, € 35,00), che costituisce una sorta di dittico con il Dizionario dell'Occidente medievale (1999), curato insieme a Jean-Claude Schmitt e uscito da noi presso Einaudi. Se il Dizionario era organizzato attorno a voci
tematiche - come «angeli», «castello», «stregoneria» ... - questo nuovo volume, splendidamente illustrato, ci offre delle biografie, è organizzato attorno a delle «persone». Ma, va subito detto, non sono biografie tradizionali, pigramente costruite, ma piuttosto degli «emblemi», come chiarisce bene Le Goff nell'Introduzione: «In questo libro la storia sembra presentarsi in una forma relativamente superata, dal momento che si basa essenzialmente sui grandi personaggi. In realtà, dopo il movimento delle Annales della metà del XX secolo, il senso della storia viene cercato nell'insieme delle società e degli strati sociali. Tuttavia, gli storici che hanno concepito e composto quest'opera hanno pensato che gli uomini e le donne famosi potevano essere emblemi assai eloquenti di una società e di un'epoca. E così gli individui che danno lustro a questo volume collettivo sono presentati in quanto rivelatori della loro epoca ed eroi della memoria storica». L'opera mira a presentarci una «civilisation» in tutta la sua ricchezza, allinea re e regine, papi e uomini di chiesa, santi e sante, ma anche intellettuali e filosofi (da Alcuino a Boezio, da Averroè a Tommaso d'Aquino, da Brunetto Latini a Jan Huss, da Alberto Magno a Meister Eckhart), scrittori e artisti (da Bernart de Ventadom a Chaucer, da Iacopo da Varazze a Froissart, da Chrétien de Troyes a Dante, da Giotto a Jean Fouquet).
[...] Lo stesso Le Goff ci presenta il Cid Campeador, Abelardo ed Eloisa, Sugerio, Chrétien de Troyes, Saladino, Santa Edvige di Slesia, San Francesco d'Assisi e santa Chiara, San Luigi, Iacopo da Varazze, e, nell'ultima sezione, allarga il quadro a personaggi immaginari come Artù, come Merlino; come Robin Hood.
Il pericolo che la scrittura cada in un gergo troppo specialistico è felicemente evitato, gli autori delle voci riescono a darci, fedeli al programma delineato da Le Goff, proprio degli «emblemi». Così entra in scena Teodorico il Grande (456  ca.- 526): «Il potere di Teodorico sembra essere stato duale. Come re dei Goti continua a comportarsi da capo militare barbaro, non esitando a confiscare una parte delle terre italiane per distribuirle ai propri guerrieri. Ma quando Teodorico sceglie di presentarsi come re d'Italia, torna a essere un agente della sovranità romana e la sua benevolenza abbraccia tutti i sudditi, senza distinzione etnica o religiosa. [...]Gli intellettuali di questa generazione cominciano allora a sognare una rinascita della civiltà romana sotto la protezione dei Goti. [...]La fine del suo regno è, invece, abbastanza oscura. Nel 525 Teodorico crede, probabilmente a ragione, che un partito di senatori lo tradisca...».
Così Eleonora d'Aquitania (1124-1204): «Eleonora d'Aquitania non lascia nessuno indifferente. È la più conosciuta, la più amata, la più detestata delle regine medievali. Mentre era ancora in vita, gli scrittori le hanno intrecciato corone di lauro o, al contrario, l'hanno trascinata nel fango. Alcuni ne hanno lodato la bellezza, la pietas o il mecenatismo; altri l'hanno trattata da ninfomane e accusata di incesto. [...] Privi di reale fondamento, questi pettegolezzi di fatto vogliono vendicarsi di una donna che sconfina dal suo ruolo occupandosi di politica. [...] Nel 1173 la rivolta congiunta dei figli contro Enrico II è fomentata da Eleonora (Aliénor) che, secondo il perfido gioco di parole dell'abate di Mont-Saint-Michel, "alienò" i suoi figli dal re. La ribellione fallisce e la regina resta prigioniera...».
E così Filippo IV il Bello (1268-1314): «Questo re non ha avuto un Joinville, un confessore o un cronista che gli sia stato tanto vicino da lasciarci delle testimonianze sulla sua personalità profonda. Ma lo studio degli atti ufficiali, dei conti regi, la critica di numerosi documenti ci dicono molto di più della seguente osservazione di una delle sue vittime, il vescovo Bernard Soisset: "Non è né un uomo né una bestia. È una statua". Forse parlava poco e appariva come di marmo ai suoi visitatori. [„.]In che misura la lettura di Boezio e di Egidio Romano ha forgiato il carattere del re, imbevuto allo stesso livello di stoicismo e di orgoglio? [...] Con Filippo il Bello la Francia d'improvviso sperimenta in tutti gli ambiti un assolutismo monarchico estremo. Una mistica indissolubilmente religiosa, politica e giuridica che raggiunge il parossismo intorno al 1300, precisamente quando la monarchia, allo stremo, non può più tollerare né ostacoli né resistenze. È in questo momento che i suoi giuristi invocano l'alleanza di Dio e della dinastia capetingia, la superiorità del regno di Francia "cristianissimo"...».
I personaggi del libro vengono presentati, nell'Introduzione, sotto un titolo molto significativo: «I lenti creatori dell'Europa». E un filo rosso attraversa e lega tra loro, a ben vedere, tutti questi racconti: il farsi e il disfarsi dell'idea di nazione, la difficile ricerca dell'identità dell'Europa. Un'Europa, la nostra di oggi che cerchiamo di costruire, che non deve rinnegare necessariamente l'età di mezzo, ma che può continuare l'esperimento della sua mescolanza, della sua pluralità. Più delle «radici cristiane», caratterizza il Medioevo che qui viene raccontato la mescolanza etnica, l'amalgama dei popoli, e la loro conflittuale ma feconda convivenza: «ai Celti, ai Germani, ai Gallo-Romani, agli Anglo-Romani, agli Ebrei, si mescoleranno i Normanni, gli Slavi, gli Ungari, gli Arabi, con processi di acculturazione che annunciano quella che sarà l'Europa aperta alle ondate di immigrazione: un'Europa della diversità culturale e della mescolanza delle etnie». Il lettore incontra in questo volume, rispetto a quello ancora troppo vulgato, davvero «un altro Medioevo».


“alias talpa – il manifesto”, 20 ottobre 2013

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